Il Sole 24 Ore

Statali, sui premi parola ai contratti nazionali

La r iforma in arr ivo permette di superare i parametr i r igidi di legge sulla produttivi­tà

- Gianni Trovati Claudio Tucci

pDopo il tentativo, vano, di impedire la distribuzi­one indiscrimi­nata dei premi di produttivi­tà ai dipendenti pubblici imbriglian­done le regole della legge, con la nuova riforma in arrivo per attuare la delega Madia la parola torna ai contratti. Il passaggio, nelle intenzioni del governo, non dovrebbe tradursi in un “liberi tutti”, ma l’obbligo di differenzi­are i premi a seconda del merito, individual­e e dell’ufficio, sarebbe tradotto in principi più flessibili per andare incontro alle differenze che si incontrano fra ente ed ente, evitando che troppa rigidità si traduca in un nulla di fatto.

Uno dei pilastri del nuovo decreto legislativ­o, anticipato sul Sole 24 Ore di ieri e atteso in consiglio dei ministri nelle prossime settimane, è proprio la riforma dei premi di produttivi­tà, considerat­a sia dal governo sia dai sindacati un presuppost­o indispensa­bile per far partire i nuovi contratti. Oggi le regole sono scritte nella legge Brunetta del 2009, che fissa due obblighi: alla produttivi­tà deve andare la «quota prevalente» (cioè oltre il 50%, secondo la lettura più ovvia) dei fondi che finanziano il trattament­o accessorio, vale a dire tutta la parte di busta paga che si aggiun- ge allo stipendio base («tabellare»). Qui arriva il primo problema, perché in molti comparti, dalla sanità agli enti locali, questo significhe­rebbe alleggerir­e i capitoli dei fondi decentrati che finanziano altre indennità, dai turni alle indennità di «rischio» e di «disagio» che premiano chi lavora in strada come la polizia municipale. Oltre a questo, la riforma Brunetta impo- ne di dividere i dipendenti di ogni amministra­zione statale in tre fasce di merito, e in «almeno tre fasce» nel caso di regioni ed enti locali, azzerando del tutto i premi per chi si trova nell’ultima, quella che raccoglie i dipendenti con le pagelle meno brillanti. Tutto questo impianto, che avrebbe dovuto debuttare al «primo rinnovo contrattua­le» post-riforma, è stato subito messo in un angolo dal congelamen­to della contrattaz­ione, ma ora torna di attualità. E, se applicato, finirebbe per trasformar­e il riavvio delle trattative in una cattiva notizia per molti, perché gli aumenti promessi (e in buona parte ancora da finanziare) non basterrebe­ro a compensare l’azzerament­o della produttivi­tà e la riduzione delle altre indennità.

Per aggirare l’ostacolo, le bozze del decreto sul pubblico impiego fissano un principio generale, che permette ai contratti nazionali di derogare tutte le norme sul pubblico impiego con l’eccezione di quelle scritte nel Testo unico (Dlgs 165/2001) in via di ri- forma. E i principi della legge Brunetta, dalla «quota prevalente» alle tre fasce, nel testo unico non ci sono.

Da evitare, però, c’è appunto anche il via libera ufficiale alle famigerate distribuzi­oni “a pioggia”, abituali in molte amministra­zioni dove anche la produttivi­tà, come le altre voci accessorie, è stata spesso utilizzata per rafforzare un po’ le buste paga congelate dal 2010. Gli strumenti nelle mani del governo per provare a garantire la differenzi­azione sono due: il principio potrebbe essere ribadito nel testo finale del nuovo decreto, magari senza andare troppo nel dettaglio per non incappare negli stessi problemi della riforma del 2009, e poi articolato negli atti di indirizzo che la Funzione pubblica deve inviare all’Aran per far partire i lavori sui nuovi contratti.

Anche su questo tema il progetto punta ad avvicinare i meccanismi del lavoro pubblico a quelli del settore privato, dove i premi di risultato, incentivat­i con un'aliquo- Sul Sole 24 Ore di ieri è stata anticipata la bozza del nuovo decreto sul pubblico impiego, attuativo della legge delega sulla Pa, atteso in consiglio dei ministri a metà febbraio. Tra le nuove norme, l’estensione della procedura sprint, da chiudere in 30 giorni a tutti i casi di flagranza di comportame­nti sanzionabi­li con il licenziame­nto ta fiscale piatta del 10%, sono stati di fatto reintrodot­ti con la legge di Stabilità 2016: il loro riconoscim­ento è però legato a incrementi misurabili di alcuni “indicatori”, come, oltre alla produttivi­tà, la reddittivi­tà, la qualità, l'efficienza e l’innovazion­e. Se queste somme vengono contrattat­e in azienda, diventano welfare, complement­amente esentasse (altro aspetto che la riforma punta in prospettiv­a a portare anche nella Pa). Negli uffici pubblici il merito dovrebbe essere misurato secondo la riforma in base a un doppio sistema di obiettivi: quelli «nazionali», che definiscon­o le «priorità strategich­e» della Pa nel suo complesso, e quelli specifici di ogni ente, da dettagliar­e nel piano delle performanc­e. Tra le priorità generali tornerà anche la lotta all’assenteism­o (sono 9,2 i giorni di assenza medi all’anno secondo la Ragioneria generale, ma il dato nasconde situazioni parecchio differenzi­ate): per contrastar­e quello strategico, la riforma dovrebbe tagliare i premi in particolar­e a chi diserta troppo l’ufficio di lunedì o venerdì, quindi a ridosso del fine settimana, anche se distinguer­e fra le assenze motivate e quelle strategich­e non sembra facile.

I PARAMETRI Per contrastar­e l’assenteism­o «strategico» allo studio un disincenti­vo per chi diserta troppo l’ufficio nei giorni vicini al fine settimana

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