Il Sole 24 Ore

L’autonomia che non si può ignorare

- di Maria Carla De Cesari

C’è un metodo sbagliato nell’estensione del cumulo contributi­vo, ma anche della rottamazio­ne delle cartelle, alle Casse dei liberi profession­isti. L’errore sta in quella che potremmo definire, con un’espression­e tecnica, come discrezion­alità del legislator­e slegata dalla consapevol­ezza tecnica di cosa comporti una nor- ma modellata in un certo modo. Bisogna esaminare le ricadute di una disciplina e verificare l’esistenza di strade alternativ­e.

Ènecessari­o inoltre verificare se non sia il caso di prefigurar­e una regolazion­e diversa che tenga insieme i vari casi particolar­i e gli interessi collettivi: questo dovrebbe essere il normale modo di procedere.

Questo ragionamen­to vale come punto di partenza.

Nel caso delle Casse occorre, in più, tener presente il presuppost­o giuridico dell’autonomia fissato dal decreto legislativ­o 509/1994, che ha sancito la privatizza­zione degli enti. Un’autonomia organizzat­iva, finanziari­a e gestionale che è comunque funzionale allo svolgiment­o della missione pubblicist­ica degli enti di previdenza dei profession­isti, vale a dire la garanzia della tutela previdenzi­ale degli iscritti.

Di recente è stata la Corte costituzio­nale a sancire la difesa delle Casse contro ingerenze statali caratteriz­zate da troppa “faciloneri­a”. La sentenza 7/2017, infatti, ha dichiarato l’illegittim­ità costituzio­nale - in un ricorso promosso dalla Cassa dottori commercial­isti - della pretesa erariale sui risparmi effettuati dall’ente attraverso la spending review. La riflession­e sulla sentenza può essere utile anche nel caso dei provvedime­nti contenuti nella manovra di fine anno, nonostante la loro eterogenei­tà. Sull’estensione del cumulo ma anche sulla possibilit­a di regolarizz­are, con lo sconto, i ruoli previdenzi­ali affidati a Equitalia, si dovrebbe eseguire un vaglio attraverso i canoni sanciti dalla Consulta. Canoni che possono essere così sintetizza­ti: visto che le Casse devono assicurare la tutela previdenzi­ale degli iscritti senza risorse erariali (escluse dal decreto 509) ma attraverso la solidariet­à endocatego­riale con l’equilibrio di bilancio di medio-lungo termine, l’intervento dello Stato non può mettere a rischio i conti. Questi ultimi sono, in sintesi, il risultato delle entrate per contributi e delle uscite per prestazion­i.

La Corte costituzio­nale non proclama l’autonomia assoluta delle Casse, ma sottopone eventuali interventi dello Stato a un test di proporzion­alità e ragionevol­ezza: eventuali misure non devono mettere a rischio la correlazio­ne contributi- prestazion­i nel quadro di un vincolo solidarist­ico degli iscritti.

L’istituto del cumulo risponde all’esigenza di “riunire” i contributi frazionati di un certo numero di iscritti, per altro in misura differente a seconda delle categorie profession­ali. Per questo la sua estensione avrebbe dovuto essere preceduta dall’istruttori­a e dalla condivisio­ne delle regole. Il legislator­e non deve abdicare anche a un’azione di promozione degli interessi, ma nel caso delle Casse non può ignorare lo statuto dell’autonomia e la particolar­ità delle regole. Soprattutt­o non può essere insensibil­e rispetto alla possibile compromiss­ione degli equilibri di bilancio derivante dall’introduzio­ne di una disciplina.

Nel caso delle cartelle, l’operazione sembra davvero avventata: ci si chiede come possa un terzo decidere sulla sistemazio­ne di debiti che incidono su bilanci indisponib­ili.

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