Tokyo respinge le accuse e cerca il dialogo
Il premier Abe nega che il Paese manipoli la sua valuta, come sostenuto da Trump, e punta a estendere di un giorno il bilaterale del 10 febbraio
Tokyo respinge l’accusa e sorvola sul modo offensivo con cui è stata formulata, nella speranza di convincere Donald Trump che il Giappone sia un alleato meritevole di un po’ di riguardo. Dopo aver accomunato il Giappone alla Cina sotto l’insegna delle pratiche commerciali sleali, il presidente americano ha scosso governo e ambienti imprenditoriali giapponesi raddoppiando l’addebito sul fronte valutario, esprimendosi in termini ben poco diplomatici: Cina e Giappone, ha detto, sono manipolatori del cambio e ci hanno fatto fessi. Appare ormai più che probabile che, al vertice di Washington del 10 febbraio con il premier Shinzo Abe, Trump sollevi il problema valutario insieme alla richiesta di ridurre il disavanzo commerciale.
La parola d’ordine a Tokyo sembra quella di non irritarlo (nessun commento, ad esempio, sulle controverse nuove misure Usa sull’immigrazione) e di cercare di ammorbidir- lo: ecco allora il piano per estendere i colloqui di un giorno, con Abe pronto a recarsi anche in un resort di Trump a Palm Beach, in Florida, per «cercare di costruire una relazione di fiducia tra i due leader», come ha affermato una fonte diplomatica. L’altra idea è quella di presentare una “USJapan Growth and Employment Initiative” in cinque aree, con particolare risalto alle infrastrutture (compresa la disponibilità nipponica ad acquistare “bond infrastrutturali” denominati in dollari). Tutto nel tentativo di sviare Trump dal problema del commercio automobilistico (su cui ha lanciato strali) e dallo yen, che dal giorno della sua elezione ha perso oltre il 10% del suo valore nei confronti del dollaro.
Ieri Abe ha negato – come altri esponenti del suo governo – che il Giappone manipoli la sua valuta: la politica monetaria ultraespansiva della Banca del Giappone, ha detto, è finalizzata a combattere la deflazione e non a incidere sul cambio. Sulla stessa linea si era espresso il giorno precedente il governatore della banca centrale Haruhiko Kuroda, che ha inviato un messaggio secondo cui non ha affatto intenzione di avviare un irrigidimento della strategia monetaria. Del resto, la BoJ ha rivisto al ribasso le stime sull’inflazione nell’annata in corso da -0,1% a -0,2%: il target del 2% di crescita dei prezzi è ancora molto lontano e le pressioni deflazionistiche sempre in agguato. Per le due successive annate, la BoJ ha alzato le sue stime sul Pil ma non quelle sui prezzi. D’altra parte, con la Fed orientata quest’anno a proseguire la sua manovra rialzista, il crescente differenziale dei tassi promette di indebolire ulteriormente lo yen, che invece potrebbe ritrovare slancio in caso di accresciute tensioni internazionali.
«Non capisco bene cosa (Trump) volesse dire», ha commentato il viceministro delle Finanze per gli affari internazionali, Masatsugu Asakawa, notando che il Giappone non interviene da molto tempo sul mercato dei cambi: lo fece da ultimo nel 2011, prima in coordinamento con altri Paesi (Usa compresi) dopo lo tsunami e poi da solo in estate e in autunno, quando lo yen raggiunse il massimo storico a 75,3 dollari (il livello attuale è intorno a 113). Secondo Shusuke Yamada, strategist del Forex a BankAmerica Merrill Lynch, «non è chiaro se Trump faccia davvero sul serio o abbia introdotto uno strumento negoziale».
Il ministro delle Finanze Taro Aso ieri ha indicato la contrarietà del Giappone a introdurre clausole valutarie in un eventuale accordo commerciale bilaterale che gli Usa dovrebbero proporre in alternativa alla ormai affossata Tpp. La lobby agricola è sul piede di guerra: teme che in una trattati- va bilaterale Tokyo finisca per cedere troppo ai desiderata Usa. Del resto, anche nei negoziati con la Ue per una Economic Partnership la parte giapponese è divisa tra un Ministero degli Esteri desideroso di concludere e un Ministero dell’Agricoltura che si oppone strenuamente, ad esempio, alla richiesta europea di un taglio drastico ai dazi sui formaggi.
Tokyo, infine, teme molto che Trump chieda più contributi finanziari nipponici per coprire i costi delle forze armate Usa in Giappone. Per i giapponesi, comunque, in questo campo la cosa più importante è che la nuova Amministrazione – come farà sabato a Tokyo il segretario alla Difesa James Mattis – confermi che il Trattato di alleanza militare copre anche le isole Senkaku, rivendicate dalla Cina.
LA BANCA CENTRALE Per far fronte alle pressioni deflazionistiche il governatore Kuroda non ha intenzione di avviare un irrigidimento della politica monetaria