Francoforte «apre» a un Fondo europeo per smaltire i crediti deteriorati
Una soluzione europea a un problema europeo. Un modo per cancellare lo “stigma” a livello nazionale. Un intervento per riaffermare l’esistenza di un’Europa unita, solida, forte, capace di risolversi in un contesto difficile ora per le sfide poste dal Trumpismo e da Brexit. Vista così, la creazione di una asset management company in Europa, un Fondo europeo dei crediti deteriorati (Fecd) che riesca a rastrellare in grandi numeri i non-performing loans che più appesantiscono il bilancio delle banche europee, è una buona cosa, ha del bello. Così la pensano, alcuni, nella Francoforte dedicata alla supervisione bancaria, che pone al centro del tavolo il problema dei Npl .
Su come nel dettaglio creare una “bad bank” europea - termine improprio perché non si tratta di una banca ma di una società di gestione o meglio ancora di un fondo - non si è neppure iniziato a discuterne. Non esiste una proposta articolata, il dibattito è agli albori, prende spunto da un’idea appena imbastita dall’Eba e rilanciata tra i tanti elementi in una presentazione del presidente dell’Autorità bancaria europea Andrea Enria in casa dell’Esm (il meccanismo europeo di stabilità che da salva-stati è ora anche salva-banche in quanto può prestare agli Stati i fondi per ricapitalizzare le banche).
Francoforte approva nelle grandi linee questo tipo di Fondo ma alcuni aspetti specifici non convincono, tra i quali la durata suggerita dall’Eba. Quei 3 anni, colpa del claw back, sono visti come un’incertezza insostenibile. Si storce il naso infatti alla stessa clausola di ritorno, che dopo un triennio riporta le perdite nel bilancio della banca nel caso in cui il Fondo non riesca a vendere sul mercato i crediti deteriorati al prezzo al quale li ha acquistati dalla banca. Piace invece il tentativo di questo Fondo europeo di consentire alle banche di cedere i Npl a un prezzo più alto del valore stracciato della svendita, superiore a quel- lo che tentano di imporre i fondi avvoltoio: si evita così alla banca di disfarsi degli asset in un mercato illiquido, opaco, dominato da pochi. Riducendo al minimo il ruolo dello Stato e quindi del contribuente, come inteso anche dall’Eba.
Il percorso per arrivare al Fondo è incastonato dentro la direttiva Brrd e questo significa che l’intervento pubblico sta nella ricapitalizzazione precauzionale con burden sharing: a Francoforte non si perde occasione per ricordare che le regole che sono in vigore in Europa sulla regolamentazione bancaria e sugli aiuti di Stato in ambito bancario, piacciano o non piacciano, vanno rispettate. Sono molto spesso regole concepite dopo la Grande Crisi 2008-2010, un’esperienza irripetibile.
Il Fondo europeo per i crediti deteriorati potrebbe dunque prendere questa forma, all’interno della direttiva su risoluzione e risanamento delle banche: 1) si costituisce un Fondo pubblico, come l’Esm, con il capitale sottoscritto dai 19 Stati membri dell’Unione monetaria o dai 28 dell’Unione europea. Le quote per paese verrebbero ripartite in base alla fetta di Npl acquistata dal Fondo; 2) il Fondo si finanzia sul mercato emettendo bond, come è stato fatto per l’Esm che ha un rischio di credito equiparabile a un ente sovrannazionale; 3) il Fondo è grande e ha il potere negoziale per acquistare Npl a un prezzo più alto di quello di mercato ma non troppo alto per evitare infrazioni su aiuto di Stato della Dg comp, che svolge un ruolo importante nel favorire la concorrenza nel settore bancario; 4) le banche vendono i Npl al Fondo e accusano subito una perdita, equivalente alla diffe- renza tra il prezzo di cessione dell’asset e il valore di libro in bilancio; 5) le banche più forti coprono la perdita con aumento di capitale sul mercato mentre le banche più deboli fanno ricorso alla ricapitalizzazione precauzionale e quindi vengono sottoposte a uno stress test ad hoc; 6) lo stress test fa emergere il deficit di capitale coperto da una ricapitalizzazione precauzionale a carico dello Stato e dal burden sharing; 7) la banca, ripulita dai Npl, potrà collocare sul mercato nuovi prestiti subordinati e rispettare la normativa Mrel per riformare il cuscinetto “bail-inable”, 8) il Fondo intanto fa gestire i Npl da specialisti del recupero crediti, per il tempo necessario.
Le regole europee scritte dai legislatori non sempre piacciono a tutti a Francoforte, ai supervisori: ma i regolatori se le fanno piacere. Non va bene mettere sullo stesso piano l’equity e le CoCos e bisognerà fare attenzione a non scontentare troppo chi in futuro dovrà sottoscrivere gli strumenti ibridi richiesti dalla Mrel; si crea confusione sul mercato e si perde tempo prezioso in caso di crisi , dovendo applicare con la doppia formula della guidance e dell’obbligo sui requisiti di capitale prudenziale. In quanto a operazioni come Intesa-Generali, l’ultima parola su gradimento o rigetto spetta ai mercati. Ai supervisori va il compito di creare le condizioni per favorire le fusioni e aggregazioni, e a livello di M&A transfrontaliero non ci sono colossi che la vigilanza unica europea, con le sue spalle forti, non riesca a gestire. Questa è l’Unione europea. Un’Europa che cerca soluzioni europee per i grandi numeri, come potrebbe essere il Fondo Npl, e che al tempo stesso favorisce soluzioni locali per le banche meno rilevanti (less significant), la creazione di entità del tipo Fondo Atlante. L’importante è cancellare, dove e come si può, lo “stigma” a livello nazionale, dove i Npl non sono un caso italiano, sono un caso euroeuropeo.
L’INTERVENTO PUBBLICO La company che acquista le sofferenze può portare alla ricapitalizzazione precauzionale e al burden sharing