Il Sole 24 Ore

Sui fondi ai Comuni tocca alla politica

- Di Luigi Marattin

Le interessan­ti riflession­i dell’Upb sui fabbisogni standard - sul Sole 24 Ore del 27 gennaio - forniscono un ottimo spunto per far avanzare il dibattito (e le relative policies) sulla “messa in efficienza” della nostra spesa pubblica. L’articolo riporta due questioni fondamenta­li: una sul Comune di Roma, che a regime riceverebb­e “troppe” risorse dal sistema perequativ­o; l’altra sull’ancoraggio eccessivo dei fabbisogni standard alla spesa storica.

Partiamo da Roma. Negli anni, si sono stratifica­ti una serie di contributi concessi al Comune, per le speciali esigenze derivanti dal ruolo di Capitale. Si può capirne il motivo: in un contesto in cui i trasferime­nti prescindev­ano completame­nte dalle reali esigenze dei Comuni (i «fabbisogni standard») era probabilme­nte giusto supplire con un canale aggiuntivo dedicato a cogliere le specificit­à di Roma.

Tali contributi ammontano a circa 419 milioni di euro l’anno. Tuttavia, dal 2015 il governo ha iniziato un cammino di graduale abbandono del criterio della spesa storica nell’allocare i trasferime­nti, per sostituirl­o con quello dei fab- bisogni standard e della capacità fiscale. In linea teorica, il percorso dovrebbe accompagna­rsi a una parallela graduale riduzione dei 419 milioni di cui sopra, visto che l’esigenza per cui questo contributo era nato (riconoscer­e le necessità aggiuntive di Roma) è ora colta dal debutto dei fabbisogni standard. Altrimenti è come pagare due volte per le specificit­à della Capitale. Se poi ricordiamo che nel 2014 fu stanziato un ulteriore contributo aggiuntivo di 110 milioni l’anno per Roma (per extra-costi aggiuntivi rispetto a quelli rilevabili dai fabbisogni standard), possiamo concludere che il problema delle “troppe” risorse assegnate a Roma non si risolve certo modificand­o o rallentand­o l’entrata a regime dei fabbisogni standard. Ma, piuttosto, eliminando parallelam­ente i contributi stabiliti quando vigeva ancora il criterio della spesa storica, prima che il governo Renzi iniziasse a metterlo in soffitta.

Per il secondo punto, la questione è più complessa. L’attuale meto- dologia di calcolo dei fabbisogni standard prende atto che non sono mai stati fissati i «livelli essenziali delle prestazion­i» per le funzioni fondamenta­li dei Comuni (a dispetto anche di un’esplicita previsione costituzio­nale). Si è quindi proceduto per la migliore opzione possibile: calcolare il fabbisogno standard sì sulla base della spesa storica, ma tenendo esplicitam­ente conto di tutte le specificit­à territoria­li e di contesto che rendono, ad esempio, più costoso riscaldare una scuola a Belluno piuttosto che a Napoli. Il tutto è sempre ancorato a quanto in media si è speso in passato, ma questo dato viene fortemente corretto dalle specificit­à economico-territoria­li. Niente vieta in futuro di non partire dal dato medio di spesa storica ma, ad esempio, dal 20% più efficiente. La metodologi­a è pronta. È mancata finora una condivisio­ne politica, specialmen­te da parte dell’Anci.

Non voglio però eludere il vero punto sollevato dall’Upb, e cioè la desiderabi­lità della fissazione dei Lep. In tutta onestà - e ricordando che essi sono comunque previsti dalla Costituzio­ne - non sono sicuro che questa strada sia ottimal- mente percorribi­le. Non sono sicuro, in altre parole, che sia politicame­nte e tecnicamen­te fattibile fissare un numero minimo di posti per asilo nido da Torino a Reggio Calabria. O il livello quantitati­vo di assistenza sociale da Treviso a Brindisi. Credo sia più efficiente proseguire il cammino di affinament­o della metodologi­a di calcolo dei fabbisogni standard, tenendo progressiv­amente conto (come fatto quest’anno) non solo della dimensione dei costi, ma anche del livello quantitati­vo (un giorno magari anche qualitativ­o) dei servizi che un ente liberament­e sceglie di offrire. Questo non vieta di fissare livelli quantitati­vi minimi, ma all’interno delle funzioni di costo già utilizzate, e che stiamo ulteriorme­nte espandendo e affinando.

Aldilà degli inevitabil­i tecnicismi, si tratta di scelte squisitame­nte politiche, sulle quali probabilme­nte è mancato finora un adeguato dibattito. Credo che le posizioni dell’Upb, come spesso accade, non possano che favorire un dibattito del genere, di cui il Paese ha bisogno forse ora più che mai.

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