L’occasione per i partiti e il rischio di sprecarla
Più che la sentenza della consulta in materia di legge elettorale, istruisce e colpisce la reazione dei partiti alla stessa. Reazione che – a prima vista - ricorda quella di studenti fannulloni all’annuncio che i compiti qualcuno li ha comunque già fatti per loro, se preferissero oziare. La corte costituzionale, istituzione “saggia” per definizione, ha compiuto un atto doveroso - quando vengono cassate norme elettorali, deve garantire con proprie indicazioni la tenuta delle elezioni - ma negli effetti, visto il destinatario, diseducativo con quelle quattro parole - ”suscettibile di immediata applicazione” -, riferite al meccanismo elettorale ricavabile direttamente dalla sentenza. Quattro parole che hanno trasformato una occasione di riscatto, per la nostra, impopolare comunità politica, in una incosciente esplosione di sollievo, in un sottile ma irresistibile profumo di vacanze, in un malinteso invito al “rompete le righe”. Eppure, i compiti da fare per le camere sono ancora tanti, oltre a quello di approvare una legge che restituisca al popolo sovrano lo scettro di una sovranità sottratta: quelli attesi da un paese immerso in una interminabile crisi economico-sociale ed in una altrettanto infinita sequela di calamità, solo in parte naturali; e in presenza di aspre tensioni internazionali, di tragedie di popoli e di persone che rievocano, anche nelle immagini, i tristi tempi del secolo scorso, delle sue dittature, perfino dei suoi genocidi.
Si dirà, non a torto, che una campagna elettorale non è esattamente una vacanza. Ma c’è, nell’aria che la politica respira e fa respirare, una gran voglia di fare i conti, di “menare le mani”, termine brutale che meglio di altri disegna le relazioni politiche da qualche lustro: relazioni tra partiti che dell’altro non riconoscono nulla, nemmeno qualche piccolo spazio di pensare comune, e di fare comune. Partiti che, tra un successo di tutti e un fallimento generale, preferiscono quest’ultimo, come strumento di campagna elettorale. Partiti che hanno dimenticato il concetto di continuità istituzionale, pregustando l’alternanza come una lavagna da cancellare completamente e riscrivere daccapo.
Misteri, o deformazione, delle istituzioni parlamentari: pronte a lasciare la loro funzione primaria, quella legislativa, ad un altro organo costituzionale, con buona pace della separazione dei poteri pubblici. Sicuri che fosse il nostro bicameralismo perfetto il freno a mano tirato della attività istituzionale di governo e parlamento?
Il problema è che si parla di istituzioni e si deve pensare ai partiti che le tengono in ostaggio e, quel che è peggio, in nome delle stesse. Partiti ostinatamente aggrappati al ruolo di soggetti privati, al punto di disattendere, tutti e dall’inizio della repubblica, il vincolo costituzionale di darsi una disciplina giuridica. Le mani libere hanno potuto sostituire il culto del consenso al doveroso rispetto delle regole istituzionali e costituzionali.
Fino a qui, il discorso è rivolto alla politica , tutta e tutta insieme sul banco degli imputati per lesa lealtà istituzionale. Poi, iniziano le gradazioni di responsabilità. Che conducono precipuamente al partito più affidabile, quello “di sistema”, quello correttamente “scalabile”, quello che ha una maggioranza e una minoranza, ed il controllo delle camere; quello che dal 2013 ha ininterrotta responsabilità di governo. Che non ha, quindi, gli alibi di ogni opposizione: quello generale di chiedere comunque lo scioglimento delle camere e nuove elezioni, per alternarsi a chi guida il paese; e, nello specifico italiano, quello non glorioso della conclamata ed esibita estraneità alle regole della democrazia interna e al conseguente rispetto istituzionale.
Ebbene, nell’unico partito del paese (esclusi cespugli e
IL BIVIO La legge elettorale occasione di riscatto per la comunità politica ma è forte il rischio di sprecarla
arbusti) che si richiama orgogliosamente alle radici dei grandi filoni ideologici, non solo nazionali, e al rispetto della divisione dei poteri istituzionali, capita che un ministro appena confermato - il miglior ministro, a detta dei più -, ricordi al nuovo capo del governo, calendario alla mano, che il tempo del suo governare sta già concludendosi; e risulta, secondo organi di stampa normalmente affidabili e non smentiti, che dallo stesso partito muovano quotidianamente messi autorevoli verso palazzo Chigi con analogo messaggio. Risulta altresì che uno stimato vicepresidente della camera bassa ipotizzi una sfiducia “tecnica” del partito in questione al proprio stesso governo, ove lo stesso tergiversasse. Riportandoci al tempo lontano di analoga prodezza compiuta in casa democratico cristiana nei confronti di un governo “balneare”, nel gergo di allora. È davvero così incolmabile la distanza dai partiti che fanno firmare a propri esponenti, nell’atto di assumere ruoli nelle istituzioni, contratti vincolanti comprensivi di sanzioni?
Tutto questo perché si cerca la data più conveniente per il consenso al proprio partito ed a sé, con o senza una nuova legge elettorale. Indicandola, con una rincorsa al più umiliante dei populismi, in una qualsiasi, purchè preceda il diritto dei parlamentari a percepire il vitalizio. Con la prospettiva di una legge elettorale - da rappezzarsi in poche ore – che faccia da ponte alla prossima, probabile, legge elettorale che porti alle successive elezioni. Prospettiva lugubre, che forse apparirà tale al garante supremo della nostra stiracchiata democrazia.
Lieti di sbagliarsi, e felici di scusarsi, se così non sarà.