Tutte le indicazioni di Entrate ed Equitalia
Niente interpello probatorio per la sterilizzazione dalla base Ace dell’investimento in titoli e valori mobiliari
Pubblichiamo il testo integrale delle risposte che sono state fornite ieri dai funzionari dell’agenzia delle Entrate e di Equitalia nel corso della ventiseiesima edizione di Telefisoc 2016 ai quesiti che sono stati posti dai partecipanti e dagli esperti del Sole 24 Ore.
01 Definizione perfezionata con il pagamento di tutte le rate Quando si considera perfezionato l’accesso alla definizione agevolata: alla data di presentazione della domanda oppure con il pagamento della prima o unica rata? Né la semplice presentazione della dichiarazione, né il versamento della sola prima rata delle somme dovute sono sufficienti a perfezionare la definizione. Infatti, il comma 1 dell’articolo 6 del Dl n. 193/2016 prevede che l’abbattimento delle sanzioni comprese nei carichi definiti e degli interessi di mora sia condizionato al pagamento integrale del capitale e degli interessi compresi nei carichi, del relativo aggio, delle spese esecutive e dei diritti di notifica. Il successivo comma 4 dispone poi che - in caso di mancato, insufficiente o tardivo versamento dell’unica rata ovvero di una delle rate in cui è stato dilazionato il pagamento delle somme dovute - la definizione agevolata è inefficace ed Equitalia prosegue l’attività di recupero dell’intero importo dovuto dal debitore a seguito dell’affidamento del carico, al netto dei versamenti effettuati, che sono acquisiti a titolo di acconto. La definizione agevolata, pertanto, è efficace esclusivamente se tutte le somme dovute - e non soltanto quelle comprese nell’eventuale prima rata - sono tempestivamente versate.
02 Per la definizione parziale rimodulazione delle rate In caso di definizione solo parziale dei carichi oggetto di dilazione precedente, come viene rimodulata la dilazione in corso? In caso di adesione alla definizione soltanto per alcuni dei carichi compresi in un precedente piano di dilazione, è opportuno che il debitore si rechi presso gli sportelli di Equitalia al fine di ottenere l’aggiornamento dell’importo da versare per le singole rate, al netto dei carichi oggetto di definizione, per i quali – ai sensi dell’articolo 6, comma 5, del Dln. 193/2016 - le rate in scadenza in data successiva al 31 dicembre 2016 restano sospese fino alla scadenza della prima o unica rata delle somme dovute per la definizione.
03 Le spese per le procedure «pesano» sui singoli carichi In caso di definizione parziale degli affidamenti, come vengono imputate le spese per procedure cautelari ed esecutive - ad esempio i fermi amministrativi - afferenti alla totalità dei carichi, inclusi quelli non definiti? In ipotesi di definizione agevolata di una pluralità di carichi compresi in una stessa cartella per la quale è stata avviata una procedura di recupero coattivo, le spese relative a tale procedura vengono imputate ai singoli carichi in proporzione al rispettivo ammontare.
04 L’istanza non è sufficiente a bloccare il pignoramento In caso di pignoramento dello stipendio in corso, con quote da trattenersi sugli stipendi non ancora maturati, la presentazione dell’istanza blocca la prosecuzione delle trattenute del datore di lavoro? Ai sensi dell’articolo 6, comma 5, del Dl n. 193/2016, a seguito della presentazione della dichiarazione di adesione l’agente della riscossione non può proseguire le procedure di recupero coattivo precedentemente avviate, a condizione che non si sia ancora tenuto il primo incanto con esito positivo ovvero non sia stata presentata istanza di assegnazione ovvero non sia stato già emesso provvedimento di assegnazione dei crediti pignorati. Pertanto, se, all’atto della presentazione della dichiarazione, il terzo pignorato ha già iniziato ad effettuare i versamenti ovvero è già stata presentata istanza di assegnazione al giudice, non ricorrono i presupposti per l’interruzione della procedura esecutiva.
05 No al pagamento per i piani successivi al 24 ottobre 2016
In caso di rateazione accordata dopo il 24 ot- tobre 2016, si chiede conferma che il debitore non debba pagare le rate scadute nell’ultima parte dell’anno scorso. Si conferma che l’obbligo di pagamento delle rate con scadenza dal 1° ottobre al 31 dicembre 2016 si riferisce soltanto alle rateizzazioni in essere alla data di entrata in vigore del Dl n. 193/2016, vale a dire alla data del 24 ottobre 2016.
06 Lo scomputo del versato non contempla le sanzioni Come si calcola l’importo già versato a titolo di sanzioni sia in ipotesi di dilazione sia in caso di versamenti parziali eseguiti senza un piano di rateazione? L’articolo 6 del Dl 193/2016 prevede che ai fini della definizione, possano scomputarsi le somme già versate sia in virtù di piani di dilazione concessi dall’agente della riscossione, sia comunque versate dal debitore. Testualmente l’articolo 6 precisa che si tiene conto esclusivamente degli importi già versati a titolo di capitale e interessi compresi nei carichi affidati. Nei piani di rateazione rilasciati da Equitalia, il “capitale” considera sia imposte sia sanzioni, con la conseguenza che stante il tenore letterale della norma, vanno scomputate tutte le somme già versate a titolo di “capitale” e quindi sia per imposte, sia per sanzioni. È corretta tale interpretazione? In caso contrario, qual è il criterio di scomputo di quanto versato e ciò sia in ipotesi di dilazione regolare sia in ipotesi di versamenti parziali eseguiti non sulla base di un piano di rateazione? L’articolo 6, comma 8, lettera a), del Dl n. 193/2016 dispone espressamente che, ai fini della determinazione delle somme che devono essere versate per effetto della definizione, si tiene conto unicamente degli importi già versati «a titolo di capitale e interessi compresi nei carichi affidati», cioè relativi alle sole componenti dell’obbligazione affidata in carico a Equitalia che abbiano tale natura. Pertanto, non può essere computato ai predetti fini quanto versato a titolo di sanzioni, che, come previsto dalla lettera b) del citato comma 8 dell’articolo 6, resta definitivamente acquisito. Tale principio vale con riferimento a tutti i pagamenti parziali effettuati, sia in adempimento ad un piano di rateizzazione, sia genericamente a titolo di acconto. L’articolo 6, comma 8, del Dl n. 193/2016, infatti, reca una disciplina che si applica testualmente a tutti i pagamenti parziali, a prescindere dal titolo per il quale gli stessi sono stati effettuati.
07 Aggi per le sole somme dovute per estinguere il debito L’adesione del contribuente alla definizione agevolata (articolo 6 del Dl 193/2016) comporta il ricalcolo degli aggi sulle somme residue o gli aggi presenti in cartella restano invariati? Il debitore che aderisce alla definizione agevolata deve corrispondere l’aggio relativo alle sole somme affidate all’agente della riscossione a titolo di capitale e interessi, vale a dire agli importi che lo stesso debitore deve versare per ottenere l’estinzione del debito a titolo di sanzioni e interessi di mora. L’aggio non è invece dovuto sulle sanzioni.
