Draghi: più integrazione, la Ue non può restare com’è
All’inizio di un anno in cui l’Europa vedrà con ogni probabilità l’ascesa di movimenti euroscettici nelle elezioni di diversi Paesi, il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, sollecita all’unità, «la chiave per la sicurezza del nostro continente, oggi come sempre». E respinge l’idea che l’uscita dall’euro possa offrire la soluzione dei problemi.
In un discorso molto politico pronunciato a Lubiana, Draghi ha sostenuto che la strada da percorrere per l’unione «non è voltare le spalle a quello che ha funzionato, il nostro modello di apertura economica rafforzato dalla moneta unica, ma correggere gli errori che gli hanno impedito di funzionare come avrebbe dovuto».
L’integrazione passa da «rispetto delle regole e riforme», ha affermato, ribadendo un tema sul quale insiste a ogni occasione. Quella di Lubiana era legata al decimo anniversario dell’adesione della Slovenia alla moneta unica europea.
Il banchiere centrale italiano riconosce che oggi l’integrazione europea è vista da alcuni come una fonte di insicurezza, invece che un baluardo contro di essa, e che la gravità della crisi dell’euro ha indebolito la fiducia nell’Unione europea. «Dobbiamo dare risposte a quello che i cittadini chiedono», ha affermato. «Dobbiamo rendere la nostra unione più stabile e prosperosa per ottenere quella sicurezza che i nostri cittadini desiderano – ha detto –. E in questo modo ci metteremo in una posizione più forte per confrontare le nuove sfide che ci troviamo di fronte oggi: l’ascesa dell’estremismo politico, l’insicurezza ai nostri confini e un ordine globale sempre più incerto».
Draghi ha sostenuto che gli europei devono essere orgogliosi di quello che hanno realizzato: senza il mercato unico, gli europei sarebbero oggi molto più poveri – grazie all’integrazione europea hanno oggi un reddito pro capite del 12% superiore agli anni 80, rispetto a uno scenario in cui non fosse avvenuta – ma sarebbero anche meno sicuri. L’integrazione ha aumentato l’influenza dell’Europa nel mondo, per esempio sul commercio internazionale. Ma il presidente della Bce ha affrontato anche direttamente le critiche degli euroscettici della moneta unica, che, ha ricordato, è anche la conseguenza delle esperienze insoddisfacenti con altri regimi di cambio nei decenni precedenti. La maggior parte dei Paesi aveva scarsa autonomia monetaria e la svalutazione non era un meccanismo di aggiustamento efficace agli shock, provocando inflazione più alta e la necessità di altre svalutazioni.
«Ci sono alcuni oggi – ha detto Draghi – che credono che l’Europa starebbe meglio se non avesse la moneta unica e si potesse svalutare il cambio. Ma i Paesi che hanno messo in atto le riforme non dipendono da un cambio flessibile per ottenere una crescita sostenibile e, per quelli che non hanno fatto le riforme, c’è da chiedersi che vantaggi porterebbe un cambio flessibile. Dopo tutto, se un Paese ha una bassa crescita della produttività a causa di problemi strutturali radicati, il cambio non può essere la risposta». Fra i casi di successo all’interno dell’unione monetaria, il discorso cita la Germania, il Paese dal quale gli vengono le maggiori critiche, e l’Irlanda.
Non si può dare la colpa all’eu-
DISFUNZIONI «L’integrazione passa dal rispetto delle regole e dalle riforme. La moneta unica non poteva proteggere i governi dalle loro decisioni»
ro, ha affermato il capo della Bce, per il rallentamento delle riforme, l’indebolimento del Patto di stabilità, la fragilità dell’integrazione finanziaria e la divergenza fra i Paesi che ne è seguita. I Governi «sapevano quel che dovevano fare. La moneta non poteva proteggerli dalle loro stesse decisioni». Per andare avanti bisogna rimuovere l’eredità degli errori compiuti, che hanno danneggiato la fiducia fra i vari Paesi. Draghi ha insistito su due punti: il rispetto delle regole che i Paesi si sono dati, e la realizzazione delle riforme necessarie per assicurare una convergenza strutturale, «in modo che il rispetto delle regole sia più facile e la condivisione dei rischi non crei trasferimenti permanenti di risorse fra i Paesi». Questi due elementi sono la chiave per dare nuovo impeto al processo di integrazione.