Il tessile rilancia oltre la crisi
Si chiude oggi la fiera dedicata alla tessitura che rappresenta il 24,8% dell’attivo della bilancia di settore Boccia: un esempio per l’intera industria, nonostante le incognite globali
p «Fare un giro tra gli stand di Milano Unica fa tornare l’ottimismo. O meglio, lo rafforza: nessuno può o vuole nascondere le difficoltà del nostro Paese, ma è altrettanto sbagliato non vedere le potenzialità che abbiamo. A patto di imparare a fare sistema, non mi stancherò mai di ripeterlo».
Vincenzo Boccia ha visitato ieri la fiera del tessile di eccellenza che si chiude oggi a Rho, ed è tornato sull’importanza della manifattura, delle parti “a monte” delle filiere, citando la capacità unica che hanno le aziende italiane, nonostante le dimensioni di Pmi, di unire le radici artigianali della creatività alle esigenze di innovazione e automazione. «È un equilibrio magico tra idee e manifattura ed è su questo che si basa il futuro dell’Italia», ha aggiunto il presidente di Confindustria.
La tessitura italiana ha chiuso il 2016 con un fatturato stabile rispetto al 2015 (si veda Il Sole 24 Ore di ieri), ma ha perso il 2% di export, pur mantenendo un attivo commerciale che concorre per il 24,8% a quello complessivo del tessile-moda (mentre il fatturato della tessitura è “solo” il 15% dell’intera filiera). Le difficoltà incontrate nel 2016 si ripresenteranno nel 2017 e continueranno a pesare sull’export, ha ricordato Boccia. «Dobbiamo fare i conti con i problemi dell’Europa e con la Brexit; con il neo protezionismo americano e le incertezze geopolitiche che rendono ogni mercato più difficile. Ma ci sono sempre opportunità, come la Cina. Il tessile lo dimostra: per molte aziende è già il secondo o terzo mercato e il lusso italiano è sempre più un simbolo, un obiettivo per la classe media cinese».
In linea con Ercole Botto Poala, presidente di Milano Unica e amministratore delegato dello storico Lanificio Reda, e con Claudio Marenzi, imprenditore con la sua Herno (capispalla) e presidente di Sistema moda Italia (Smi), Boccia ha richiamato l’attenzione sul valore dell’industria, specie se 4.0, per la «rinascita» del Paese: «Non smetterò mai di stupirmi che solo il 30% degli italiani sa che siamo il secondo Paese manifatturiero d’Europa dopo la Germa- nia. Compito di Confindustria è ricordarlo anche alla politica e al nostro interno dobbiamo trasmettere valori di unità e collaborazione. Sono prive di fondamento le ricostruzioni sui miei rapporti con Assolombarda e il presidente Rocca». Tornando alla moda, Boccia ha ricordato «l’ottimo progetto di creare una confederazione unica». La nuova entità composta da Smi, Anfao (occhiali), Assocalzaturifici e Aimpes (pelletteria) potrebbe arrivare entro marzo. Alle imprese rappresentate da Smi sono riconducibili circa 52 miliardi di fatturato ma – ha sottolineato Marenzi – con gli altri settori si arriva a 90 miliardi e quasi 800mila lavoratori. Rispondendo a insistenti domande sul futuro del Gruppo 24 Ore – di cui Confindustria è il maggior azionista – Boccia ha definito «fantasia al potere» i recenti articoli apparsi sulla stampa e ha ribadito l’impegno per il rilancio e la fiducia nel nuovo management.
Tornando a Milano Unica, tra gli stand regna un clima tutt’altro che negativo. «Le incognite sono molte, è vero – dice Alessandro Barberis Canonico, amministratore delegato dello storico lanificio – ma penso si possano trasformare anche in opportunità, se ben gestite». Il fatturato di Vitale Barberis Canonico nel 2016 è cresciu- to oltre le aspettative (+11%) toccando i 150 milioni di euro: «Per l’anno in corso prevedo un aumento dei ricavi sia in Cina, dove si sta formando una classe media attenta alla qualità dei prodotti, sia negli Stati Uniti, sempre che Trump non aumenti i dazi».
Gli Stati Uniti rappresentano forse l’incognita più insidiosa: «Il mercato americano ha un’ottima percezione delle eccellenze made in Italy – dice Luca Belenghi, ad del Gruppo Tessile Monti, che ha chiuso l’anno in linea con i 104 milioni di ricavi consolidati 2015 – ma se barriere doganali già alte dovessero essere innalzate ulteriormente non ne verrebbe nulla di buono. D’altro canto, almeno nella camiceria, il reshoring americano di cui tanto si parla potrebbe portare le aziende ad aumentare la qualità dei propri prodotti e ad aprire lquindi e porte a fornitori italiani».
Nemmeno i “piccoli” sembrano troppo intimoriti: «Noi abbiamo chiuso il 2016 in crescita – spiega Enrico Valera, titolare di Nastrificio Angelo Valera, 4 milioni di fatturato di cui il 90% realizzato in Italia, dialogando con alcuni big player del lusso, e 30 dipendenti – e nel 2017 vogliamo puntare a incrementare la quota di export. Un po' di ottimismo ci vuole».
LE IMPRESE Tra gli stand si respira un’atmosfera di fiducia Barberis Canonico: possiamo trasformare i rischi in opportunità