08 Per i software «embedded» scatta l’agevolazione Se un bene “industria 4.0” viene acquistato a un prezzo unitario comprensivo del software necessario per il suo funzionamento, tutto il corrispettivo può beneficiare della maggiorazione del 150% oppure bisogna operare una distinzione tra la componente materiale e quella immateriale dell’acquisto? Si ritiene che se il software è «embedded», e quindi acquistato assieme al bene, lo stesso è da considerarsi agevolabile con l’iperammortamento. Questa interpretazione è coerente con l’elenco dell’allegato B che include software «stand alone» e quindi non necessari al funzionamento del bene.
09 Per il bene acquistato nel 2016 scatta solo il bonus del 40% Si chiede conferma del fatto che, ai fini dell’iperammortamento del 150%, rilevano gli investimenti in beni materiali nuovi, inclusi nell’allegato A alla legge n. 232 del 2016, effettuati a decorrere dal 1° gennaio 2017. Come conseguenza, un bene di quel tipo consegnato nel 2016 beneficia solo della maggiorazione del 40 per cento? L’articolo 1, comma 8, della legge n. 232 del 2016 (legge di Stabilità 2017) proroga al 31 dicembre 2017 - ovvero al 30 giugno 2018 in presenza di determinate condizioni - la disciplina relativa al c.d. “superammortamento” del 40% riguardante gli investimenti in beni materiali strumentali nuovi (la proroga non vale per alcune tipologie di mezzi di trasporto a motore). Il successivo comma 9 introduce un nuovo beneficio, il c.d. “iperammortamento”, che consiste nella possibilità di maggiorare del 150%, con esclusivo riferimento alla determinazione delle quote di ammortamento ovvero dei canoni di leasing, il costo di acquisizione di alcuni beni materiali strumentali nuovi ad alta tecnologia (elencati nell’allegato A annesso alla legge di Bilancio 2017). L’iperammortamento si applica agli investimenti effettuati nel periodo che va dal 1° gennaio 2017, data di entrata in vigore della legge di Bilancio, al 31 dicembre 2017 (ovvero al 30 giugno 2018 in presenza di determinate condizioni). Ai fini della spettanza della maggiorazione del 150% si è dell’avviso che l’imputazione degli investimenti al periodo di vigenza dell’agevolazione, come per il superammortamento, debba seguire le regole generali della competenza previste dall’articolo 109, commi 1 e 2, del Tuir. Pertanto, un bene materiale strumentale nuovo, elencato nel citato allegato A e consegnato nel 2016, non può usufruire della maggiorazione del 150% in quanto l’effettuazione dell’investimento avviene al di fuori del periodo agevolato, ma può beneficiare solo di quella del 40 per cento.
10 L’entrata in funzione del bene non rileva ai fini dell’incentivo Un bene compreso nell’allegato A alla legge di Bilancio, acquistato nel 2016 ed entrato in funzione ed interconnesso nel 2017, di quale maggiorazione di costo beneficia? Come già rilevato nella risposta precedente, l’investimento effettuato nel 2016 può beneficiare solo del superammortamento (e non dell’iperammortamento). La maggiorazione del 40% può essere fruita dal 2017, periodo d’imposta di entrata in funzione del bene. L’interconnessione, ai fini del superammortamento previsto dalla legge n. 208 del 2015, non assume alcuna rilevanza.
11 L’iperammortamento vale solo per le imprese L’iperammortamento con maggiorazione del 150% è applicabile agli esercenti arti e professioni? Il tenore letterale della disposizione di cui al comma 11 («per la fruizione dei benefìci di cui ai commi 9 e 10, l’impresa è tenuta a produrre una dichiarazione…»), il contenuto dell’allegato A annesso alla legge di Bilancio 2017 (elencazione dei «Beni funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale delle imprese secondo il modello “Industria 4.0”» nonché la tipologia di beni agevolabili inducono a ritenere che la maggiorazione del 150% riguardi soltanto i titolari di reddito d’impresa.
12 Bene e software «separati» Prevale il bonus dell’impresa Si può applicare il superammortamento del 40% a un bene immateriale compreso nella tabella B allegata alla legge di Bilancio, se tale bene viene acquistato nel 2017 e applicato nello stesso anno a un bene teoricamente compreso nella tabella A, ma non agevolato perché acquistato già da anni dall’impresa? L’articolo 1, comma 10, della legge di Bilancio 2017 prevede la maggiorazione del 40% del costo di acquisizione dei beni immateriali elencati nell’allegato B della legge stessa. Tale beneficio è riconosciuto ai soggetti che beneficiano della maggiorazione del 150 per cento. La norma, pertanto, mette in relazione il bene immateriale con il soggetto che fruisce dell’iperammortamento e non con uno specifico bene materiale (“oggetto” agevolato). Tale relazione è confermata anche dal contenuto della relazione di accompagnamento alla legge di Bilancio. Pertanto, il software rientrante nel citato allegato B può beneficiare della maggiorazione del 40% a condizione che l’impresa usufruisca dell’iperammortamento del 150%, indipendentemente dal fatto che il bene immateriale sia o meno specificamente riferibile al bene materiale agevolato.
13 Il bene interconesso «dialoga» con il sistema aziendale Quali caratteristiche deve avere un bene per poter essere definito “interconnesso”? Affinché un bene, coerentemente con quanto stabilito dall’articolo 1, comma 11, della legge di Bilancio 2017, possa essere definito “interconnesso” ai fini dell’ottenimento del beneficio dell’iperammortamento del 150%, è necessario e sufficiente che: 1) scambi informazioni con sistemi interni (sistema gestionale, sistemi di pianificazione, sistemi di progettazione e sviluppo del prodotto, monitoraggio, anche in remoto, e controllo, altre macchine dello stabilimento, ecc.) e/o esterni (clienti, fornitori, partner nella progettazione e sviluppo collaborativo, altri siti di produzione, supply chain, ecc.) per mezzo di un collegamento basato su specifiche documentate, disponibili pubblicamente e internazionalmente riconosciute (esempi: TCP-IP, HTTP, MQTT, ecc.); 2) sia identificato univocamente, al fine di riconoscere l’origine delle informazioni, mediante l’utilizzo di standard di indirizzamento internazionalmente riconosciuti (indirizzo IP).
14 La perizia giurata va redatta sui singoli beni strumentali Si chiede di sapere se la perizia giurata, da fornirsi in caso di beni con valore superiore a € 500.000, deve essere redatta per singolo bene o può comprendere tutti i beni strumentali acquistati nello stesso esercizio? La perizia deve essere fatta per singolo bene acquisito.
