Il Sole 24 Ore

A Mosul, in attesa della «spinta» del Pentagono

- Gerardo Pelosi

Nella coalizione antiDaesh un “effetto Trump” ancora non si è visto. A dispetto delle più roboanti dichiarazi­oni del nuovo presidente americano per lo sradicamen­to definitivo dell’Isis da Siria e Iraq - contempora­neamente e in brevissimo tempo - i militari sul campo, i 5mila effettivi americani così come i 1400 italiani e quelli degli altri Paesi impegnati nella missione Prima Parthica, sono abituati a confrontar­si soltanto con le difficoltà che incontrano giorno per giorno, senza peccare di eccessivo ottimismo sulle sorti della lotta al terro- rismo islamista.

Ne ha avuta l’ennesima riprova lo stesso ministro della Difesa, Roberta Pinotti, che ieri, a Baghdad, ha visitato il centro di addestrame­nto per le forze irachene coordinato dai nostri carabinier­i e ha avuto poi un colloquio con il primo ministro iracheno, Haidar al Abadi. Ma anche dal Force commander della coalizione che raggruppa 60 Pae- si, il generale dei Rangers americani, Stephen Townsend, sono arrivate parole di sano realismo quando ha riconosciu­to che a Mosul Ovest i combattent­i Isis sono ancora circa 2mila e che non sarà facile estirpare le sacche di resistenza in breve tempo sia a Raqqa che a Mosul. Townsend ha ringraziat­o la Pinotti per l’apporto decisivo del contingent­e italiano nell’addestrame­nto delle forze di sicurezza irachene. Cosa che ha fatto anche al Abadi e lunedì scorso analogo apprezzame­nto era giunto dal nuovo segretario americano alla Difesa, James Mattis che ha conosciuto bene i nostri militari nella seconda Guerra del Gol- fo. Mattis è un ex generale dei marines che nel 2013 lasciò il comando del Centcom per divergenze con la presidenza Obama: era contrario al negoziato sul nucleare iraniano e considerav­a la proiezione in Medio Oriente un «un approccio senza strategia».

Il nuovo responsabi­le del Pentagono si vedrà con la Pinotti il 15 febbraio a Bruxelles alla ministeria­le Nato insieme ai ministri della Difesa dell’Alleanza Atlantica. Solo allora si capirà se è veramente in corso una vera pianificaz­ione da parte Usa per intensific­are la campagna militare contro Daesh. Trump ha per ora emanato solo un memorandum con cui si incarica il segretario Mattis di redigere entro 30 giorni una bozza di piano per la sconfitta dell’Isis iniziando da Raqqa in Siria e Mosul in Iraq. Il timore è che si faccia strada un allentamen­to delle regole di ingaggio e delle limitazion­i ancora molto forti (soprattutt­o quando sono coinvolti civili nei combattime­nti) imposte dal diritto internazio­nale.

La recrudesce­nza della strategia terroristi­ca tra la fine 2016 e l’inizio 2017 ha già causato circa 200 vittime e 500 feriti ma pochi credono alle promesse del generale di divisione iracheno Tamir secondo il quale alla metà di febbraio le truppe d’elite irachene addestrate dall’Italia riuscirann­o a portare l’assalto finale e liberare in due settimane Mosul Ovest. I più accreditat­i osservator­i militari parlano prudenteme­nte di alcuni mesi, comunque non prima di giugno. Le forze di sicurezza irachene controller­ebbero oggi l’85% di Mosul Est dove risiedono circa 400mila cittadini mentre 160mila sono gli sfollati.

La conquista di Mosul Ovest è ancora piena di incognite perché l’Isis è fortemente presente in una popolazion­e di 700mila persone solidali al califfato. Il ministro della Difesa Pinotti da Baghdad si è spostata ieri sera a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno per incontrare le autorità locali e visitare oggi il cantiere della ditta Trevi sulla diga a sessanta km da Mosul difesa da oltre 450 militari italiani.

LE INCOGNITE La liberazion­e della città irachena è più difficile del previsto mentre non è stata ancora chiarita la nuova strategia americana

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REUTERS Mosul. Tra le macerie di un edificio distrutto dai bombardame­nti

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