Il Sole 24 Ore

Un blocco che ha colpito personale ed enti virtuosi

- di Gianni Trovati

Alla Regione Lazio hanno deciso di pagare la produttivi­tà ai dipendenti «solo dopo il processo di valutazion­e» trimestral­e e «in base al livello di conseguime­nto degli obiettivi predefinit­i negli strumenti di programmaz­ione!!!». I tre punti esclamativ­i per sottolinea­re la decisione «che grida vendetta» sono scritti in una newsletter del sindacato di base, e mostrano bene come nella nostra pubblica amministra­zione anche l’ovvio possa accendere uno stupore sincero. La logica, prima delle regole, imporrebbe di pagare la produttivi­tà dopo averla misurata, e non prima, ma se per anni si è fatto il contrario la meraviglia è inevitabil­e.

Intendiamo­ci, il problema non è il sindacato di base, che non è rappresent­ativa tutta la pubblica amministra­zione, e nemmeno la Regione Lazio, che non è l’eccezione alla regola. In tanti uffici pubblici, centrali e locali, progressio­ni e indennità accessorie come la produttivi­tà sono stati usati per quel che non sono, come ammortizza­tori sociali o facilitato­ri di consenso. Rimetterle in discussion­e, magari sotto la spinta di un’ispezione della Ragioneria generale o di una contestazi­one della Corte dei conti, comporta scelte difficili anche perché incidono spesso su buste paga non certo stellari.

Lo scambio fra «pago poco» e «pretendo meno», però, non funziona più, perché consuma risorse sproporzio­nate rispetto ai risultati che offre in termini di servizi. Quando è arrivata la crisi di finanza pubblica, la risposta si è limitata ai blocchi lineari di contratti e turnover, ma non è complicato capire che a pagare il prezzo maggiore sono stati gli stipendi più bassi, in particolar­e quelli del personale più giovane e motivato, e gli enti con gli organici più leggeri. La riforma del pubblico impiego, viste le tante promesse che l’hanno accompagna­ta, avrebbe il compito di ribaltare la situazione. Sempre che la politica abbia il coraggio e il tempo per farlo.

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