15 Quando la componente negativa non è deducibile Ipotizziamo il caso di assegnazione agevolata di un bene merce con costo storico di 100, valore catastale di 80 e valore normale di 120. Se in sede di assegnazione si sceglie di adottare il valore catastale di 80, la componente negativa fiscale di 20 sarà deducibile? Si ribadisce quanto evidenziato nella circolare n. 37/E del 2016, in base alla quale il differenziale negativo di reddito - rilevato in contabilità (ricavi e costi) e che deriva dall’assegnazione di beni merce - assume rilevanza ai fini della determinazione del reddito d’impresa sempre che il componente positivo sia stato determinato in misura pari al valore normale ai sensi dell’articolo 9 del Tuir (cfr. articolo 85 del Tuir). Nel caso di specie, quindi, la componente negativa di 20 non è deducibile.
16 Per ottenere le agevolazioni riserve pari al valore contabile Poniamo il caso di un bene iscritto in contabilità a 100, con valore catastale di 120 e valore normale di 200. Si chiede di confermare che sarà possibile effettuare l’assegnazione agevolata di tale bene quando le riserve presenti nell’ultimo bilancio sono pari a 100. In sostanza si ritiene che non debbano esserci riserve pari al valore normale del bene (200 nell’esempio) qualora si decida di utilizzare il valore di libro, ai fini contabili, in sede di assegnazione. Si ribadisce che è possibile fruire della disciplina agevolativa in esame solo se vi siano riserve disponibili di utili e/o di capitale almeno pari al valore contabile attribuito al bene in sede di assegnazione. Si ricorda, inoltre, che il comportamento contabile adottato dall’impresa deve essere coerente con i principi contabili di riferimento (cfr. circolare n. 37/E del 2016).
17 La sterilizzazione dell’Ace non ammette l’interpello Si chiede se la nuova sterilizzazione della base Ace introdotta dalla legge di Bilancio 2017 (articolo 1, comma 6-bis, Dl 201/2011) abbia natura di disposizione antielusiva specifica e possa dunque essere disapplicata, con o senza interpello, dimostrando che le operazioni effettuate non comportano duplicazione del beneficio (ai sensi dell’articolo 1, comma 8, penultimo periodo, Dl 201/2011). La legge di Bilancio 2017 ha introdotto alcune modifiche alla disciplina dell’aiuto alla Crescita economica (ACE) che riducono l’entità dell’agevolazione ed operano una razionalizzazione del sistema al fine di adeguare l’incentivo al mutato assetto delle condizioni di mercato. In particolare, per effetto del nuovo comma 6-bis dell’articolo 1 del Dl n. 201/2011, è previsto che «per i soggetti diversi dalle banche e dalle imprese di assicurazione la variazione in aumento del capi- tale proprio non ha effetto fino a concorrenza dell’incremento delle consistenze dei titoli e valori mobiliari diversi dalle partecipazioni rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2010». La norma, quindi, decurta la variazione in aumento del capitale proprio fino a concorrenza dell’incremento delle consistenze dei titoli e valori mobiliari, diversi dalle partecipazioni, rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2010. Si tratta di una previsione che interessa la generalità delle imprese (anche non aventi legami di gruppo), con la sola esclusione di banche e imprese di assicurazione; ciò poiché l’investimento mobiliare rientra tra le attività “tipiche” esercitate dalle stesse. Si ritiene che la fattispecie dell’investimento in titoli, non ricompresa tra le disposizioni antielusive suscettibili di disapplicazione mediante interpello contenute nell’articolo 10 del decreto 14 marzo del 2012, configuri sostanzialmente una norma di sistema per la determinazione del beneficio. Ne consegue che la stessa non può costituire oggetto di interpello probatorio.
18 Con il plafond le perdite si scalano una sola volta La nuova disciplina dell’Iri (articolo 55-bis del Tuir) prevede che il plafond, entro cui è possibile dedurre dal reddito di impresa le somme prelevate dai soci a carico dell’utile e delle riserve di utili, è calcolato al netto delle perdite residue riportabili a nuovo. Si chiede conferma del fatto che, negli esercizi successivi a quello in cui le perdite sono state utilizzate, il plafond vada invece quantificato considerando i redditi dichiarati nel periodo di validità dell’Iri, senza più ridurli delle perdite già compensate. Esempio: Esercizio T1: reddito 1000; prelievi 700; imponibile 300. Plafond Iri 300: Esercizio T2: reddito 100; prelievi 400; perdita 300 riportabile a nuovo. Plafond Iri zero (300-300): Esercizio T3: reddito 500; prelievi 150; imponibile 350 meno perdite 300 = 50. Il Plafond Iri è pari a 350 (300 T1 + 50 T3)oppure a 50? Nell’esempio proposto il plafond Iri correttamente determinato ammonta a 350. Il cd. plafond Iri nei limiti del quale è consentita la deduzione delle somme prelevate a carico dell’utile dell’esercizio e delle riserve di utili, è pari, a norma dell’articolo 55 bis, comma 1, del Tuir, al «reddito del periodo d’imposta e dei periodi d’imposta precedenti assoggettati a tassazione separata al netto delle perdite residue computabili in diminuzione dei redditi dei periodi d’imposta successivi». In altri termini, il plafond Iri va determinato computando in aumento i redditi assoggettati a tassazione separata con l’aliquota del 24% (sia nel periodo di imposta che nei periodo di imposta precedent) e in diminuzione le perdite residue non ancora utilizzate. Pertanto, laddove tali perdite siano utilizzate, le stesse non dovranno più essere portate in diminuzione del plafond Iri .
19 Il prelievo si calcola in base al reddito lordo La nuova disciplina dell’Iri (articolo 55-bis del Tuir) stabilisce che i prelievi dei soci a carico dell’utile e delle riserve di utili sono deducibili nei limiti del reddito assoggettato a Iri nell’esercizio e in esercizi precedenti. Il reddito assoggettato a Iri, a sua volta, si determina al netto dei richiamati prelievi dei soci. Si chiede se, per evitare un calcolo circolare, la deduzione si possa quantificare, per quanto attiene al reddito dell’esercizio, sulla base del reddito di impresa al lordo di tali prelievi, in conformità peraltro a quanto riportato nell’esempio 2 della relazione ministeriale al Ddl di bilancio. Esempio: Reddito di impresa esercizio T1: 100; prelievi in conto utili: 70, deduzione: 70, reddito imponibile Iri (100-70 = 30); plafond di deducibilità al termine dell’esercizio pari a 30. La base imponibile Iri, a norma dell’articolo 55-bis del Tuir è pari alla differenza tra il reddito di impresa e le somme prelevate dall’imprenditore, dai familiari o dai soci a carico dell’utile dell’esercizio e delle riserve di utili. Pertanto, è da ritenere che la determinazione della base imponibile Iri vada effettuata in due step: prima è necessario determinare il reddito d’impresa secondo le ordinarie disposizioni previste dal capo VI del titolo I del Tuir e poi portare in deduzione dal reddito così determinato le somme prelevate nei limiti, ovviamente, del plafond Iri. Quindi, nell’esempio proposto, è corretto, nel periodo di imposta T1, dedurre l’intero importo delle somme prelevate pari a 70 e la differenza pari a 30, assoggettata a Iri nel periodo di imposta T1, costituirà plafond da utilizzare dal periodo di imposta successivo.
