Il Bund e quel divario di rendimento da colmare
Di inflazione si fa un gran parlare in queste ultime settimane, così come del rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato. Quando però si confronta ciò che avviene negli Stati Uniti con l’Eurozona balza subito agli occhi un’incongruenza : se il tasso del Treasury decennale e le aspettative a medio termine sulla dinamica dei prezzi al consumo Usa (misurate dal cosiddetto « 5y5y ») sono quasi allineati poco sotto il 2,5%, al di qua dell’Atlantico esiste invece ancora un divario significativo tra il rendimento del Bund (ieri allo 0,47%) e quello delle attese sull’inflazione euro (1,78%).
È evidente che il titolo di Stato tedesco «continua sottostimare l’inflazione», come sottolinea Luca Cazzulani di UniCredit Research in uno studio pubblicato ieri, ed è altrettanto prevedibile che questo solco sia destinato prima o poi a colmarsi con conseguenze anche sull’andamento degli altri bond Europei, compresi i BTp. Oltre alle crescenti tensioni che si avvertono sul nostro Paese esiste dunque un potenziale «effetto base» che renderebbe più salato nel medio periodo il conto del Tesoro perché più alto è il tasso dei titoli tedeschi e più elevato, a parità di spread, è ovviamente quello del debito italiano.
Il meccanismo di trasmissione non è però per fortuna così semplice, né immediato: prima di tutto non esistono evidenze sul fatto che le aspettative sulla dinamica dei prezzi al consumo debbano essere allineate ai tassi nominali come in questo momento avviene negli Stati Uniti. L’Eurozona sta anzi attraversando un periodo (prolungato) in cui i tassi reali, ossia depurati dall’inflazione, sono negativi di circa un punto percentuale. Per UniCredit il valore teorico del Bund sarebbe compreso piuttosto fra 0,75% e 0,80%, non a caso i livelli al quale il decennale tedesco viaggiava nel 2015 l’ultima volta che le attese sull’inflazione erano attorno all’1,7-1,8 per cento: lo scarto da colmare sarebbe quindi di circa 30 centesimi.
Per capire gli eventuali riflessi sui BTp occorre poi vedere le ragioni di questo disallineamento. Unicredit ne indica essenzialmente 3: il programma attraverso il quale la Bce acquista tra i 10 e i 12 miliardi di Bund ogni mese; il fatto che il mercato non creda fino in fondo a un ritorno sostenibile delle dinamiche inflattive in Europa, che sarebbero essenzialmente legate alla fiammata dei prezzi petroliferi come lascerebbe intuire quel tasso core ancorato allo 0,9%; le incertezze che circondano il quadro politico, che creano avversione al rischio e dirottano il denaro verso il «rifugio» tedesco.
Quest’ultima è forse l’ipotesi più semplice da analizzare, perché nel momento in cui le nubi sull’Europa si dovessero diradare e la fuga dal rischio attenuarsi, salirebbero sì i rendimenti dei Bund, ma si ridurrebbe anche lo spread dell’Italia (e degli altri Paesi) nei confronti della Germania: l’effetto sui Btp potrebbe arrivare quindi attutito o risultare addirittura nullo. Non altrettanto favorevoli, né certe sarebbero le conseguenze se il riallineamento si accompagnasse al venire meno di una delle altre condizioni. Difficile però che in entrambi gli scenari, e soprattutto nel caso di una riduzione del quantitative easing, si possa andare verso una riduzione dello spread: un motivo in più per temere una più corretta valutazione del Bund da parte del mercato.