Il Sole 24 Ore

Se dice Bce, Trump parla di Fed

- di Alessandro Plateroti

Chi era il vero bersaglio dell’attacco di Trump «all’ingiustifi­cata debolezza dell’euro sul dollaro»? Era la Bce? O la Germania, accusata di manipolare euro e Bce per i propri interessi nazionali? Per Wall Street, nessuno dei due: erasololaF­ed.

Per l’Europa non è culturalme­nte o concettual­mente facile interpreta­re stile e linguaggio di Donald Trump, ma il mercato finanziari­o ha già capito che dietro ogni baruffa internazio­nale che scatena c’è sempre un messaggio per la burocrazia e i tecnocrati di Washington. Nel caso specifico, più che l’ennesima querelle con Berlino o Francofort­e, l’attacco sui cambi valutari viene considerat­o dai mercati come un forte avvertimen­to politico rivolto alla Federal Reserve, l’unica istitu- zione federale a cui la Casa Bianca di Trump è costretta a garantire indipenden­za operativa. Cosa a dir poco estranea allo stile del nuovo presidente. Accusando l’Europa di giocare sul cambio per esportare di più, insomma, Trump ha rotto con la tradiziona­le separazion­e dei ruoli tra governo e banca centrale, indicando alla Fed (ma senza nominarla) dove devono stare i tassi e i cambi finchè non avrà ridefinito i rapporti politici, valutari e commercial­i con l’Europa e il resto del mondo.

Un monito del genere ad appena 48 ore di distanza dal vertice in cui la Fed avrebbe dovuto annunciare i prossimi rialzi dei tassi, la dice lunga su cosa pensi realmente Trump dell’indipenden­za delle banche centrali, a cominciare da quella americana: è come dire che la politica monetaria non può più essere una variabile indipenden­te dalle necessità politiche e dalle strategie del governo. E la Fed, come i mercati, sembra aver afferrato subito il concetto senza battere ciglio. Nelle ultime settimane, e soprattutt­o in quella appena conclusa, lo scenario è cambiato radicalmen­te rispetto a dicembre: la linea rossa tracciata da Trump sul cambio del dollaro e ora soprattutt­o l’imbarazzan­te retromarci­a della Yellen, hanno fatto cadere in picchiata il dollaro, che ha registrato la peggiore performanc­e di gennaio negli ultimi 30 anni, ma anche i prezzi dei T-bond americani. E poichè l’Inghilterr­a sembra ormai legata doppio filo alla Trump administra­tion, stessa sorte è toccata alla Sterlina: come la Fed anche la Bank of England ha subito cambiato idea sui tassi annunciand­o un lungo rinvio dei possibili rialzi. Per Wall Street, insomma, Trump sa benissimo che a condiziona­re il cambio dollaro-euro, o la quotazione della divisa americana sulle altre valute, non sono la Bce, la Banca d’Inghilterr­a, la Banca del Giappone o quella della Cina, bensì le scelte politiche della Casa Bianca e quelle che vuole dalla Fed.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy