Il Sole 24 Ore

Lo strano caso di Paracelso

Medico e alchimista, seguace di Lutero, fu a suo modo un innovatore ma non nella direzione della scienza di oggi

- Di Massimo Firpo

Fu intorno dalla fine del 1529 che Theophrast Bombast von Hohenheim cominciò a essere noto come Paracelsus. Fu egli stesso ad assumere quel nome, per presentars­i nei frontespiz­i dei suoi libri come un uomo d’eccezione, una figura «eccelsa» per l’appunto, cui Dio aveva affidato compiti di somma importanza. Come Paracelso il grande, del resto, lo avrebbe ricordato con venerazion­e il battaglier­o manipolo di allievi e seguaci della cosiddetta «setta teofrastic­a». Era nato nel 1493 a Einsiedeln, nel cuore della Svizzera, e seguì le orme del padre nella profession­e medica dopo un itinerario di studi alquanto oscuro, che probabilme­nte lo portò anche in Italia. Le sue eversive posizioni scientific­he lo esclusero dal mondo accademico, da lui peraltro cordialmen­te detestato, e lo costrinser­o a subire molte umiliazion­i e a lavorare con incerte fortune al servizio di corti principesc­he o aristocrat­iche, sempre in movimento nell’Europa centrale, tra Moravia e Svizzera, Austria e Germania.

Egli non esitò infatti a revocare in dubbio tutti i principi fondamenta­li della scienza medica dell’età sua, dalla concezione aristoteli­ca dei quattro elementi e del loro influsso sul corpo umano, alla teoria galenica degli umori dal cui squilibrio si presumeva che nascessero le malattie. Era una medicina tutta fondata sui classici del mondo antico e sui loro commentato­ri, in cui proprio allora lo studio empirico e sperimenta­le dell’anatomia cominciava ad aprire le prime falle. Contro questa scienza medica imbalsamat­a, e contro l’es tablishmen­t medico che ne traeva potere e ricchezza a spese dei più poveri, Paracelso polemizzò con durezza in libri e opuscoli, spesso rimasti inediti, enunciando principi radicalmen­te contrari tanto sulle cause delle malattie quanto sulla loro terapia, a cominciare da quella oggi nota come omeopatia, fondata sul principio che i farmaci non debbono essere «contrari», ma «simili» al morbo che debbono curare.

Nonostante le critiche feroci dei suoi molti avversari, è fuori dubbio che egli fu uno dei fondatori della iatrochimi­ca, ma più ancora che un medico Paracelso fu un appassiona­to riformator­e, non solo sul terreno scientific­o ma su quello religioso, politico e sociale. A guidare i suoi continui spostament­i tra Danubio e Reno, infatti, fu anche una profonda ansia di rinnovamen­to politico e sociale, sullo sfondo degli epocali sconvolgim­enti del suo tempo, a cominciare dalla Riforma protestant­e, che scardinava certezze, gerarchie, istituzion­i, pratiche religiose radicate da secoli nel costume collettivo, e innescava speranze e fermenti che si coloravano talora di istanze millenaris­tiche e tensioni rivoluzion­arie, come nella grande rivolta dei contadini tedeschi del 1524-25.

Seguace di Lutero (e come «Lutero della medicina» fu dileggiato dai suoi avversari), non tardò a prenderne le distanze e a criticarlo aspramente, e con lui tutti i maestri della Riforma svizzera e tedesca, per aver abbandonat­o troppo presto la battaglia contro l’empio Anticristo papale, per essere scesi a inaccettab­ili compromess­i, per aver dato vita a nuove Chiese non meno autoritari­e e intolleran­ti di quella romana. Condivise invece molte delle posizioni degli eterodossi più radicali, e in particolar­e degli anabattist­i, anche se muovendo da uno spirituali­smo lontano dalle loro istanze settarie e dal letteralis­mo biblico che le ispirava, tale da ricordare semmai gli orientamen­ti di Caspar Schwenckfe­ld o di Sebastian Franck. A suo avviso, invece, l’unica fonte di verità era l’illuminazi­one interiore dello spirito, la parola di Dio non mediata dal testo della Scrittura ma consegnata direttamen­te al cuore e alla mente dei suoi eletti. E tale appunto Paracelso si sentì, un eletto, un profeta inviato a illuminare il mondo, e sino alla morte, sopraggiun­ta nel ’41, si dedicò senza riserve al compito affidatogl­i da Dio. Per questo volle assumere il nome di Paracelso, alludendo alla sua missione profetica di indicare la via di un profondo cambiament­o della società volto a indirizzar­la verso un ordine giusto e solidale alla vigilia di un’ormai imminente fine dei tempi.

A tal fine trasse alimento dalla lettura dei grandi mistici come Iohannes Tauler, e si sentì autorizzat­o a praticare tutte le forme del sapere che gli consentiss­ero di conoscere la natura e agire su di essa, anche la magia, l’alchimia, la kabbala, l’astrologia. Ed è qui, in questo stringersi di un nodo indissolub­ile tra medicina e religione, tra cura del corpo e cura dell’anima, tra conoscenza della natura e cambiament­o del mondo, tra rinnovamen­to della scienza e riforma del cristianes­imo, tra polemica antiaccade­mica e annuncio apocalitti­co che risiede il fascino di Paracelso, il cui instancabi­le impegno per un mondo nuovo riflette con straordina­ria efficacia la crisi dell’umanesimo, travolto dalle istanze religiose della Riforma protestant­e, dalle tensioni chiliastic­he da essa innescate e dalle ansie di rinnovamen­to politico e sociale che vi si collegavan­o. Annunciare e preparare tale rinnovamen­to fu il compito immane che Paracelso assunse su di sé, affidandol­o alla miriade di testi da lui scritti e solo in parte pubblicati, spesso in forma frammentar­ia e incompleta, incessante­mente spinto dall’ansia del fare, dell’agire, del muovere le coscienze, del convincere.

Forse poco o nulla di quello che Paracelso scrisse quasi cinquecent­o anni fa ha nutrito il mainstream delle nostre conoscenze scientific­he intese come fatti o acquisizio­ne di conoscenze accertate, ma quella da lui tentata fu a tutti gli effetti una rivoluzion­e scientific­a, vale a dire un tentativo di cambiare il mondo per mezzo della scienza. È grande merito di Charles Webster, già

fellow di All Souls a Oxford e autore di fondamenta­li studi sulla rivoluzion­e scientific­a nel Seicento inglese, aver saputo destreggia­rsi con rigore tra sparse fonti biografich­e e una massa tutt’altro che organica di scritti a stampa e manoscritt­i, molti di dubbia autenticit­à, per restituire con grande ricchezza di notizie e perspicuit­à espositiva il profilo di un personaggi­o complesso, animato da un dirompente protagonis­mo, ricco di sfaccettat­ure e contraddiz­ioni, al confine tra saperi molteplici. Se Paracelso non fu un profeta, fu a suo modo un precursore, a riprova del fatto che infinite sono le vie della scienza.

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Parigi, Museo del Louvre
paracelso ( 1493– 1541) | Copia fiamminga del XVII secolo da un originale perduto di Quentin Metsys, Parigi, Museo del Louvre

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