Sui capilista bloccati arriva lo stop di Grillo, torna in salita il confronto sulla legge elettorale
Sembrava quasi fatta, martedì sera. L’accelerazione impressa dalla Capigruppo alla Camera, con la legge elettorale calendarizzata per l’Aula il 27 febbraio, aveva fatto avanzare l’ipotesi di un accordo veloce tra il Pd e il M5S, con il placet della Lega, per uniformare i sistemi elettorali di Camera e Senato lasciati in piedi dalla Corte costituzionale estendendo quel che resta dell’Italicum anche al Senato come chiesto appunto dal M5S. Ossia: premio di maggioranza alla lista che superi il 40% e sbarramento unico del 3%, capilista bloccati e preferenze per gli altri candidati in lista, incentivi per le candidature di genere. Eppure nella serata di ieri la conditio sine qua non posta dai Cinque Stelle, ossia l’estensione del “Legalicum” della Camera anche in Senato, è cambiata. E il contrordine è arrivato direttamente da Beppe Grillo, come già accaduto i n passato, tramite blog: «Nella nostra proposta l’unica cosa che abbiano eliminato rispetto all’impianto uscito dalla sentenza della Con- sulta sono i capilista bloccati, una scelta di democrazia su cui nessuno può eccepire». Insomma, la nuova parola d’ordine è: va bene estendere il sistema della Camera anche al Senato però bisogna togliere i capilista bloccati. Il che significa riaprire il vaso di pandora: collegi uninominali come vuole il Pd (o almeno la maggioranza del Pd) e come in- vece non vuole Fi? Oppure preferenza come non vuole il Pd (o almeno la maggioranza del Pd) e come non vuole neanche Fi? Insomma, è chiaro che il dado torna da oggi nella casella di partenza. E l’ipotesi che non si riesca a trovare un accordo e alla fine si vada a votare così, con le due leggi per la Camera e per il Senato lasciate in piedi da due sentenze della Consulta, torna in primo piano.
«Ormai è chiaro che si andrà a votare con i due Consultellum», chiosa Matteo Renzi al termine di una giornata politica a dir poco caotica e confusa. Una soluzione che, come abbiamo già scritto su queste colonne, non è sgradita al segretario del Pd. Perché il premio alla lista che superi il 40 per cento della Camera permette ai grandi partiti di giocarsi una campagna in autonomia con l’obiettivo di raggiungere la fatidica soglia, mentre la soglia dell’8% al Senato per i partiti non coalizzati (per quelli che si coalizzano è del 3%) permette al Pd renziano di non avere nemici a sinistra e lo rende libero dall’obbligo di coalizioni. E a ben vedere è un sistema che sta bene anche a Silvio Berlusconi: la soglia dell’8% è superabilissima per Forza Italia, e non costringe l’anziano leader azzurro ad allearsi con il “lepenista” Salvini. Il punto è che Berlusconi non ha ancora deciso quale schema giocare alle prossime elezioni: se in solitaria, puntando alle larghe intese con il Pd dopo il voto, o in coalizione con la Lega puntando(almeno sulla carta) al premio. Per questo dalla riunione di ieri di Fi che ha insediato «il tavolo di lavoro sulla legge elettorale» non è uscita alcuna indicazione precisa se non una generica esigenza di uniformare i sistemi di Camera e Senato. Solo una cosa il leader azzurro ha voluto mettere nero su bianco: no alle preferenze, «strumento falsamente democratico di corruzione e di distorsione della volontà popolare».
In ogni caso per mettere il punto alla vicenda legge elettorale manca un tassello importante: le motivazioni della Consulta che usciranno entro il 10 febbraio. Dopodiché si dovrà tener conto della moral suasion del Capo dello Stato Sergio Mattarella: votare con leggi elettorali il più possibile omogenee tra Camera e Senato è la condizione pubblicamente posta per ritornare alle urne. Che siano a giugno, a settembre o tra un anno dal punto di vista del Colle non fa grande differenza.
IL DILEMMA DI FORZA ITALIA Berlusconi non ha ancora deciso se correre da solo o in coalizione. Resta il no alle preferenze: «Distorsione della volontà popolare»