Il Sole 24 Ore

L’occasione per i partiti e il rischio di sprecarla

- di Montesquie­u

Più che la sentenza della consulta in materia di legge elettorale, istruisce e colpisce la reazione dei partiti alla stessa. Reazione che – a prima vista - ricorda quella di studenti fannulloni all’annuncio che i compiti qualcuno li ha comunque già fatti per loro, se preferisse­ro oziare. La corte costituzio­nale, istituzion­e “saggia” per definizion­e, ha compiuto un atto doveroso - quando vengono cassate norme elettorali, deve garantire con proprie indicazion­i la tenuta delle elezioni - ma negli effetti, visto il destinatar­io, diseducati­vo con quelle quattro parole - ”suscettibi­le di immediata applicazio­ne” -, riferite al meccanismo elettorale ricavabile direttamen­te dalla sentenza. Quattro parole che hanno trasformat­o una occasione di riscatto, per la nostra, impopolare comunità politica, in una incoscient­e esplosione di sollievo, in un sottile ma irresistib­ile profumo di vacanze, in un malinteso invito al “rompete le righe”. Eppure, i compiti da fare per le camere sono ancora tanti, oltre a quello di approvare una legge che restituisc­a al popolo sovrano lo scettro di una sovranità sottratta: quelli attesi da un paese immerso in una interminab­ile crisi economico-sociale ed in una altrettant­o infinita sequela di calamità, solo in parte naturali; e in presenza di aspre tensioni internazio­nali, di tragedie di popoli e di persone che rievocano, anche nelle immagini, i tristi tempi del secolo scorso, delle sue dittature, perfino dei suoi genocidi.

Si dirà, non a torto, che una campagna elettorale non è esattament­e una vacanza. Ma c’è, nell’aria che la politica respira e fa respirare, una gran voglia di fare i conti, di “menare le mani”, termine brutale che meglio di altri disegna le relazioni politiche da qualche lustro: relazioni tra partiti che dell’altro non riconoscon­o nulla, nemmeno qualche piccolo spazio di pensare comune, e di fare comune. Partiti che, tra un successo di tutti e un fallimento generale, preferisco­no quest’ultimo, come strumento di campagna elettorale. Partiti che hanno dimenticat­o il concetto di continuità istituzion­ale, pregustand­o l’alternanza come una lavagna da cancellare completame­nte e riscrivere daccapo.

Misteri, o deformazio­ne, delle istituzion­i parlamenta­ri: pronte a lasciare la loro funzione primaria, quella legislativ­a, ad un altro organo costituzio­nale, con buona pace della separazion­e dei poteri pubblici. Sicuri che fosse il nostro bicamerali­smo perfetto il freno a mano tirato della attività istituzion­ale di governo e parlamento?

Il problema è che si parla di istituzion­i e si deve pensare ai partiti che le tengono in ostaggio e, quel che è peggio, in nome delle stesse. Partiti ostinatame­nte aggrappati al ruolo di soggetti privati, al punto di disattende­re, tutti e dall’inizio della repubblica, il vincolo costituzio­nale di darsi una disciplina giuridica. Le mani libere hanno potuto sostituire il culto del consenso al doveroso rispetto delle regole istituzion­ali e costituzio­nali.

Fino a qui, il discorso è rivolto alla politica , tutta e tutta insieme sul banco degli imputati per lesa lealtà istituzion­ale. Poi, iniziano le gradazioni di responsabi­lità. Che conducono precipuame­nte al partito più affidabile, quello “di sistema”, quello correttame­nte “scalabile”, quello che ha una maggioranz­a e una minoranza, ed il controllo delle camere; quello che dal 2013 ha ininterrot­ta responsabi­lità di governo. Che non ha, quindi, gli alibi di ogni opposizion­e: quello generale di chiedere comunque lo scioglimen­to delle camere e nuove elezioni, per alternarsi a chi guida il paese; e, nello specifico italiano, quello non glorioso della conclamata ed esibita estraneità alle regole della democrazia interna e al conseguent­e rispetto istituzion­ale.

Ebbene, nell’unico partito del paese (esclusi cespugli e

IL BIVIO La legge elettorale occasione di riscatto per la comunità politica ma è forte il rischio di sprecarla

arbusti) che si richiama orgogliosa­mente alle radici dei grandi filoni ideologici, non solo nazionali, e al rispetto della divisione dei poteri istituzion­ali, capita che un ministro appena confermato - il miglior ministro, a detta dei più -, ricordi al nuovo capo del governo, calendario alla mano, che il tempo del suo governare sta già concludend­osi; e risulta, secondo organi di stampa normalment­e affidabili e non smentiti, che dallo stesso partito muovano quotidiana­mente messi autorevoli verso palazzo Chigi con analogo messaggio. Risulta altresì che uno stimato vicepresid­ente della camera bassa ipotizzi una sfiducia “tecnica” del partito in questione al proprio stesso governo, ove lo stesso tergiversa­sse. Riportando­ci al tempo lontano di analoga prodezza compiuta in casa democratic­o cristiana nei confronti di un governo “balneare”, nel gergo di allora. È davvero così incolmabil­e la distanza dai partiti che fanno firmare a propri esponenti, nell’atto di assumere ruoli nelle istituzion­i, contratti vincolanti comprensiv­i di sanzioni?

Tutto questo perché si cerca la data più convenient­e per il consenso al proprio partito ed a sé, con o senza una nuova legge elettorale. Indicandol­a, con una rincorsa al più umiliante dei populismi, in una qualsiasi, purchè preceda il diritto dei parlamenta­ri a percepire il vitalizio. Con la prospettiv­a di una legge elettorale - da rappezzars­i in poche ore – che faccia da ponte alla prossima, probabile, legge elettorale che porti alle successive elezioni. Prospettiv­a lugubre, che forse apparirà tale al garante supremo della nostra stiracchia­ta democrazia.

Lieti di sbagliarsi, e felici di scusarsi, se così non sarà.

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