«Rischio-radicalizzazione, Italia meno tranquilla»
pLa radicalizzazione è più che un rischio. È una minaccia concreta di violenza, confermata dalle «più recenti indagini» della magistratura italiana, da cui emerge la presenza di «lone actors» pronti ad entrare in azione «in scenari medio-orientali o in territorio italiano». Perciò, «la condizione di relativa tranquillità dell’Italia potrebbe mutare», dice il ministro della Giustizia Andrea Orlando di fronte alla commissione Affari costituzionali della Camera, alla luce dei «dati giudiziari» che confermano l’analogo allarme del capo della polizia. Ecco perché la lotta alla radicalizzazione violenta è «una priorità politica», con particolare attenzione al web e al carcere. Quest’ultimo è un osservatorio «privilegiato» della radicalizzazione e la prevenzione del rischio, fa sapere il ministro, potrebbe in futuro passare anche attraverso l’utilizzo delle colonie agricole per scontare la pena in contesti lavorativi.
È nel carcere che spesso si crea quella «zona grigia» di proselitismo dei terroristi di matrice jihadista che fa presa soprattutto sulla seconda generazione di immigrati. I detenuti per reati di terrorismo internazionale sono stati separati dagli altri e sottoposti a una capillare osservazione e per i «segnalati» vige un trattamento detentivo più rigoroso.
La situazione italiana è meno allarmante di quella europea: su 55.381 detenuti presenti (dato, purtroppo, in costante aumento da mesi), gli «osservati» sono 393 (tunisini, marocchini, egiziani e 14 italiani, 3 con cognome straniero) ma soltanto 175 sono classificati «a forte rischio di radicalizzazione» e 46 sono nel circuito dell’alta sicurezza. Dei 18.825 stranieri detenuti, 14.680 sono di fede musulmana (i professanti sono però 7.500): garantire l’esercizio del culto non è solo un dovere ma anche una strategia per non alimentare risentimento. Perciò si stanno stipulando protocolli d’intesa con le associazioni religiose disponibili a favorire «la circolazione di anticorpi in grado di debellare focolai di odio sociale e religioso». Sbagliato , invece, pensare a una sorta di imam «con bollinatura» da far entrare nelle carceri per la pratica del culto perché, com’è avvenuto in altri Paesi (Francia), verrebbero per- cepiti come «agenti dello Stato» e sarebbero «inutili».
Particolarmente esposto è il mondo del carcere minorile: anche se sono solo 12 i detenuti attenzionati, la strategia messa in campo è globale, improntata ad accoglienza, sostegno e integrazione, per valorizzare i diversi patrimoni culturali e religiosi, e stemperare il rischio-isolamento ed emarginazione, «che alimenta spinte e derive terroristiche e crea anche il contesto necessario alla propaganda e al reclutamento jihadista». Essenziale è la presenza di mediatori culturali. Quanto all’esecuzione penale esterna – la «sfida» per la quale sono stati stanziati circa 16 milioni per il prossimo triennio –, secondo Orlando costituisce «assoluta priorità» l’individuazione di interventi specifici per i soggetti a rischio, passando per il coinvolgimento del contesto familiare, sociale e territoriale di appartenenza.