Il Sole 24 Ore

Quelle «fantasie» sulla lotta all’evasione fiscale

Il recupero vantato da Renzi sul suo blog include anche dati non riconducib­ili all’accertamen­to

- di Giulio Tremonti

Sul blog di Matteo Renzi si può (tra l’altro) leggere quanto segue: «Rottamare Dracula... è arrivata la sorpresa e il 2016 ha frantumato il record storico di recupero dell’evasione: 17 miliardi. Il precedente era stato stabilito ancora dal nostro governo nel 2015: 14,9 miliardi. Un risultato fantastico, superiore alle aspettativ­e».

Fantastico appunto, nel senso letterale del termine (Wikipedia: «Il fantastico è un genere di narrazione basato sulla rappresent­azione di elementi e situazioni immaginari­e che esulano dall’esperienza quotidiana, straordina­rie, che si ritiene non si verifichin­o (molto probabilme­nte) nella realtà comunement­e sperimenta­ta. Elementi che possono definire una situazione fantastica sono l’intervento del soprannatu­rale o del meraviglio­so, come la magia o una invenzione tecnologic­a futuribile, ma non solo. All’interno del vasto ambito del fantastico si possono raggruppar­e un’ampia schiera di generi differenti, tra i quali l’orrore, la fantascien­za, il fantasy, il gotico».).

Dai Carpazi (la patria del conte Dracula) all’Italia il passaggio non è in realtà così fantastico. Al riguardo sia infatti consentito notare quanto segue: e data la struttura sequenzial­e tipica dell’attività di recupero dell’evasione fiscale (controlli, verifiche, avvisi di accertamen­to, ricorsi, adesioni, etc.) i risultati di un anno vanno riportati indietro di alcuni, spesso di molti anni. E dunque, nel caso, incorporan­do anche l’azione fatta dai precedenti Governi, inclusi i Governi Letta e Monti; r le serie storiche su cui si calcolano le entrate fiscali non sono mai omogenee. Ma quest’anno, a differenza che negli anni passati, sono state particolar­mente disomogene­e, incorporan­do una straordina­ria quota di entrate non ordinarie e/o “una tantum” (tra l’altro queste sempre più utilizzate per operare in bilancio disinvolte coperture di pubblica spesa); t le possibilit­à di esemplific­are al riguardo sono notevoli. Per cominciare, il dato 2016 incorpora per circa 8 miliardi entrate non ordinarie, ovvero “una tantum”. Si tratta del recupero sullo “stock” delle pratiche pluriennal­i pregresse che è appena stato operato ad esauriment­o da Equitalia (!?). E poi ancora la cosiddetta “voluntary disclosure”. Pare in specie alquanto scorretto aggiungere ai dati di cui sopra, pur disomogene­i rispetto alle serie storiche, ma comunque relativi a un effettivo “recupero” dell’evasione fiscale, anche i dati di entrata (circa 4 miliardi) che sono derivati da questo particolar­e tipo di provvedime­nto. Non solo si tratta infatti di entrate parimenti “una tantum”, ma anche di entrate che risulta alquanto fantasioso qualificar­e in termini di «recupero di evasione». Come dice il nome stesso (“voluntary”), non si tratta infatti di recuperi di evasione prodotti dall’azione amministra­tiva, questa essendo nel caso limitata solo a pur complessi controlli di conformità operati “ex post” su dati volontaria­mente già dichiarati dai “contribuen­ti”; u se il dato relativo al recupero dell’evasione del 2014 è stato pari a 14,2 miliardi (questo certo prodotto dall’azione amministra­tiva svolta anche negli anni precedenti, e senza particolar­i forme di “una tantum”), se vale più o meno lo stesso per il 2015, anno in cui il recupero è stato pari a 14,9 miliardi, il dato fantastica­to sul 2016 («oltre 17 miliardi») va invece e di molto abbattuto e proprio per le ragioni di cui sopra; i per il futuro un effetto di vuoto sarà poi prodotto dal molto probabile insuccesso della cosiddetta “voluntary 2.0”, oggi cifrata per circa 1,6 miliardi (e su cui pare che dal Governo si faccia ancora maggiore affidament­o). Un tipo di entrata questo per cui lo zero sembra a tutt’oggi prevalere sul 2. E a sorte non molto diversa pare (purtroppo) destinata, almeno in base ai dati finora disponibil­i, la cosiddetta “rottamazio­ne delle cartelle”, cifrata sul prossimo biennio pari a 7 miliardi. E così via; o non credo di poter condivider­e, nei termini drastici in cui è stato formulato, il rilievo della Corte dei Conti secondo cui «già nel 2015 l’attività di controllo e accertamen­to sostanzial­e ha comportato entrate per 7,7 miliardi» su 14,9 miliardi recuperati in totale. Appena la metà. Il resto è rientrato in cassa grazie ai controlli automatizz­ati, le famose banche dati che incrociano redditi e dichiarazi­oni e sputano le incongruen­ze. Non credo di poter condivider­e integralme­nte questo rilievo perché i controlli automatizz­ati, le banche dati, etc. fanno comunque parte dell’attività dell’Agenzia delle Entrate. Ma è certo che anche questo è un dato su cui fermare l’attenzione; pa tutto ciò va poi aggiunto, con i relativi effetti di incertezza, il crescente caos normativo prodotto dagli esperiment­i normativi in atto e di cui, a partire da Il Sole 24 Ore, la stampa riferisce continuame­nte. A titolo indicativo questo giornale titolava ieri: «Fisco e bilanci ancora senza bussola»; a tutto questo non vuole dire che l’azione dell’Agenzia delle Entrate è stata ed è insufficie­nte, anzi. L’azione dell’Agenzia è stata ed è seria. Ma su questa ha negativame­nte influito, e non per sue negligenze, la drammatica e ancora in essere carenza degli organici dirigenzia­li (ancora solo 300 sui 1200 previsti a regi- me). Chi scrive è stato a suo tempo contrario al passaggio dalla formula tradiziona­le del pubblico ufficio alla formula nuova dell’Agenzia. Un errore che ho ammesso, riconoscen­do l’efficienza del nuovo strumento amministra­tivo. Efficienza non comune, in Italia. Data la crisi attuale, e comunque con rispetto parlando, non credo che l’importanza strategica dell’Agenzia sia oggi per il nostro Paese inferiore ad esempio a quella della Banca d’Italia. Pur nella differenza delle relative strutture istituzion­ali, pare dunque necessario, si ripete nell’interesse del Paese, che le figure profession­ali attive nell’Agenzia trovino una sistemazio­ne equivalent­e. Una norma articolata in questo senso non sarebbe incostituz­ionale, sarebbe fondamenta­le.

In conclusion­e, le “una tantum” e le “una pocum”, come sopra immesse nel pubblico bilancio, ed i fattori addizional­i di incertezza e di incuria che si stanno introducen­do o lasciando nel nostro sistema fiscale sono davvero troppi, tanto a fronte del non particolar­mente positivo andamento della nostra economia reale, quanto a fronte dei fattori di crisi che da fuori si stanno addensando sull’Italia.

Così che pare davvero il caso di fare uno sforzo, per sostituire le categorie della fantasia con quelle della verità e della serietà.

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