20 Plusvalenze e sopravvenienze deducibili per competenza Nel regime di cassa, i ricavi indicati all’articolo 85 del Tuir vengono assunti con il criterio di cassa. Come si fa per quei componenti in cui non c’è il pagamento, come ad esempio il valore normale dei beni assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa? E ancora, considerato che il reddito delle imprese minori è determinato secondo il criterio di cassa ad eccezione di alcuni componenti quali le plusvalenze, minusvalenze e sopravvenienze attive e passive, è corretto dire che rimane comunque un criterio misto di cassa e competenza? Come chiarito dalla relazione illustrativa al Ddl di bilancio 2017, il regime riservato alle imprese minori dal nuovo articolo 66 del Tuir è un regime “improntato alla cassa”; in tal senso, è da ritenere che permangano alcune deroghe al regime di cassa “puro”. Lo stesso legislatore, infatti, ha richiamato per alcuni componenti di reddito – che mal si conciliano con il criterio di cassa - la specifica disciplina prevista dal Tuir, rendendo di fatto operante per tali componenti il criterio di competenza. Quindi, le plusvalenze (o le minusvalenze) e le sopravvenienze attive (o passive) sono imponibili (o deducibili) per competenza a norma degli articoli 86, 88 e 101 del Tuir. Allo stesso modo, nel caso di assegnazione dei beni ai soci o destinazione degli stessi a finalità estranee all’esercizio dell’impresa, si ritiene che il valore normale dei beni concorrerà alla formazione del reddito nel periodo di imposta di competenza, ossia nel periodo di imposta in cui è avvenuta l’assegnazione o la destinazione a finalità estranea.
21 Nelle rimanenze finali anche le opere di durata oltre l’anno Nel primo periodo di imposta di applicazione del regime di cassa, le rimanenze finali 2016 sono deducibili dal reddito di impresa e comprendono anche i servizi in corso di esecuzione indicati all’articolo 92 del Tuir. La deduzione si applica anche per le opere di durata ultrannuale indicate all’articolo 93 del Tuir? L’articolo 1, comma 18, della legge di Bilancio 2017, nel dettare le regole per il primo periodo di imposta di applicazione del regime delle imprese minori, disciplinato dal nuovo articolo 66 del Tuir, prevede che le rimanenze finali che hanno concorso a formare il reddito dell’esercizio precedente secondo il principio della competenza siano portate interamente in deduzione del reddito del primo periodo di applicazione del regime. Pertanto, attesa la formulazione letterale della citata disposizione che fa riferimento genericamente alle «rimanenze finali», si è del parere che le stesse comprendano sia le rimanenze di cui all’articolo 92 del Tuir – e quindi tipicamente rimanenze di merci e di lavori in corso su ordinazione di durata infrannuale - che quelle dell’articolo 93 dello stesso testo unico – e quindi le rimanenze di lavori in corso su ordinazione di durata ultrannuale, nonché dell’articolo 94, relativo alle rimanenze dei titoli.
22 Servizi incassati nel 2017 irrilevanti ai fini del reddito La norma a regime fissata dalla legge di Bilancio 2017 (articolo 1, comma 19 della legge 232/2016) per evitare duplicazioni o salti di imposizione, si applica anche in via transitoria ai contribuenti in contabilità semplificata che nel 2016 applicano il criterio di competenza e nel 2017 quello di cassa? Ad esempio, nel caso dei servizi ultimati e imputati a reddito nel 2016, ma non ancora fatturati, quando il corrispettivo sarà incassato sarà irrilevante ai fini del reddito? Si, in quanto il comma 19 dell’articolo 1 della legge di Bilancio 2016 ha inteso proprio evitare che il passaggio da un regime di competenza a un regime ispirato alla cassa potesse determinare anomalie in termini di doppia tassazione/deduzione ovvero nessuna tassazione/deduzione di alcuni componenti di reddito. Quindi, nell’esempio prospettato, il ricavo derivante dalla prestazione di servizi ultimata nel 2016 ha correttamente concorso alla determinazione del reddito di tale periodo di imposta, a norma dell’articolo 109, comma 2, del Tuir, ancorché il corrispettivo non sia stato incassato. Conseguentemente, il corrispettivo di tale prestazione di servizi quando sarà incassato (ad esempio, nel 2017) non determinerà l’emersione di un ricavo imponibile.
23 Il maxi-canone di leasing si deduce per competenza Per i contribuenti che applicheranno il regime di cassa, le spese si deducono quando sostenute (ai sensi dell’articolo 66, comma 1 primo periodo). Tuttavia alcuni componenti negativi, come le quote di ammortamento, si deducono senza considerare il momento della regolazione finanziaria. Alla luce di ciò, si chiede di sapere se i seguenti costi siano deducibili per cassa o ancora per competenza: canoni di leasing (ad esempio, prima rata di maxi canone); spese per prestazioni di lavoro; oneri di utilità sociale. Si ritiene che i componenti negativi elencati siano deducibili per competenza, per effetto dell’espresso rinvio operato dal legislatore (ai sensi del comma 3 del novellato articolo 66 del Tuir) all’applicazione degli articoli 95, 100 e 102 del Tuir. La specifica disciplina ivi prevista per le spese per prestazione di lavoro, per gli oneri di utilità sociale e per gli ammortamenti e canoni di leasing, rende di fatto operante per tali componenti il criterio di competenza. Con riferimento particolare al maxi-canone di leasing, pertanto, si ritiene che lo stesso vada dedotto per competenza secondo l’ordinaria disciplina prevista dal comma 7 dell’articolo 102 del Tuir, essendo in tal caso irrilevante il momento del pagamento. Come chiarito, infatti, anche dalla Relazione illustrativa al Ddl di bilancio 2017, il regime riservato alle imprese minori dal nuovo art. 66 del Tuir è un regime “improntato alla cassa”.
