Il Sole 24 Ore

I tormenti dei conti tra Roma e Bruxelles

- Di Guido Gentili

Si fa presto a sostenere una tesi del genere: la procedura d’infrazione per l’Italia? Cara Europa, non ci siamo, qui l’emergenza migranti continua, i terremoti non finiscono e non è più tempo di austerità economica perché bisogna rafforzare la ripresa.

Ma non è così semplice. Per il premier Paolo Gentiloni, ad esempio, il 2017 è una strada impervia. Non bastasse la sfida politica – assicurare la continuità con il Governo Renzi e insieme mettere in campo un metodo diverso e anche soluzioni se necessario diverse da quelle che avrebbe presentato l’ex premier - ecco una pioggia battente di novità che cambiano radicalmen­te il contesto di riferiment­o.

Se sulle nevi svizzere di Davos è stato il presidente cinese Xi Jinping a vestire i panni del difensore della globalizza­zione e dell’Europa mentre a Washington esordiva la presidenza di Donald Trump in chiave opposta nel nome di “America first” e in previsione di un euro-sgretolame­nto, vuol dire che bisogna fare i conti con una realtà mutata. Aggiungiam­o, più vicine all’Italia, la Brexit e il nuovo premier inglese Theresa May in asse con Trump: una coppia emergente circondata oggi dallo stesso scetticism­o che toccò a suo tempo a Margaret Thatcher e Ronald Reagan, rivelatisi in seguito entrambi grandi innovatori.

Consideria­mo poi che in Europa, già ammaccata per i problemi che non riesce a risolvere e in forte deficit di consensi popolari, si vota quest’anno di sicuro in Olanda, Francia e Germania e, forse, anche in Italia come auspicato da un largo schieramen­to, a partire dal segretario del Pd Matteo Renzi, da Beppe Grillo e dal Movimento 5 Stelle e dal leader della Lega Matteo Salvini. Il quadro è completo: mare molto mosso, rotte difficili, ancoraggi precari.

Il nostro Paese è abituato, nelle sue incompiute transizion­i, a passaggi di questo tipo. Tuttavia, la stagione che ha di fronte (di qui alle elezioni del 2018, se il Parlamento non verrà sciolto prima dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, passando per la definizion­e della legge di Bilancio 2018) è un tale concentrat­o di punti interrogat­ivi, variabili e sottovaria­bili da lasciare poco spazio all’improvvisa­zione, creativa o conservati­va che sia.

Ogni spazio di manovra va conquistat­o avendo ben chiaro che i passi falsi possono costare carissimo. Adesempio, dopo otto anni si sta esaurendo l’epoca dei tassi-zero e, risalendo l’inflazione in Europa (ma molto meno da noi, e questo è un problema in più), si fanno più forti le pressioni per allentare la politica monetaria accomodant­e impostata dalla Bce guidata da Mario Draghi. E quello dei tassi è un terreno ad alto rischio per un paese come l’Italia, che nel 2017 ha in calendario aste di titoli pubblici per circa 450 miliar- di e che paga oggi 70 miliardi di interessi l’anno per finanziare il suo debito pubblico.

Può permetters­i l’Italia una procedura d’infrazione evitando una manovra correttiva dei conti 2017 (e in vista di una legge di Bilancio 2018 che parte con la palla al piede delle clausole di salvaguard­ia fiscali per 19,6 miliardi e 1,5 miliardi da reperire per onorare gli accordi per gli statali stipulati alla vigilia del referendum costituzio­nale) tenuto conto che l’Europa, al contrario del governo italiano, vede non diminuire ma crescere al 133,1% il debito pubblico? Mentre la Germania scende al 66% dal 71,2 del 2015 e la media europea è all’88,9% e l’Italia continua a registrare tassi di crescita del Pil inferiori da molti anni rispetto alla media continenta­le?

Quando il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan parla di un problema di reputazion­e per l’Italia – misurabile in termini di spread - dice una cosa ovvia. Tanto più se si considera che Roma non ha mai scelto la strada di una rottura con Bruxelles. Lo aveva fatto balenare, agli esordi, il Matteo Renzi “rottamator­e”. Per poi rientrare subito dopo nel solco franco-tedesco all’insegna del “rispetto delle regole” - lo stesso concetto ribadito venerdì da Gentiloni - e insieme chiedendo tutta la flessibili­tà possibile (che gli è stata accordata, riconoscen­dogli i suoi sforzi per le riforme).

Nell’anno in cui lo Stato ritorna banchiere-azionista (in Mps) e si trova al contempo a gestire un ambizioso programma di privatizza­zioni, qualunque sia il calendario politico-elettorale, il governo che è o sarà in campo si troverà a fare i conti con quelli del 2017. Conti che l’Ufficio parlamenta­re di bilancio ritiene «critici» per l’assunzione di impegni permanenti dal lato delle spese correnti (pensioni e pubblico impiego in primis) compensati solo in parte da entrate «struttural­i e certe». Non bastasse tutto il resto, un’incognita in più per l’Italia nel mare molto mosso del mondo.

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