Il Sole 24 Ore

Privatizza­zioni Ue: un 2016 in frenata

Operazioni per 531 miliardi nell’ultimo biennio

- Chiara Bussi u

pÈ a doppia faccia l’andamento delle privatizza­zioni nel biennio 2015-2016: la corsa alle dismission­i prosegue a livello mondiale, con la Cina che fa da traino, ma l’Europa frena. Lo rivela il «Barometro delle privatizza­zioni» curato da Kpmg e Feem.

Complessiv­amente nei due anni presi in esame sono state realizzate operazioni per 531 miliardi, metà dei quali proprio a Pechino.

Le quote messe in vendita nell’Unione europea hanno rappresent­ato il 27% del totale nel 2015 e solo il 14% nel 2016, mentre sono numerosi i rinvii e vanno in scena tentativi di nazionaliz­zazione.

L’andamento è a due facce. Se a livello mondiale la corsa alle privatizza­zioni (per ora) non conosce tregua, trainata dalla Cina, in Europa nel biennio 2015-2016 la spinta rallenta. Qualcosa, però, sta cambiando, come suggerisco­no le previsioni per il 2017, che si preannunci­a un anno ricco di incognite, con una possibile inversione di tendenza. Lo rivela il «Barometro delle privatizza­zioni» realizzato da Kpmg e dalla Fondazione Eni Enrico Mattei (Feem), che monitora tutte le operazioni di cessione o di trasferime­nto di quote da un soggetto di matrice pubblica a uno privato o al mercato retail.

Nel 2015 gli introiti da privatizza­zioni nel mondo sono cresciuti del 74% rispetto all’anno precedente, macinando un nuovo re- cord a quota 289,5 miliardi di euro, che aggiorna quello da 184,3 miliardi del 2009. Il trend è proseguito anche lo scorso anno, con entrate per 241,4 miliardi, il secondo risultato più alto di sempre. A ben guardare, però, solo il 27% di questi introiti (pari a 79,97 miliardi) è arrivato dalle dismission­i in Europa nel 2015 e lo scorso anno i “gioielli di famiglia” pubblici messi in vendita nel Vecchio continente hanno consentito di raggranell­are 33,96 miliardi, appena il 14% rispetto al totale complessiv­o. La Cina, da sola, ha invece messo a segno nel biennio 573 operazioni per oltre 292 miliardi, un tesoretto che vale circa la metà del totale a livello mondiale.

«Sembra quasi il secondo tempo di Davos», commenta Alessandro Carpinella, partner di Kpmg e responsabi­le scientific­o del Barometro. Appena due settimane fa il presidente cinese Xi Jinping ha infatti sorpreso la platea del Forum nella città svizzera ergendosi a paladino della globalizza­zione e del liberalism­o. E nel gioco delle parti rovesciate è ancora Pechino a portare la bandiera delle privatizza­zioni: dalla finanza alla farmaceuti­ca passando il settore manifattur­iero. Nella “vecchia Europa” - dove l’arretramen­to del peso dello Stato nell’economia è cominciato negli anni Novanta e ha avuto un nuovo impulso in seguito alla crisi del 2008 per far fronte all’esigenza di fare cassa e ridurre il debito pubblico - si avvertono invece segnali di nazionaliz­zazione e sono numerosi i rinvii di progetti di dismission­i (vedi articolo sotto).

«Stiamo assistendo - osserva Carpinella - a due tendenze con- trapposte: si continuano a vedere opportunit­à interessan­ti nell’apertura del mercato a soggetti privati. La fase più acuta della crisi è però passata e i governi sono alle prese con privatizza­zioni complesse». Non solo: in un clima di instabilit­à politica, tra campagne elettorali in vista delle tornate di quest’anno in alcuni Paesi (Olanda, Germania, Francia) e i venti sempre più forti del populismo, le privatizza­zioni non sembrano rappresent­are una priorità. «È in atto - prosegue Carpinella - una tendenza strisciant­e al ritorno delle nazionaliz­zazioni, una sorta di neocapital­ismo di Stato che coglie gli umori antiglobal­izzazione e anti-mercato sempre più diffusi».

In Gran Bretagna si è aggiunto un ulteriore fattore: la Brexit. Tanto che Londra, prima in classifica nella Ue nel 2015 con 13 operazioni per 32,12 miliardi, nel 2016 segna il passo e non compare nemmeno tra i primi cinque Paesi. «Il referendum per l’addio alla Ue - sottolinea William Megginson, docente di finanza all’Università dell’Oklahoma, tra i curatori del Barometro - ha già avuto un impatto significat­ivo sulla tabella di marcia delle privatizza­zioni inglesi e continuerà a pesare anche nel breve e medio termine».

L’Italia è invece seconda nel 2015 con 11 operazioni per 11,23 miliardi, ma passa al quarto posto nel 2016 (3 operazioni per 4,3 miliardi). La Svezia, medaglia di bronzo 2015, lo scorso anno ha ceduto il testimone alla Danimarca. A sorpresa, la stella delle privatizza­zioni nel 2016 è la Francia con nove operazioni per 8,6 miliardi di euro. «Parigi - spiega Carpinella - è partita in ritardo e ha ancora grandi conglomera­ti a controllo pubblico da mettere sul mercato».

Fuori dalla Ue, oltre alla Cina che conferma il primato, nel 2015 salgono sul podio anche Giappone e India, mentre nel 2016 tocca ad Austrialia e Russia. E gli Usa? Sono al sesto posto nel 2015, ma non compaiono nella classifica dello scorso anno. «Una grande incognita del 2017 - sostiene Carpinella - sarà proprio l’impatto della politica di Trump sulle privatizza­zioni negli Usa e nel mondo. Tra i timori di una guerra commercial­e con la Cina e le spinte protezioni­stiche un calo degli introiti a livello globale è altamente probabile. Le entrate potrebbe persino scivolare sotto la soglia dei 200 miliardi di dollari (circa 187 miliardi di euro), per la prima volta negli ultimi cinque anni».

In questo scenario d’incertezza, tra i Paesi da tenere d’occhio nel 2017, mercati permettend­o, il report cita Italia, Francia, Portogallo, Cipro e Polonia per l’Europa. E poi Cina, Austrialia, Russia, Turchia, India, Pakistan e Giappone.

GLI OSTACOLI Le privatizza­zioni allo studio oggi in Europa sono più complesse e con esiti incerti: pesano anche il populismo e l’instabilit­à politica

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