24 A gestione «libera» rilevano i mancati incassi È corretta l’interpretazione secondo cui le annotazioni cronologiche dettagliate di pagamenti e incassi sono obbligatorie solo per i contribuenti minori esonerati dalla tenuta della contabilità Iva (ad esempio i rivenditori di giornali)? Questo perché in presenza di contabilità Iva è prevista (articolo 18, comma 4, del DPR n. 600/73 l’annotazione solo dei mancati incassi e pagamenti, che si presume debba essere fatta entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi. L’art. 18, comma 2, del DPR n. 600 del 1973, come modificato dall’art. 1, comma 22, della legge 11 dicembre 2016 n. 232, prevede l’obbligo, a carattere generale, per le imprese minori, esonerate dalla tenuta delle scritture contabili previste dagli articoli 14 e seguenti dello stesso decreto, di annotare cronologicamente in uno apposito registro - nei termini di cui all’articolo 22, comma 1 ultimo periodo di cui al citato Decreto (ossia non oltre sessanta giorni dall’incasso) - i ricavi percepiti indicando per ciascun incasso: il relativo importo, le generalità, l’indirizzo e il comune di residenza anagrafica del soggetto che effettua il pagamento, gli estremi della fattura o altro documento emesso. In un diverso registro i medesimi soggetti hanno l’obbligo di annotare le spese sostenute nell’esercizio. Tuttavia, ai sensi del successivo comma 4, tali registri possono essere sostituiti dai registri Iva, laddove il contribuente indichi separatamente le operazioni non soggette a registrazione ai fini dell’imposta sul valore aggiunto ed effettui l’annotazione dell’importo complessivo dei mancati incassi e pagamenti e delle fatture cui gli stessi si riferiscono al fine di determinare il reddito di impresa in base al principio di cassa. Conseguentemente dette annotazioni devono essere eseguite entro i termini di presentazione della dichiarazione delle imposte sui redditi. Al momento dell’effettivo incasso e pagamento i ricavi ed i costi devono essere registrati separatamente ai sensi del citato art. 22, comma 1, ultimo periodo, del DPR n. 600 del 1973 [sessanta giorni dall’incasso o dal pagamento]. In conclusione, la sostituzione degli appositi registri degli incassi e dei pagamenti con i registri tenuti ai fini Iva è riconducibile ad una scelta gestionale del contribuente.
25 La sola registrazione assolve all’obbligo di cassa Le nuove norme (articolo 18 del DPR n. 600/73, al comma 5) introducono un regime “di registrazione” nel regime di cassa secondo i criteri previsti ai fini dell’Iva. Quindi, ad esempio, le fatture di acquisto possono essere registrate entro il termine della dichiarazione del secondo anno successivo ed è sempre in tale momento che si presumono pagate ai fini della determinazione del reddito? Nell’ipotesi in cui l’incasso o il pagamento non avvenga nell’anno di registrazione del documento contabile, il comma 4, secondo periodo, dell’art. 18, prevede che, in luogo delle singole annotazioni sui registri Iva, sia riportato l’importo complessivo dei mancati incassi o pagamenti, con l’indicazione delle fatture cui le operazioni si riferiscono. In un’ottica di semplificazione, il successivo comma 5, consente al contribuente di non effettuare tali annotazioni, esercitando una specifica opzione, vincolante per almeno un triennio. Tale scelta, come espressamente specifi- cato dalla norma in esame, implica che il ricavo si intenda incassato e il pagamento effettuato alla data di registrazione del documento contabile. Ne consegue che laddove il contribuente registri la fattura di acquisto entro i termini previsti dall’art. 19 del DPR n. 633 del 1972 per la detrazione dell’imposta attribuitagli in rivalsa, ai fini delle imposte sul reddito tale data di registrazione coinciderà con la presunta data dell’avvenuto pagamento.
26 Per i soci di Sas ed Snc niente stop all’Irpef La legge di bilancio 2017 introduce l’esclusione, ai fini Irpef, dei redditi dominicale e agrario dei terreni per gli anni 2017-2019 a favore delle persone fisiche in possesso della qualifica di coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale. Come opera tale esclusione per le società di persone, comprese le Snc e le Sas che hanno optato per il reddito agrario (articolo 1, comma 1093, legge 296/2006)? Si applica nel modello Redditi 2017 dei soci in possesso di tali qualifiche? L’articolo 1, comma 44, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, stabilisce che “per gli anni 2017, 2018 e 2019, i redditi dominicali e agrari non concorrono alla formazione della base imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli professionali di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, iscritti nella previdenza agricola”. Come si evince dalla relazione illustrativa alla legge di bilancio 2017, trattasi di una norma introdotta al fine di sostenere, in un periodo di notevole crisi, gli operatori del settore agricolo, con specifico riferimento ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli professionali iscritti alla previdenza agricola. In particolare, la disposizione è volta a prevedere, transitoriamente per il triennio 2017-2019, la non concorrenza dei redditi dominicali e agrari alla formazione della base imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e delle relative addizionali dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli professionali. Si evidenzia che, sulla base del tenore letterale della norma, l’agevolazione in esame è applicabile esclusivamente a favore delle persone fisiche in possesso della qualifica di coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale i quali producono redditi dominicali ed agrari. Non possono beneficiare, invece, dell’agevolazione in questione i soci delle società in nome collettivo e delle società in accomandita semplice che abbiano optato, ai sensi dell’articolo 1, comma 1093, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, per la determinazione del reddito su base catastale in quanto il reddito che viene loro attribuito mantiene la natura di reddito d’impresa così espressamente qualificato in capo alle società dal decreto ministeriale n. 213 del 27 settembre 2007.
27 Fisco e bilanci (per ora) con doppio binario La nuova normativa sul bilanci (Dlgs 139/ 2015, articolo 11) stabilisce che dall’attuazione del decreto “non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Si prevede, quindi, un’invarianza di gettito. Tale previsione va interpretata nel senso che l’invarianza è assicurata quando le nuove disposizioni danno origine soltanto a una diversa i mputazione temporale delle componenti di reddito? Nell’ambito dell’esame dello schema di decreto legislativo da parte della V Commissione Bilancio, tesoro e programmazione, il Governo ha avuto modo di chiarire che, nel rispetto della clausola di invarianza finanziaria, le modifiche introdotte da siffatto provvedimento “non hanno effetti ai fini della determinazione della base imponibile delle imprese interessate”. Pertanto, è da ritenere che, in assenza di ulteriori interventi normativi, le nuove regole di contabilizzazione introdotte per i soggetti ITA Gaap dal Dlgs 139 del 2015 non possano, in linea di principio, trovare riconoscimento ai fini della determinazione della base imponibile IRES e IRAP. Ciò determina la necessità per le imprese di gestire un doppio binario civilistico / fiscale, al fine di sterilizzare ogni effetto – anche unicamente di competenza temporale – derivante dall’applicazione delle regole introdotte dal d.lgs. n. 139 del 2015.
28 Derivazione rafforzata per tutti con una legge Il principio di “derivazione rafforzata” tipico dei soggetti IAS adopter può essere applicato anche ai soggetti che adottano gli standard contabili nazionali o, ai fini fiscali, deve prevalere la rappresentazione giuridico-formale delle operazioni aziendali (principio di derivazione giuridica)? In questo secondo caso si determina un doppio binario civile-fiscale e può accadere che a fronte di uno stesso fenomeno, trattato in modo identico dal punto di vista contabile, si determini un regime fiscale diverso tra soggetti IAS e soggetti non IAS. Il principio di “derivazione rafforzata”, in base al quale trovano riconoscimento ai fini della determinazione della base imponibile IRES le diverse qualificazioni, classificazioni e imputazioni temporali previste dai principi contabili rispetto alle regole del TUIR, recato dall’art. 83 del TUIR, come modificato dall’art. 1, comma 58, della legge n. 244/2007, è riservato, per espressa previsione normativa, ai soli soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali IAS/IFRS. Pertanto, è da ritenere che un’eventuale estensione di tale principio anche ai soggetti ITA Gaap che redigono il bilancio secondo le regole introdotte dal d.lgs. n. 139 del 2015 non possa che avvenire mediante una modifica normativa. È di tutta evidenzia che ciò determini in capo alle imprese ITA Gaap la necessità di gestire un doppio binario civilistico / fiscale e che, a fronte di uno stesso fenomeno contabilizzato in modo analogo secondo gli standard internazionali e nazionali, si addivenga a regimi fiscali diversi.
