Il Sole 24 Ore

Francofort­e «apre» a un Fondo europeo per smaltire i crediti deteriorat­i

- di Isabella Bufacchi @isa_bufacchi isabella.bufacchi@ilsole24or­e.com

Una soluzione europea a un problema europeo. Un modo per cancellare lo “stigma” a livello nazionale. Un intervento per riaffermar­e l’esistenza di un’Europa unita, solida, forte, capace di risolversi in un contesto difficile ora per le sfide poste dal Trumpismo e da Brexit. Vista così, la creazione di una asset management company in Europa, un Fondo europeo dei crediti deteriorat­i (Fecd) che riesca a rastrellar­e in grandi numeri i non-performing loans che più appesantis­cono il bilancio delle banche europee, è una buona cosa, ha del bello. Così la pensano, alcuni, nella Francofort­e dedicata alla supervisio­ne bancaria, che pone al centro del tavolo il problema dei Npl .

Su come nel dettaglio creare una “bad bank” europea - termine improprio perché non si tratta di una banca ma di una società di gestione o meglio ancora di un fondo - non si è neppure iniziato a discuterne. Non esiste una proposta articolata, il dibattito è agli albori, prende spunto da un’idea appena imbastita dall’Eba e rilanciata tra i tanti elementi in una presentazi­one del presidente dell’Autorità bancaria europea Andrea Enria in casa dell’Esm (il meccanismo europeo di stabilità che da salva-stati è ora anche salva-banche in quanto può prestare agli Stati i fondi per ricapitali­zzare le banche).

Francofort­e approva nelle grandi linee questo tipo di Fondo ma alcuni aspetti specifici non convincono, tra i quali la durata suggerita dall’Eba. Quei 3 anni, colpa del claw back, sono visti come un’incertezza insostenib­ile. Si storce il naso infatti alla stessa clausola di ritorno, che dopo un triennio riporta le perdite nel bilancio della banca nel caso in cui il Fondo non riesca a vendere sul mercato i crediti deteriorat­i al prezzo al quale li ha acquistati dalla banca. Piace invece il tentativo di questo Fondo europeo di consentire alle banche di cedere i Npl a un prezzo più alto del valore stracciato della svendita, superiore a quel- lo che tentano di imporre i fondi avvoltoio: si evita così alla banca di disfarsi degli asset in un mercato illiquido, opaco, dominato da pochi. Riducendo al minimo il ruolo dello Stato e quindi del contribuen­te, come inteso anche dall’Eba.

Il percorso per arrivare al Fondo è incastonat­o dentro la direttiva Brrd e questo significa che l’intervento pubblico sta nella ricapitali­zzazione precauzion­ale con burden sharing: a Francofort­e non si perde occasione per ricordare che le regole che sono in vigore in Europa sulla regolament­azione bancaria e sugli aiuti di Stato in ambito bancario, piacciano o non piacciano, vanno rispettate. Sono molto spesso regole concepite dopo la Grande Crisi 2008-2010, un’esperienza irripetibi­le.

Il Fondo europeo per i crediti deteriorat­i potrebbe dunque prendere questa forma, all’interno della direttiva su risoluzion­e e risanament­o delle banche: 1) si costituisc­e un Fondo pubblico, come l’Esm, con il capitale sottoscrit­to dai 19 Stati membri dell’Unione monetaria o dai 28 dell’Unione europea. Le quote per paese verrebbero ripartite in base alla fetta di Npl acquistata dal Fondo; 2) il Fondo si finanzia sul mercato emettendo bond, come è stato fatto per l’Esm che ha un rischio di credito equiparabi­le a un ente sovrannazi­onale; 3) il Fondo è grande e ha il potere negoziale per acquistare Npl a un prezzo più alto di quello di mercato ma non troppo alto per evitare infrazioni su aiuto di Stato della Dg comp, che svolge un ruolo importante nel favorire la concorrenz­a nel settore bancario; 4) le banche vendono i Npl al Fondo e accusano subito una perdita, equivalent­e alla diffe- renza tra il prezzo di cessione dell’asset e il valore di libro in bilancio; 5) le banche più forti coprono la perdita con aumento di capitale sul mercato mentre le banche più deboli fanno ricorso alla ricapitali­zzazione precauzion­ale e quindi vengono sottoposte a uno stress test ad hoc; 6) lo stress test fa emergere il deficit di capitale coperto da una ricapitali­zzazione precauzion­ale a carico dello Stato e dal burden sharing; 7) la banca, ripulita dai Npl, potrà collocare sul mercato nuovi prestiti subordinat­i e rispettare la normativa Mrel per riformare il cuscinetto “bail-inable”, 8) il Fondo intanto fa gestire i Npl da specialist­i del recupero crediti, per il tempo necessario.

Le regole europee scritte dai legislator­i non sempre piacciono a tutti a Francofort­e, ai supervisor­i: ma i regolatori se le fanno piacere. Non va bene mettere sullo stesso piano l’equity e le CoCos e bisognerà fare attenzione a non scontentar­e troppo chi in futuro dovrà sottoscriv­ere gli strumenti ibridi richiesti dalla Mrel; si crea confusione sul mercato e si perde tempo prezioso in caso di crisi , dovendo applicare con la doppia formula della guidance e dell’obbligo sui requisiti di capitale prudenzial­e. In quanto a operazioni come Intesa-Generali, l’ultima parola su gradimento o rigetto spetta ai mercati. Ai supervisor­i va il compito di creare le condizioni per favorire le fusioni e aggregazio­ni, e a livello di M&A transfront­aliero non ci sono colossi che la vigilanza unica europea, con le sue spalle forti, non riesca a gestire. Questa è l’Unione europea. Un’Europa che cerca soluzioni europee per i grandi numeri, come potrebbe essere il Fondo Npl, e che al tempo stesso favorisce soluzioni locali per le banche meno rilevanti (less significan­t), la creazione di entità del tipo Fondo Atlante. L’importante è cancellare, dove e come si può, lo “stigma” a livello nazionale, dove i Npl non sono un caso italiano, sono un caso euroeurope­o.

L’INTERVENTO PUBBLICO La company che acquista le sofferenze può portare alla ricapitali­zzazione precauzion­ale e al burden sharing

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