Le tre «strade» per gli azionisti
L’aumento di capitale da 13 miliardi di euro di UniCredit è pronto a partire. Lunedì 6 scatterà l’offerta di sottoscrizione delle nuove azioni al prezzo di 8,09 euro per azione. E per i piccoli azionisti si porrà la questione consueta in questi casi: aderire o non aderire all’offerta di sottoscrizione?
Va detto che l’operazione in rampa di lancio non è facilmente comparabile, proprio per le dimensioni monstre, a precedenti rafforzamenti patrimoniali.
L’ultima ricapitalizzazione di UniCredit risale al 2012, quando l’istituto allora guidato da Federico Ghizzoni e presieduto da Dieter Rampl, varò un aumento da 7,5 miliardi. All’epoca la rapitalizzazione avvenne con un’offerta di azioni a sconto del 43% circa rispetto al prezzo teorico ex diritto (Terp) delle azioni or- dinarie sulla base dei prezzi ufficiale di allora.
Questa volta lo sconto sul Terp è pari al 38%, un dato più o meno in linea con le stime, che si aggiravano sul 35-40%. Lo sconto sul Terp, come noto, cresce proporzionalmente alla necessità per l’emittente di rendere più appetibile agli occhi degli investitori la sottoscrizione del nuovo capitale.
p Ecco perchè uno sconto in linea con le stime segnala la conferma del clima di fiducia che si respira negli ambienti vicini alle banche che formano il consorzio, che ieri non a caso hanno firmato il contratto di garanzia sull’inoptato.
Più che le condizioni finanziarie dell’aumento, tuttavia, ciò che conta per i piccoli risparmiatori è la magnitudo dell’operazione: con 13 miliardi di euro di aumento, la capitalizzazione di UniCredit - oggi pari a 16,5 miliardi circa - è destinata sostanzialmente a raddoppiare. Di fronte a uno scenario così estremo, che porta con sè il rischio di una iper-diluizione, i possessori di azioni UniCredit avranno sostanzialmente tre opzioni.
La prima è quella di partecipare all’aumento di capitale, esercitando i diritti d’opzione. In questo caso, gli azionisti scelgono di credere nel progetto di UniCredit: dovendo praticamente raddoppiare l’investimento per mantenere intatta la propria quota e la relativa partecipazione agli utili, gli investitori puntano in questo caso all’upside del titolo. Nel secondo caso gli azionisti possono vendere i diritti d’opzione (entro il 17 febbraio) e non partecipano all’aumento di capitale. È il caso opposto al precedente, di chi in sostanza non crede all’operazione e prende così le distanze dall’investimento. Nel terzo caso, intermedio, si può partecipare all’aumento di capitale in maniera parziale: si vende una parte dei diritti e si usa l’incasso per comprare nuove azioni, esercitando i diritti che ancora sono rimasti in tasca.
È evidente come la scelta fi- nale degli investitori sia legata a doppio filo alla fiducia che si ripone nel piano industriale presentato al mercato dal ceo Jean Pierre Mustier e nella sua possibilità di esecuzione. Ieri Equita Sim in un report sul titolo UniCredit metteva in luce come uno degli elementi di supporto, in questo senso, sia rappresentato dal piano di incentivo del management. Mustier, segnala l’analista Giovanni Razzoli, è il ceo con la «più alta esposizione diretta al prezzo delle azioni, con 2 milioni di euro investiti in UniCredit, corrispondenti a oltre il 200% della sua componente fissa contro il 37% degli altri ceo». Un compensation scheme, quello di Mustier, che «dovrebbe allineare l’interesse di investitori e management». 7 Il prezzo teorico ex diritto di un’azione, in inglese theoreticalex right price (da cui deriva l’acronimo Terp), è il valore teorico di un titolo una volta avvenuto lo stacco del diritto di opzione relativo a un aumento di capitale. Nella sostanza, in occasione di aumenti di capitale, i soci ricevono (salvo i casi specifici di esclusione dei diritti di opzione) i diritti per acquisire ititoli emessi nell’ambito della ricapitalizzazione.