In tre anni debito giù di otto punti
p Al netto dei 20 miliardi di maggiore debito per il 2017 autorizzati dal Parlamento per finanziare il decreto «salva risparmio», nei prossimi tre anni il rapporto debito/Pil dovrebbe ridursi di quasi otto punti, passando da poco più del 132% di quest’anno al 123,5% del 2020. Lo step decisivo per mantenere la rotta sarà il 2018, anno in cui utilizzando il metodo di calcolo «forward looking» la regola del debito sarebbe soddisfatta grazie al combinato disposto di una maggior crescita, un maggiore avanzo primario, passi significativi sul fronte delle privatizzazioni e una spesa per interessi ancora più bassa dell’attuale.
Per questo il ministro Pier Carlo Padoan considera «allarmante» la sola ipotesi di apertura di una procedura di deficit eccessivo per non-compliance con la regola del debito. Perché con quella mossa si potrebbero innescare reazioni sui tassi capaci di invertire la dinamica virtuosa enunciata nel documento pubblicato mercoledì insieme con la lettera inviata a Bruxelles e in cui si illustrano i «fattori rilevanti» che devono essere valutati quando si guarda all’andamento del debito pubblico italiano. Il primo di questi è la bassa inflazione, determinata non solo dai bassi prezzi delle materie prime ma anche dal non pieno utilizzo della capacità produttiva. Il secondo fattore è la stima dell’output gap, il famoso differenziale tra la crescita reale e il suo potenziale, che secondo la metodologia di calcolo Ue dovrebbe az- zerarsi nel 2018 mentre per il ministero dell’Economia la chiusura avverrebbe in tempi più lunghi. Infine bisogna tener conto dell’«effetto crescita» determinato dalle riforme varate: +2,2 punti di Pil nel 2020, +3,4% nel 2025 e +8,2% nel più lungo periodo.
Tutto questo considerato, lo stigma della procedura d’infrazione si tradurrebbe in un spread BtpBund più ampio e in allargamento, con un appesantimento degli oneri finanziari per la gestione del debito. Anche se i tassi bassi hanno alleggerito in questi ultimi anni solo gradualmente gli oneri per interessi (la durata media dei nostri titoli è lunga; 6,7 anni circa) invertire quella curva avrebbe impatti rilevanti soprattutto in termini di stabilità finanziaria. Basta guardare una figura pubblicata a pagina 60 del documento Mef. Nel 2012, anno in cui l’Italia era ancora in procedura per debito eccessivo (ne siamo usciti nel maggio del 2013), il costo medio all’emissione di nuovi titoli di debito era al 3,11%, mentre a fine 2016 era sceso allo 0,55%. Il costo medio nello stesso periodo è passato dal 4,4% al 3,06%. Tra le determinanti di questo calo non c’è solo il mantenimento di solidi avanzi primari. Ha contato, molto, anche la politica monetaria espansiva e il Quantitative easing, lanciato nel 2014, dalla Bce. Politica che non durerà all’infinito. Per questo la curva dei tassi deve mantenersi bassa contando grazie ad altri fattori, come la fiducia degli investitori. Se il «rischio paese» cambiasse ora le conseguenze potrebbero diventare, come dice Padoan, allarmanti.
ANNO DECISIVO IL 2018 Dall’anno prossimo regola rispettata con la maggior crescita, più inflazione, privatizzazioni e una spesa per interessi che resta bassa