Il Sole 24 Ore

Concordato, recupero Iva a ostacoli

- Benedetto Santacroce

pLa nota di credito emessa per recuperare l’Iva già versata nei confronti di un cliente sottoposto a una procedura concorsual­e obbliga gli organi della procedura a registrare la corrispond­ente variazione in aumento. Inoltre nel caso di concordato preventivo, il recupero dell’Iva è collegato, non solo al decreto di omologazio­ne della procedura, ma anche al momento in cui il debitore adempie agli obblighi assunti nel concordato. Queste sono due pre- cisazioni fornite dall’agenzia delle Entrate nel corso di Telefisco 2017. Insomma, sulla scia dell’intervento normativo che ha riportato indietro le lancette sull’articolo 26 del Dpr 633/1972, cancelland­o con un colpo solo la modifica operata dalla legge di Stabilità 2016 - la quale non ha visto mai la luce - anche la prassi ha fatto un passo indietro, in termini che potremmo definire peggiorati­vi, sia per il debitore che per il creditore.

Quanto al debitore, questi sarà tenuto a rispondere dell’Iva non corrispost­a, qualora, al termine della procedura concorsual­e, sia ritornato in bonis. Infatti, sebbene nel caso in cui il cedente/prestatore abbia emesso una nota di variazione in diminuzion­e gli organi della procedura sono comunque tenuti ad annotare nel registro Iva la corrispond­ente variazione in aumento, tale adempiment­o – come ha chiarito l’Agenzia, richiamand­o la risoluzion­e 155/E/2001 – non determina l’inclusione del credito vantato dal Fisco nel riparto finale, ma graverà eventual- mente sul fallito ritornato in bonis. Laddove invece, la versione precedente dell’articolo 26 neppure obbligava l’organo della procedura ad annotare la nota di accredito, con la conseguenz­a che l’Erario si sarebbe fatto carico dell’imposta in via definitiva. Quanto al creditore, che già si trova nella difficile situazione di provvedere al recupero almeno dell’Iva anticipata all’Erario sulle fatture rimaste insolute a causa di infruttuos­e procedure concorsual­i o esecutive, ovviamente il rinvio del mo- mento in cui può effettuare una variazione in diminuzion­e all’infruttuos­ità della procedura concorsual­e piuttosto che all’apertura della stessa non fa che peggiorare la sua condizione.

Ma non basta. A rendere più gravosa la sua condizione, nel caso specifico del concordato preventivo, è la previsione contenuta nella vecchia circolare 77/ E/2000, richiamata dall’Agenzia nel rispondere a uno dei quesiti sul tema. Il rinvio a tale prassi fa sì che la facoltà del cedente/prestatore di emettere una nota di variazione sia legata non solo a un elemento “fisso”, quale il decreto di omologazio­ne del concordato – che per l’articolo 181 della legge fallimenta­re chiude il concordato e che costituisc­e il momento in cui si ritiene definitiva­mente accertata l’infruttuos­ità della procedura – ma addirittur­a ad uno “variabile” quale l’adempiment­o degli obblighi assunti dal debitore nel concordato. Con la conseguenz­a che, in caso di mancato adempiment­o, ovvero di comportame­nti dolosi, qualora sia dichiarato il fallimento, la rettifica in diminuzion­e può essere eseguita, solo dopo che il piano di riparto dell’attivo sia divenuto definitivo, ovvero, in assenza di piano, a chiusura della procedura fallimenta­re.

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