L’effetto Trump perde smalto, dollaro sotto pressione
Dopo la scommessa post-elezioni, dai massimi di fine dicembre il biglietto verde ha perso il 2,4% - Euro a 1,07
p «Trump reflation trade», così gli addetti ai lavori hanno ribattezzato la reazione dei mercati all’esito delle elezioni presidenziali americane. Una reazione dettata soprattutto dalla mutata aspettativa sull’andamento dell’economia globale. Quello che fino a pochi mesi fa era considerato il rischio numero uno per le economie occidentali: la deflazione, è stato rapidamente archiviato per essere soppiantato da una nuova visione dominante. Un credo che la stragrande maggioranza delle grandi banche d’affari ha propagandato i n questi mesi e che si basa sull’assunto che la forza propulsiva delle politiche monetarie espansive sia ormai esaurita e che ad essa debba far posto la nuova arma dello stimolo fiscale. Un’arma che il nuovo inquilino alla Casa Bianca ha promesso di voler usare allo scopo di rilanciare la crescita nella prima economia del mondo.
Sulla base di queste premesse il mercato ha iniziato a scommettere sul ritorno dell’inflazione e, anche in vista del rialzo dei tassi Fed messo in atto a dicembre, ha spinto gli investitori a mettere in atto una corposa rotazione di portafoglio. Un cambio di passo radicale per i mercati che ha premiato le azioni (l’indice azionario globale Msci World ha guadagnato l’8% da novembre) a scapito dei bond (l’indice BofA Merrill Lynch dei titoli governativi delle maggiori economie sviluppate ha perso quasi il 3%) mentre, sul mercato valutario, il «Trump reflation trade» si è tradotto soprattutto in una generalizzata presa di posizione rialzista sul dollaro.
Questa generale tendenza se ha avuto un orientamento molto marcato tra novembre e dicembre nel mese di gennaio ha registrato una correzione. Soprattutto per quanto riguarda il mercato valutario. Dopo la fiammata di novembre e dicembre il dollaro a gennaio ha ingranato la retromarcia. Dai massimi toccati a fine dicembre il dol- lar index, che misura l’andamento del cambio rispetto alle sue principali controparti, si è svalutato del 2,4% toccando nella giornata di ieri un nuovo minimo dal 13 novembre scorso. Il cambio euro-dollaro, che veniva dato a un passo dalla parità con il biglietto verde, è rapidamente risalito per riguadagnare la soglia di 1,08 dollari per chiudere ieri a 1,07.
A favorire la debolezza del dollaro è stata la retorica della Federal Reserve che nel direttivo di mercoledì, in cui ha mantenuto come da attese i tassi invariati, ha chiarito il proprio orientamento restrittivo di politica monetaria ribadendo che 7 Il termine «reflazione», che in questo periodo va molto di moda sui mercati e tra gli analisti, significa il moderato ritorno dell’inflazione dopo una fase di deflazione. La reflazione si manifesta quando, come sta accadendo attualmente in molte parti del mondo, la maggiore quantità di moneta e la ripresa economica stimolano i consumi e dunque la risalita dei prezzi. L’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, con le sue promesse di una politica economica molto espansiva fatta di tagli alle tasse e di investimenti, ha fatto aumentare le speranze di ripresa economica e dunque di reflazione. A favore della ripresa del caro-vita c’è anche l’aumento del prezzo del petrolio. la stretta avverrà in maniera graduale. Chi ha puntato sul dollaro avrebbe forse sperato in qualche indicazione temporale sui prossimi rialzi del costo del denaro. La Fed tuttavia ha deciso di non esporsi e questo forse spiega la debolezza del biglietto verde. L’inversione di rotta del dollaro di queste settimane è stata messa in relazione anche alla retorica del presidente Trump. Con la consueta dose di aggressività e tweet al veleno il nuovo inquilino alla Casa Bianca, o membri della sua amministrazione, in questi giorni hanno lamentato l’eccessiva forza della valuta nazionale accusando apertamente i partner commerciali di mettere in atto svalutazioni competitive. Con buona probabilità tutti questi elementi sono stati presi a pretesto per prendere profitto sul rally post elettorale del dollaro. Stando a un sondaggio tra gli investitori pubblicato due settimane fa da Bank of America Merrill Lynch un buon 47% degli investitori considerava la scommessa al rialzo sul dollaro il «trade più affollato». Quindi potenzialmente esaurito.
Per gli investitori in questa fase è il tempo di fare un bagno di realismo e la speranza di un rilancio economico dell’America a guida Trump inizia a far posto alla paura di un ritorno al protezionismo. Gli attacchi che il nuovo inquilino della Casa Bianca continua a rivolgere ai suoi tradizionali partner commerciali (dopo la Cina, l’Europa e il Messico ieri è stata la volta dell’Australia) non aiutano a creare un clima favorevole. In questo senso si inquadra la debolezza dei mercati azionari vista ieri in una giornata che ha visto gli investitori tornare a una delle classi di investimento più bistrattate degli ultimi mesi: il reddito fisso. Ieri i tassi dei titoli di Stato nell’eurozona sono tornati a scendere anche se rendimenti e spread (quello italiano ha chiuso a 180 punti) restano al di sopra della media dell’ultimo biennio.
LA FOLLA Secondo Merrill Lynch, per il 47% degli investitori 2 settimane fa la scommessa sul dollaro era la più in voga: segno di possibile eccesso