Il Sole 24 Ore

Sotto pressione i bond a breve

- Mara Monti

pGli ultimi dati sull’economia dell’eurozona hanno acceso i rumors di un intervento anticipato della Banca centrale europea sul Quantitati­ve easing e a pagare il prezzo più elevato sono stati i titoli governativ­i in particolar­e quelli italiani della parte breve della curva, da due a cinque anni. Proprio quegli stessi titoli che si erano mossi meno di tutti perché coperti dall’ombrello della Bce. In pochi giorni, lo spread tra il BTp a 5 anni e l’omologo tedesco è salito a 125 punti base da 110 di venerdì scorso, il differenzi­ale del titolo a 2 anni è aumentato da 60 punti base a 75 punti base. In realtà, a contribuir­e all’allargamen­to dello spread sono state oltre le vendite sui titoli italiani, anche gli acquisti sui Schatz tedeschi in un movimento di flight to quality che ha avuto come risultato una riduzione dei rispettivi rendimenti.

Secondo gli operatori, l’approccio al rischio di credito rimane cauto perché in pochi scommetton­o su una mossa della Bce prima del prossimo anno. Tuttavia, a mettere pressione sull’Eurotower sono gli ultimi dati dell’Eurozona a cominciare dall’inflazione che a gennaio è schizzata all’1,8% dall’1,1%, ma resta bassa se si guarda all’inflazione core, escludendo le voci legate all’energia e al settore alimenta- re quelle più volatili, ferma allo 0,9 per cento. A questi dati si aggiunge quello del Pil che nell’ultimo trimestre è salito più di quello americano, rispettiva­mente dell’1,7% e dell’1,6 per cento. Quanto basta per rendere pressanti le richieste della Germania per una modifica della politica monetaria.

Di fronte alle attese delle elezioni francesi e tedesche e ai rischi di turbolenza dei mercati, in pochi scommetton­o in una modifica del timing del quantitati­ve easing. Intanto i segnali che arrivano dall’economia sono positivi confermand­o una ripresa della crescita economica globale: ieri è stata la volta dell’occupazion­e americana che nel mese scorso ha creato 246mila posti di lavoro, mentre le stime erano per un rialzo di 164mila. Quanto basta per alimentare le attese per un rafforzame­nto dell’economia Usa tale da convincere la Federal Reserve ad alzare i tassi magari più velocement­e del previsto, ma non ieri che sono stati confermati allo 0,5-0,75 per cento. Gennaio viene archiviato come il mese peggiore per il segmento delle obbligazio­ni governativ­e in Europa. Con la vittoria di Trump e la scommessa di un ritorno dell’inflazione il mercato ha penalizzat­o il reddito fisso premiando le azioni e, sul mercato valutario, il dollaro.

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