29 Per le revoche «dimenticate» spazio alla remissione in bonis La nuova disciplina delle opzioni per consolidato, trasparenza e tonnage tax (articolo 7-quater, Dl 193/2016) prevede che, alla scadenza, i regimi si rinnovano salvo revoca espressa. In caso di “revoche dimenticate” è applicabile in via analogica il regime della remissione in bonis (articolo 2 del Dl 16/2012)? Il contribuente può dunque comunicare la revoca, oltre il termine di legge, con la prima dichiarazione dei redditi presentata successivamente a quella in cui la revoca andava ordinariamente comunicata, pagando la sanzione ridotta? L’articolo 7-quater, comma 29, del DL n. 193 del 2016, prevede espressamente che, per “l’esercizio delle opzioni” che devono essere comunicate con la dichiarazione dei redditi da presentare nel corso del “primo periodo di valenza del regime opzionale”, trova applicazione l’articolo 2, comma 1, del DL n. 16 del 2012 (cd. remissione in bonis). Tuttavia, considerato che l’esercizio della revoca delle opzioni deve essere effettuata con le stesse modalità e nei termini previsti per la comunicazione dell’opzione, si ritiene che anche per il mancato esercizio della revoca dell’opzione possa trovare applicazione l’istituto della remissione in bonis, di cui all’articolo 2, comma 1, del DL n. 16 del 2012.
30 Anche l’acconto della cedolare si sposta al 30 giugno In relazione alle nuove scadenze per il pagamento delle imposte “dichiarative” in vigore dal 2017 come definite dal decreto fiscale (articolo 7-quater, commi 19 e 20 del D.L. n. 193 del 2016) la nuova scadenza del 30 giugno riguarda anche gli acconti dovuti per il pagamento della cedolare secca? L’articolo 3, comma 4, del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, dispone che “4. La cedolare secca è versata entro il termine stabilito per il versamento dell’imposta sul reddito delle persone fisiche.” A sua volta, articolo 17, comma 3, lettera a), del D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435, dispone che il versamento del primo acconto IRPEF è effettuato “nel termine previsto per il versamento del saldo dovuto in base alla dichiarazione relativa all’anno d’imposta precedente.” Posto che il termine per il versamento a saldo dell’IRPEF è stato posticipato dal 16 giugno al 30 giugno dell’anno di presentazione della dichiarazione (cfr. articolo 7-quater, commi 19 e 20 del D.L. n. 193 del 2016), ne discende che anche il termine per il versamento del saldo nonché del primo acconto della cedolare secca è posticipato in uguale misura. Deve quindi intendersi superato il termine indicato all’articolo 7, comma 2, del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 7 aprile 2011 (16 giugno), per il versamento del primo acconto della cedolare secca, termine così stabilito perché comunque coincidente con quello di versamento del primo acconto dell’IRPEF ante modifica
31 Ecco il calendario per i versamenti a rate In relazione alle nuove scadenze per il pagamento delle imposte “dichiarative” in vigore dal 2017 come definite dal decreto fiscale (articolo 7-quater, commi 19 e 20, del D.L. n. 193 del 2016) le scadenze di versamento delle rate successive alla prima per i contribuenti che optano per la rateizzazione dei versamenti restano confermate in quelle indicate dall’articolo 20 del D.Lgs. n. 241 del 1997? L’articolo 20, comma 4, del D.Lgs. n. 241 del 1997, dispone che “4. I versamenti rateali sono effettuati entro il giorno sedici di ciascun mese per i soggetti titolari di partita IVA ed entro la fine di ciascun mese per gli altri contribuenti.” Pertanto, le imposte risultanti dalle dichiarazioni presentate dal 1° gennaio 2017 sono versate nel rispetto dei termini di cui alla norma citata, ossia: • per i soggetti titolari di partita IVA entro 30 giugno 2017, 17 luglio 2017, 21 agosto 2017, 18 settembre 2017,(… • [ovvero con la maggiorazione dello 0,40 entro il 31 luglio 2017, 21 agosto 2017, 18 settembre 2017,(…)]; • per i soggetti non titolari di partita IVA entro 30 giugno 2017, 31 luglio 2017, 31 agosto 2017, 2 ottobre 2017, (… • [ovvero con la maggiorazione dello 0,40 entro il 31 luglio 2017, 31 agosto 2017, 2 ottobre 2017, (…)].
32 Opzione possibile per chi emette fatture La grande maggioranza dei titolari di partita Iva opera soltanto con emissione di fatture, non avendo rapporti con il pubblico o non essendo esonerata dalla fatturazione (ad esempio, i medici). Chi non tiene il registro dei corrispettivi può pertanto assolvere l’obbligo mediante opzione in base al Dlgs 127/2015 allo scopo di conseguire i relativi benefici premiali? L’articolo 4 del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, c.d. “decreto fiscale”, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, legge 1° dicembre 2016, n. 225, ha integralmente sostituito l’articolo 21 del D.L. n. 78 del 2010. Il Legislatore, in particolare, con tale nuova disposizione, ha previsto un obbligo generalizzato, in capo ai soggetti passivi IVA, di trasmissione telematica all’Agenzia delle entrate dei dati di tutte le fatture emesse nel trimestre di riferimento, di quelle ricevute e registrate ai sensi dell’articolo 25 del D.P.R. n. 633 del 1972, ivi comprese le bollette doganali, nonché le relative variazioni. I dati, da inviare in forma analitica (cfr. il nuovo articolo 21, comma 2, del D.L. n. 78), corrispondono a quelli da inviare, su base opzionale, secondo quanto disposto dall’articolo 1, comma 3, del D.Lgs. n. 127 del 2015, cui l’Agenzia delle entrate ha dato attuazione con i provvedimenti del proprio direttore pubblicati in data 28 ottobre e 1 dicembre 2016 (si vedano, rispettivamente, i provvedimenti prot. n. 182070 e 212804). Dalla normativa in essere si ricava che possono esercitare l’opzione prevista dall’articolo 1, comma 3, del D.Lgs. n. 127 del 2015 tutti i soggetti passivi che emettono fatture, sia normalmente, sia in via eventuale, come avviene, ad esempio, per le operazioni di cui all’articolo 22 del D.P.R. n. 633 del 1972 dietro richiesta del cliente.
