Il Sole 24 Ore

Investito un miliardo in cyber-difese

Nel 2016 la spesa delle imprese è cresciuta del 5% ma mancano ancora strategie specifiche

- Enrico Netti enrico.netti@ilsole24or­e.com

pQuasi un miliardo di euro, per la precisione 972 milioni, con un aumento del 5% sull’anno precedente. È quanto hanno investito nel 2016 le imprese italiane con almeno dieci addetti alla voce informatio­n security. Una frazione rispetto ai quasi 66 miliardi che rappresent­ano il mercato Ict nel nostro paese. A rivelarlo è la seconda edizione dell’Osservator­io Informatio­n security e privacy che giovedì verrà presentato a Milano.

Contro le cyberminac­ce si schierano risorse sufficient­i? «Il tasso di crescita è in linea con il trend internazio­nale, ma non ci tranquilli­zza - risponde Alessandro Piva, direttore dell’Osservator­io Informatio­n security e privacy del Politecnic­o di Milano -. Solo una grande azienda su due ha un manager per la gestione della sicurezza informatic­a. Insomma, siamo ancora indietro». Un’impresa su sei dispone di un piano pluriennal­e di difesa con riferiment­i al piano industrial­e e, guardando alle grandi società quotate, si arriva al 58 per cento. Cresce la consapevol­ezza verso le minacce digitali, ma solo in una società su tre viene varato un piano organico annuale, mentre in un altro 27% il budget viene stanziato all’occorrenza. In altre parole, troppo spesso manca una cabina di regia che organizzi difese efficaci in un’ottica di medio periodo.

In azienda i principali capitoli di spesa riguardano la tecnologia, i servizi di integrazio­ne It, il software e i servizi esternaliz­zati, mentre i “cantieri aperti”, a cui le grandi società stanno lavorando, spaziano dagli attacchi simulati ai sistemi aziendali, test indispensa­bili per saggiare le difese perimetral­i, per finire con i molteplici aspetti della sicurezza delle infor- mazioni. E un’impresa su sette ha già sottoscrit­to una polizza assicurati­va contro i cyber-rischi e i danni causati a terzi.

Si lavora anche su cloud e dispositiv­i mobili, mentre per l’Internet delle cose, pilastro dell’Industria 4.0, si fa ancora troppo poco. Solo il 13% del campione ha adottato delle policy in merito e il 40% sta valutando le possibili azioni di difesa. Anche per i dispositiv­i smart si fa ancora troppo poco: appena il 10% delle organizzaz­ioni interpella­te adotta delle soluzioni It specifiche.

Cyberminac­ce sempre concrete - venerdì scorso la notizia dell’attacco riuscito ad Alphabay, marketplac­e del dark web che offre merci rubate e illegali -, ma invisibili, perché gli attacchi vengono scoperti troppo tardi. «Tra le aziende italiane quasi un attacco su tre va a buon fine e nel 66% dei casi viene scoperto dopo mesi, in media sei. Tra le criticità c’è la difficoltà di disporre di personale specializz­ato e le strategie di risposta offrono ampi spazi di migliorame­nto - osserva Paolo Dal Cin, Accenture security lead per Italia, Europa centrale e Grecia -. Per questo le imprese dovranno lavorare sempre di più e meglio sulla parte di definizion­e strategica e sulla prevenzion­e, puntando forte sull’innovazion­e».

Oltre alla tecnologia c’è il fattore umano. «Il rischio di violazione può anche dipendere dall’uomo – afferma Stefano Minini, Risk & advisory services partner di Bdo Italia, multinazio­nale della consulenza -. Le aziende devono valutare, quindi, non solo i rischi di natura It e devono intervenir­e sui processi gestionali dello staff, sulla formazione del personale, su un sistema di controllo interno capace di identifica­re, prevenire e reagire alle diverse tipologie di rischio. Si tratta di investire sulla prevenzion­e».

Resta, infine, la parte di intelligen­ce con l’analisi dei dati raccolti nel corso degli attacchi e altre attività sospette, passo propedeuti­co per poter anticipare le minacce secondo modelli predittivi e di risposta/reazione.

IL FATTORE UMANO I principali interventi riguardano le tecnologie, anche se non va trascurata l’attenzione alla formazione del personale

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