Rilancio italiano con due «tranche»
L’Italia si appresta a rimettere in moto il processo di privatizzazione che era stato riavviato dal governo Renzi. Il collocamento di una seconda tranche del capitale di Poste Italiane è in calendario per il primo semestre, orientativamente tra giugno e luglio. Mentre sempre nel corso del 2017 potrebbe finalmente prendere forma la quotazione in Borsa della parte pregiata delle Ferrovie dello Stato, come l’Alta velocità e i treni a lunga percorrenza. Ma forse mai come in questo momento la ripresa del processo di cessione del capitale di società controllate dallo Stato è densa di significati e di implicazioni.
Le scelta del ministero dell’Economia di alzare il velo sulle proprie intenzioni in tema di privatizzazioni nei giorni scorsi (si veda Il Sole 24 Ore di venerdì scorso) probabilmente non a caso coincide con il delicato negoziato che il governo italiano ha in corso con Bruxelles sulla richiesta da parte della Ue di una manovra aggiuntiva da 3,4 miliardi. Ma ci sono altre partite che si giocano sulle società a controllo pubblico: come quella legata alla scadenza del mandato per i vertici di Poste Italiane, Eni, Enel, Leonardo Finmeccanica, ma anche di Enav, la cui Ipo è stata portata a termine con successo nel luglio 2016, a pochi giorni dal referendum sulla Brexit. La scelta di calendarizzare la cessione della seconda tranche di Poste a giugno porta con sè, come corollario, l’inevitabile conferma dell’attuale management guidato da Francesco Caio e probabilmente anche la presidente Luisa Todini. L’orientamento su Poste sembra sottintendere che anche per le altre aziende sotto rinnovo, come Eni, Enel, Enav la scelta possa essere analoga perlomeno nelle posizioni chiave. Le assemblee di queste società quest’anno si terranno in anticipo rispetto al passato e saranno tutte concentrate tra metà aprile e inizio maggio. Questo implica che il governo dovrà decidere le nomine entro metà-fine marzo.
Non sarebbe pensabile, del resto, che una quota rilevante della società dei recapiti possa essere ceduta a investitori istituzionali e risparmiatori con un amministratore delegato fresco di nomina. Quest’ultimo vorrebbe quantomeno conoscere a fondo l’azienda in cui è entrato e magari predisporre un nuovo piano industriale. E gli stessi investitori vorrebbero capire quali sono gli orientamenti del nuovo arrivato prima di comprare i titoli. L’altro aspetto da considerare è il contesto politico: sembra al- quanto improbabile che si possa far coincidere una privatizzazione in Borsa con un appuntamento elettorale importante, come sarebbero le elezioni politiche in questa fase. E questo perché l’impatto sui mercati sarebbe inevitabile, con un’amplificazione della volatilità che certo non giova a questo tipo di operazioni. Dunque, si può ipotizzare che un eventuale appuntamento elettorale non sia destinato ad arrivare prima dell’autunno o addirittura prima del 2018.
Le privatizzazioni sulla rampa di lancio non porteranno in ogni caso incassi record per lo Stato e comunque saranno inferiori a quelli derivati dalle operazioni
GLI INTROITI POSSIBILI Con le quote in vendita quest’anno il Tesoro potrebbe riuscire a incassare fino a 3,5 miliardi
fatte, per esempio, nel 2016 (Ipo Poste e quota di Enel) che hanno determinato proventi per oltre 5 miliardi. La seconda tranche di Poste, ai corsi attuali di Borsa, potrebbe determinare un incasso di 2,4 miliardi. Meno definibile la situazione per l’Alta velocità, perché sarebbe una privatizzazione indiretta, visto che a vendere saranno le Ferrovie e non lo Stato. Fs dovrebbe poi distribuire un dividendo straordinario al Tesoro, il cui valore - a fronte della quotazione del 30% dell’Alta velocità - potrebbe essere attorno a un miliardo. Complessivamente nel 2017 il Tesoro potrebbe incassare fino a 3,5 miliardi. Tra il 2012 e il 2016 le privatizzazioni (incluso il passaggio del controllo di Fintecna, Sace, Simest e alla Cdp) hanno determinato introiti per 16 miliardi.