33 Nessuna trasmissione se non c’è la fattura La nuova normativa si occupa unicamente della trasmissione dei dati delle fatture. Si può pertanto ritenere decaduto l’obbligo di segnalare le operazioni da 3.600 euro, Iva inclusa, per le quali non è previsto l’obbligo di emissione della fattura? L’articolo 21 del D.L. n. 78 del 2010, nella versione vigente prima delle modifiche recate dal c.d. “decreto fiscale” prevedeva l’obbligo di comunicazione telematica delle operazioni solo se «di importo non inferiore ad euro 3.600, comprensivo dell’imposta sul valore aggiunto». Il venire meno di tale previsione, implica che nessun obbligo di trasmissione è ora previsto per le operazioni attive e passive che non devono essere documentate da fattura, qualunque ne sia l’importo. Resta, ovviamente, la possibilità, in base all’articolo 2, comma 1, del D.Lgs. n. 127 del 2015, di inviare i dati in questione su base opzionale (si vedano per le relative modalità i provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle entrate prot. n. 182017 del 28 ottobre 2016 e 1 dicembre 2016 prot. n. 212804).
34 Scatta l’esenzione per i forfettari Esistono altri possibili esoneri dalla trasmissione dei dati delle fatture, oltre a quello enunciato a proposito dei produttori agricoli minori delle zone montane? Se non ve ne fossero altri, dovranno essere trasmesse telematicamente anche le “fatturine” per il pranzo di lavoro da 10 euro, oltre a quelle già presenti nel sistema tessera sanitaria? In riferimento alla trasmissione dei dati delle fatture, il Legislatore, all’articolo 21, comma 1, del D.L. n. 78 del 2010, secondo la versione attualmente vigente, ha previsto un solo caso di esclusione, relativo ai produttori agricoli situati nelle zone montane. In linea generale, quindi, deve considerarsi venuta meno, in capo ai soggetti passivi IVA, ogni altra causa di esclu- sione dagli obblighi di trasmissione individuata in base alla previgente formulazione della norma. Pertanto, i contribuenti saranno obbligati a trasmettere i dati di tutte le singole fatture emesse, nonché delle singole fatture ricevute e registrate (comprese le bollette doganali), indipendentemente dal loro valore. Non può dimenticarsi, tuttavia, che l’invio dei dati in questione ha come principale fine la prevenzione di illeciti nel campo IVA ed il monitoraggio delle operazioni rilevanti ai fini dell’imposta. In questo senso, dunque, si ritiene che siano esclusi dagli obblighi dell’articolo 21 anche i soggetti in regime forfetario (ex articolo 1, commi 54-89, legge n. 190 del 2014 – nonché coloro che, sino al 2015, si sono avvalsi, secondo la previsione dell’articolo 27, commi 1 e 2 del D.L. n. 98 del 2011, del c.d. “regime dei minimi” e lo manterranno fino alla scadenza – i quali non annotano le fatture, non addebitano l’imposta in fattura ai propri clienti, non detraggono l’IVA sugli acquisti, non la liquidano, né la versano e non sono obbligati a presentare la dichiarazione IVA
35 L’operazione con scontrino non va comunicata È corretto sostenere che non devono essere trasmesse con il nuovo spesometro le operazioni certificate tramite scontrino o ricevuta fiscale? Cosa si intende per “tipologia di operazione”? Le modifiche recate dal D.L. n. 193 del 2016 all’articolo 21 del D.L. n. 78 del 2010 hanno comportato il venir meno di qualsiasi obbligo di trasmissione per le operazioni attive e passive non documentate da fattura (come, ad esempio, tramite scontrino o ricevuta fiscale). I dati delle stesse potranno comunque essere trasmessi – qualora il contribuente scelga di avvalersi, al fine di godere dei relativi benefici, dell’opzione di cui all’articolo 2, comma 1, del D.Lgs. n. 127 del 2015 – secondo le modalità individuate con i provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle entrate prot. n. 182017 del 28 ottobre 2016 e n. 21280 del 1 dicembre 2016. Quanto alla “tipologia dell’operazione”, che l’articolo 21, comma 2, lett. f del D.L. n. 78 del 2010 individua tra i dati delle fatture da inviare, essa fa riferimento - secondo quanto già precisato in merito alla trasmissione dei medesimi dati prevista dal D.Lgs. n. 127 del 2015 su base opzionale - alla natura dell’operazione, ovvero al motivo specifico per il quale il cedente/prestatore non deve indicare l’imposta in fattura (ad esempio, perché l’operazione è non imponibile, esente o esclusa dal campo di applicazione dell’IVA). Per i dettagli tecnici, sul punto può rinviarsi al provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate prot. n. 182070 del 28 ottobre 2016 ed ai relativi allegati, in specie quello rubricato “SPECIFICHE TECNICHE DATI FATTURA”, da considerarsi validi anche per l’invio obbligatorio dei dati.
36 Note di variazione, gli obblighi del curatore A seguito dell’abrogazione dell’articolo 26, comma 5, secondo periodo, del DPR 633/1972, quali sono gli obblighi del curatore nel caso in cui, a seguito dell’infruttuosità della procedura concorsuale, il cedente prestatore emetta una nota di variazione in diminuzione? Il comma 5 dell’art. 26 prevede che laddove il cedente/prestatore si avvalga della facoltà di emettere una nota di variazione in diminuzione, il cessionario/committente, che ha già contabilizzato l’operazione nel registro Iva degli acquisti, è tenuto a registrare la corrispondente variazione in aumento, salvo il suo diritto alla restituzione di quanto pagato a titolo di rivalsa. L’art. 1, comma 567 lett. d), della legge n. 232 del 2016 ha abrogato la norma che escludeva tale obbligo in caso di procedure concorsuali. Ne consegue che, nell’ipotesi sopra delineata, gli organi della procedura sono tenuti ad annotare nel registro Iva la corrispondente variazione in aumento; tale adempimento, tuttavia, non determina l’inclusione del relativo credito IVA vantato dall’Amministrazione nel riparto finale, ormai definitivo, ma consente di evidenziare il credito eventualmente esigibile nei confronti del fallito tornato in bonis. Per quanto sopra, non sussistendo il debito a carico della procedura, il curatore fallimentare non è tenuto ad ulteriori adempimenti (cfr. ris. n. 155 del 2001).
