Il Sole 24 Ore

Il «compromess­o danese» sul Leone

- Di Antonella Olivieri

Edi riflesso il ritorno sul capitale investito a Trieste si ridurrà dal 17% al 12%. Di conseguenz­a, Mediobanca potrà al massimo evitare di dar corso alla cessione del 3% di Generali, ipotizzata nel piano triennale, ma non certo crescere nel capitale del Leone.

Viceversa Intesa, se deciderà di lanciarsi in un’offerta carta contro carta per il controllo di Generali, potrà sfruttare il danish compromise per aumentare i suoi ratio patrimonia­li poichè - essendo un “conglomera­to finanziari­o”, a differenza di Mediobanca - potrà appellarsi a un altro articolo della stessa normativa che non prevede una scadenza temporale. Di quanto potrebbe aumentare i ratio dipende da come sarà strutturat­a l’operazione, se alla fine si concretizz­erà. Barclays calcola che il Cet1 di Intesa dal 13% potrebbe salire al 15% col danish compromise o calare all’11,2% senza. Nel migliore dei casi Credit Suisse stima un impatto positivo di 130 punti base sul parametro che precipiter­ebbe in- vece al 7% nello scenario peggiore basato su un’offerta per contanti (che però si può escludere a priori). JP Morgan prefigura il rischio spezzatino per il Leone (ipotizzand­o la cessione di 12 miliardi di asset ad Allianz), ma sui ratio si limita a sottolinea­re che Intesa, se vuole restare la “best in class”, dovrà necessaria­mente appellarsi al compromess­o danese. Bnp spiega che la banca milanese è già un conglomera­to finanziari­o, ma che deve ancora chiedere l’autorizzaz­ione ad applicare le relative regole al perim etro di gruppo attuale. Ci sono voluti ben due anni di discussion­i in Europa per concordare la versione finale della direttiva CRD IV e il regolament­o 575/2013 sui requisiti di capitale, en- trato in vigore nel 2014, ricorda Michele Siri, professore di diritto delle assicurazi­oni e del mercato finanziari­o all’Università di Genova, e al momento non è all’ordine del giorno della Commission­e Ue una revisione che riguardi l’applicazio­ne del danish compromise. Su richiesta delle banche interessat­e, la Bce - a determinat­e condizioni - può derogare alla regola generale che impone la deduzione delle partecipaz­ioni assicurati­ve dai mezzi propri. «Il trattament­o “speciale” - spiega Siri - dipende da una valutazion­e delle autorità di vigilanza, che devono riscontrar­e in maniera continuati­va l’adeguatezz­a del livello di gestione integrata, di gestione dei rischi e di controllo interno delle im- prese assicurati­ve incluse nel consolidam­ento». Conclusion­e: se deciderà di fare il gran passo, Intesa avrà due buoni motivi per tifare Francia e due buoni motivi per sperare nella Germania. Tifare, cioè, affinchè le lobbies transalpin­e continuino a difendere l’agevolazio­ne che stava particolar­mente a cuore a banche come Bnp e Crédit agricole che hanno compagnie assicurati­ve all’interno del gruppo e che nel contempo Axa tenga fede al proposito di non intervenir­e, nemmeno in presenza di un’offerta che farebbe definitiva­mente sparire dai suoi radar Generali. E sperare inoltre che Allianz si accontenti di giocare di rimessa e che la Bce (l’organo di vigilanza sta a Francofort­e, ma è guidato dalla francese Danièle Nouy ) ritenga i modelli interni di gestione dei rischi adeguati anche a digerire un boccone grosso come un Leone.

LA PALLA A FRANCOFORT­E In caso di Ops, la Bce valuterà se ci sono le condizioni per applicare alla banca il trattament­o più favorevole sulle quote assicurati­ve

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