«Modifiche necessarie per migliorare l’efficacia»
p «Non è un abdicazione». La prima preoccupazione del presidente dell’Anac Raffaele Cantone è chiarire che la richiesta di modificare l’impianto del rating di impresa non è un passo indietro. «Noi ci crediamo moltissimo. Lo consideriamo uno dei pilastri del nuovo codice. Per questo va fatto bene. Un sistema con poca capacità di incidere sul mercato rischia di far venir meno una delle innovazioni principali della riforma».
Lei definisce questa segnalazione come una «sorta di grido d’aiuto al legislatore»
Noi chiediamo una piccola rivoluzione. Così come è strutturato il rating pone due problemi. Quali? Non ha senso farne un criterio ordinario di qualificazione, dunque obbligatorio. Non si può pensare di negare l’accesso al mercato sulla base di un indice di questo tipo. In più il rating varrebbe solo per chi lavora nei cantieri di importo superiore a 150mila euro. Lasciando fuori migliaia di altre imprese. Il secondo motivo? Ora il rating lascia scoperto tutto il mondo dei servizi e forniture che invece è quello che ha più bisogno di una valutazione delle performance, visto che per lavorare in questo settore non serve alcun tipo di qualificazione. È proprio in questo campo che negli ultimi tempi sono state portate alla luce gravi irregolarità. Questa è una delle ragioni principali per cui abbiamo chiesto di rivedere il sistema.
Il fatto di renderlo volontario non rischia di depotenziarne gli effetti?
Al contrario. Un rating volontario diventa utilizzabile anche come criterio premiante nella valutazione delle offerte e si alleggeriscono gli adempimenti a carico delle imprese.
Rating di legalità e di impresa. Pericolo di confusione?
Bisogna sgomberare il campo. Anche perché il rating di legalità è riservato alle imprese che hanno più di due milioni di fatturato. E questo penalizza le Pmi che il codice invece vuole favorire.
Come si fa a rendere il rating di impresa un metodo di valutazione delle performance?
Bisogna prima di tutto evitare che diventi la duplicazione di requisiti che vengono già controllati in fase di qualificazione come il fatto di non aver condanne penali oppure pendenze fiscali o contributive. Questi elementi sono presupposti per partecipare agli appalti: non sono un titolo di merito. Poi bisogna valutare la qualità dei lavori eseguiti. La legge dà qualche indicazione, come l’uso non strumentale dei ricorsi e soprattutto i comportamenti corretti nei confronti delle Pa. Qui però il legislatore ci deve dare una mano. Ci spieghi. Se il rating viene utilizzato come criterio premiale noi possiamo applicarlo da domani. Se è un requisito di qualificazione bisognere invece valutare in termini diversi le imprese che hanno già un background professionale. Ma in base a quali criteri? Avere un alto fatturato non vuol dire aver eseguito bene i lavori. Con un rating premiale si può preverdere che le stazioni appaltanti al termine del contratto compilino una scheda-tipo, con fatti e giudizi, ma soprattutto fatti non manipolabili, utili alla valutazione.
Tra i criteri viene spesso indicato il basso tasso di litigiosità delle imprese. Non si rischia in di comprimere la possibilità di difendere diritti legittimi?
Non c’è dubbio. Infatti l’oggetto di valutazione non deve essere la propensione al contenzioso, ma il suo esito. La condanna per lite temeraria è certamente un indice dell’uso indebito dei ricorsi. Poi si potrebbe pensare anche di valutare i casi in cui si viene condannati alle spese.
Le scadenze per il correttivo sono strette. La delega scade il 19 aprile e servono due passaggi in Consiglio dei ministri.
Se arriviamo con una prima bozza entro i primi dieci giorni di febbraio i tempi ci sono. Detto questo, ormai è fuori dubbio che il codice abbia bisogno di correzioni. Se non arriva il decreto bisogna trovare un’altra strada. Questo primo anno di applicazione ha evidenziato delle criticità. Io resto dell’idea che l’impianto sia valido, ma che il codice rischia di esser valutato negativamente a causa di qualche difficoltà ,che può essere eliminata con un semplice tagliando.
«Non è un passo indietro, dobbiamo allargare la platea delle imprese»