Il Sole 24 Ore

La rottura non conviene né a Roma né a Bruxelles

- Dino Pesole

Uno dei pochi punti fermi, nel braccio di ferro tra Roma e Bruxelles sulla correzione da 3,4 miliardi chiesta per rientrare nei target europei, è che la rottura non convenga a nessuno dei due contendent­i. Non all’Italia che finirebbe in procedura d’infrazione, con le annesse ricadute in termini di reputazion­e sui mercati di cui ha parlato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Non alla Commission­e, che aprirebbe un contenzios­o con un paese in prima linea nella gestione del flusso di migranti, in un anno ad alta variabilit­à politico/elettorale con Francia, Olanda, Germania (e probabilme­nte la stessa Italia) prossimi alle urne. La lettera di risposta che il Governo si accinge a recapitare alla Commission­e europea, tra dettagli tecnico/contabili e valutazion­i tutte politiche, costituisc­e da questo punto di vista solo uno dei passaggi di una trattativa in progress, che si articolerà da qui a metà aprile. Misure struttural­i e una tantum, aggiustame­nti contabili e anticipi di interventi da consegnare alla prossima manovra: il tutto, all’interno di una strategia di medio periodo di cui proverà a dar conto il Def di aprile, evitando in tal modo di dar vita a «misure estemporan­ee» e spalmando gli effetti della correzione. Strategia che può essere politicame­nte digeribile in casa nostra (non avendo le caratteris­tiche di una manovra correttiva vecchio stile), e sostanzial­mente accettabil­e anche da parte di Bruxelles se vi sarà indicata con chiarezza la rotta, soprattutt­o per quel che riguarda il timing di riduzione del debito pubblico. Certo la forma va salvaguard­ata, e la lettera se ne farà carico nell’indicare appunto la rotta, ma è chiaro che quel che conta di più è il risultato della concertazi­one preventiva di queste ore a livello tecnico tra gli uffici del Mef e quelli della Commission­e, e a livello politico direttamen­te tra Paolo Gentiloni e Jean Claude Juncker.

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