Sui fondi ai Comuni tocca alla politica
Le interessanti riflessioni dell’Upb sui fabbisogni standard - sul Sole 24 Ore del 27 gennaio - forniscono un ottimo spunto per far avanzare il dibattito (e le relative policies) sulla “messa in efficienza” della nostra spesa pubblica. L’articolo riporta due questioni fondamentali: una sul Comune di Roma, che a regime riceverebbe “troppe” risorse dal sistema perequativo; l’altra sull’ancoraggio eccessivo dei fabbisogni standard alla spesa storica.
Partiamo da Roma. Negli anni, si sono stratificati una serie di contributi concessi al Comune, per le speciali esigenze derivanti dal ruolo di Capitale. Si può capirne il motivo: in un contesto in cui i trasferimenti prescindevano completamente dalle reali esigenze dei Comuni (i «fabbisogni standard») era probabilmente giusto supplire con un canale aggiuntivo dedicato a cogliere le specificità di Roma.
Tali contributi ammontano a circa 419 milioni di euro l’anno. Tuttavia, dal 2015 il governo ha iniziato un cammino di graduale abbandono del criterio della spesa storica nell’allocare i trasferimenti, per sostituirlo con quello dei fab- bisogni standard e della capacità fiscale. In linea teorica, il percorso dovrebbe accompagnarsi a una parallela graduale riduzione dei 419 milioni di cui sopra, visto che l’esigenza per cui questo contributo era nato (riconoscere le necessità aggiuntive di Roma) è ora colta dal debutto dei fabbisogni standard. Altrimenti è come pagare due volte per le specificità della Capitale. Se poi ricordiamo che nel 2014 fu stanziato un ulteriore contributo aggiuntivo di 110 milioni l’anno per Roma (per extra-costi aggiuntivi rispetto a quelli rilevabili dai fabbisogni standard), possiamo concludere che il problema delle “troppe” risorse assegnate a Roma non si risolve certo modificando o rallentando l’entrata a regime dei fabbisogni standard. Ma, piuttosto, eliminando parallelamente i contributi stabiliti quando vigeva ancora il criterio della spesa storica, prima che il governo Renzi iniziasse a metterlo in soffitta.
Per il secondo punto, la questione è più complessa. L’attuale meto- dologia di calcolo dei fabbisogni standard prende atto che non sono mai stati fissati i «livelli essenziali delle prestazioni» per le funzioni fondamentali dei Comuni (a dispetto anche di un’esplicita previsione costituzionale). Si è quindi proceduto per la migliore opzione possibile: calcolare il fabbisogno standard sì sulla base della spesa storica, ma tenendo esplicitamente conto di tutte le specificità territoriali e di contesto che rendono, ad esempio, più costoso riscaldare una scuola a Belluno piuttosto che a Napoli. Il tutto è sempre ancorato a quanto in media si è speso in passato, ma questo dato viene fortemente corretto dalle specificità economico-territoriali. Niente vieta in futuro di non partire dal dato medio di spesa storica ma, ad esempio, dal 20% più efficiente. La metodologia è pronta. È mancata finora una condivisione politica, specialmente da parte dell’Anci.
Non voglio però eludere il vero punto sollevato dall’Upb, e cioè la desiderabilità della fissazione dei Lep. In tutta onestà - e ricordando che essi sono comunque previsti dalla Costituzione - non sono sicuro che questa strada sia ottimal- mente percorribile. Non sono sicuro, in altre parole, che sia politicamente e tecnicamente fattibile fissare un numero minimo di posti per asilo nido da Torino a Reggio Calabria. O il livello quantitativo di assistenza sociale da Treviso a Brindisi. Credo sia più efficiente proseguire il cammino di affinamento della metodologia di calcolo dei fabbisogni standard, tenendo progressivamente conto (come fatto quest’anno) non solo della dimensione dei costi, ma anche del livello quantitativo (un giorno magari anche qualitativo) dei servizi che un ente liberamente sceglie di offrire. Questo non vieta di fissare livelli quantitativi minimi, ma all’interno delle funzioni di costo già utilizzate, e che stiamo ulteriormente espandendo e affinando.
Aldilà degli inevitabili tecnicismi, si tratta di scelte squisitamente politiche, sulle quali probabilmente è mancato finora un adeguato dibattito. Credo che le posizioni dell’Upb, come spesso accade, non possano che favorire un dibattito del genere, di cui il Paese ha bisogno forse ora più che mai.