37 Con il concordato non basta l’omologazione La legge di bilancio evita, di fatto, che diventino efficaci le modifiche all’articolo 26 del decreto Iva (D.P.R. 633/72) previste dalla legge di Stabilità per il 2016, con riferimento alle procedure concorsuali dichiarate a partire dal 1° gennaio 2017. A seguito di questa modifica, quando è possibile emettere la nota di accredito in caso di omologa del concordato preventivo? In caso di concordato preventivo, trattandosi di procedura concorsuale, la nota di variazione può essere messa solo quando è definitivamente accertata l’infruttuosità della procedura. Al fine di individuare il momento in cui tale circostanza si verifica, tornano applicabili i chiarimenti forniti con circolare n. 77/E del 17/4/2000, secondo cui occorre far riferimento non solo al decreto di omologazione del concordato che, ai sensi dell’art. 181 della legge fallimentare chiude il concordato, ma anche al momento in cui il debitore adempie agli obblighi assunti nel concordato stesso. Ne consegue che laddove, in caso di mancato adempimento, ovvero in conseguenza di comportamenti dolosi, venga dichiarato il fallimento del debitore, la rettifica in diminuzione può essere eseguita, solo dopo che il piano di riparto dell’attivo sia divenuto definitivo ovvero, in assenza di un piano, a chiusura della procedura fallimentare.
38 Sul credito utilizzato scatta la sanzione per l’infedeltà Quali imposte e sanzioni sono dovute se il contribuente commette la violazione di dichiarazione infedele e si trova o a credito di imposta? Se nella dichiarazione è indicato un reddito, ai fini delle imposte sui redditi, un valore della produzione imponibile, ai fini Irap, o un’imposta inferiore a quella dovuta ovvero un’eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante, ai fini IVA, trova applicazione la sanzione amministrativa dal novanta al centoottanta per cento della maggiore imposta dovuta o della differenza del credito utilizzato. L’inserimento della locuzione “utilizzato” in relazione al concetto di maggior credito accertato consente di commisurare la sanzione per l’infedeltà solo all’effettivo danno per l’Erario derivante dall’indebita esposizione in dichiarazione del credito. In particolare, gli organi accertatori, nel determinare la sanzione in concreto irrogabile, non devono tener conto del maggior credito (o della parte di esso che non risulti effettivamente utilizzata dal contribuente. In tale ipotesi, infatti, il contribuente, non avendo utilizzato il credito, non ha tratto alcun vantaggio (e, conseguentemente, arrecato alcun danno all’Erario); pertanto, la violazione commessa è punita con la sanzione di cui all’articolo 8, comma 1, del decreto legislativo n. 471 del 1997 (da 250 a 2.000 euro), senza recupero d’imposta. La sanzione dal novanta al centoottanta per cento (ed il recupero dell’imposta resta, quindi, applicabile nella sola ipotesi in cui il contribuente abbia indicato in dichiarazione e, successivamente, utilizzato un credito maggiore rispetto a quello effettivamente spettante.
39 La penalità si determina in modo «frazionato» Dichiarazione infedele che ha chiuso originariamente a credito. Si supponga che il credito originario sia stato pari a 1.000 e l’Agenzia, per effetto dell’infedeltà, lo riduca a 200. Se il contribuente ha utilizzato il credito per 300, la sanzione per infedele dichiarazione viene rapportata a 300 o a 100? Nell’ipotesi formulata, si suppone che, nel corso di un controllo, si accerti che il credito spettante sia inferiore a quello indicato in dichiarazione. La norma stabilisce che in tal caso si applichi una sanzione compresa tra il novanta e il centottanta per cento della maggiore imposta dovuta o della “differenza del credito utilizzato”, cioè alla differenza tra il credito fruito e il credito spettante, che nel caso di specie è uguale a 100 euro.
40 Si guarda l’iter del credito per fissare la sanzione La dichiarazione Iva relativa all’anno solare 2014 chiude con un credito di 100. La dichiarazione Iva dell’anno successivo chiude con un credito di 120 (che ingloba anche il credito di 100 dell’anno precedente). Quella del 2016 chiude con un credito di 180 (comprendente anche i 120 dell’anno precedente), che viene utilizzato (nel 2017) per 90 a scomputo dell’Iva periodica. Nel 2018 l’Agenzia accerta l’infedeltà della dichiarazione Iva del 2014, riducendo il credito di 100 a 30. Come viene determinata la sanzione? Nel caso di specie, il credito utilizzato in compensazione nel 2017 (pari a 90 euro è: a)superiore alla somma da recuperare (par a 70 euro); b)inferiore all’eccedenza a credito complessiva maturata ante 2017 e compensabile, pari a 110 euro (30 euro maturati nel 2014 + 20 euro maturati nel 2015 e 60 maturati nel 2016). Trovando, quindi, il credito compensato capienza nel credito effettivamente disponibile nel 2017, non si applica la sanzione proporzionale di cui all’articolo 5, comma 4 del d.lgs. n. 471 del 1997 (dal 90 a 180 per cento del credito indebitamente utilizzato), ma quella in misura fissa di cui all’articolo 8 (da 250 a 2.000 euro).
41 Superata la procedura per correggere errori contabili È ancora attuale la procedura di correzione degli errori contabili prevista dalla circolare 31/E/2013? Come si concilia con la possibilità di presentare dichiarazioni integrative a favore del contribuente entro i termini di accertamento? La circolare 31/E del 2013 ha fornito chiarimenti in merito alla procedura da applicare per i correggere errori contabili che, nel caso di annualità d’imposta non più emendabili, avrebbero generato una tassazione anomala violando il principio di competenza. Tale procedura deve intendersi superata dalla nuova disciplina recata dall’articolo 2, comma 8 del Dpr 322 del 1998, che consente di «correggere errori o omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggiore o di un minore imponibile o, comunque, di un maggiore o di un minore debito d’imposta ovvero di un maggiore o di un minore credito», ivi compresi gli errori contabili, presentando una dichiarazione integrativa a favore entro i termini previsti per l’accertamento dall’articolo 43 del Dpr 600 del 1973.
42 La definizione dell’intera pretesa «chiude» il giudizio La rinuncia al giudizio ha effetti solo nei confronti dell’agente della riscossione o anche per le altre parti processuali? La normativa prevede in caso di definizione l’impegno a rinunciare ai giudizi aventi ad oggetto i carichi cui si riferisce la dichiarazione del debitore. Si chiede se l’atto di rinuncia debba essere presentato al giudice presso cui è pendente l’impugnazione una volta che la definizione sia stata accettata dall’agente della riscossione oppure solo dopo che la definizione si sia perfezionata (pagamento tempestivo da parte del debitore)? Se nella controversia vi siano altre controparti processuali (ad esempio, impugnazione del ruolo contro l’agenzia delle Entrate), l’impegno a rinunciare al giudizio deve intendersi riferito nei riguardi di tutte le controparti? Il comma 2, articolo 6, definizione agevolata del Dl 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225, prevede che il debitore presenti una dichiarazione di adesione alla definizione agevolata indicando, fra l’altro, la pendenza di giudizi aventi a oggetto i carichi cui si riferisce la dichiarazione e assumendo l’impegno a rinunciare agli stessi giudizi. In proposito, in riferimento al processo tributario, si ritiene che l’impegno a rinunciare in commento non corrisponda strettamente alla rinuncia al ricorso di cui all’articolo 44 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. Ciò che assume rilevanza sostanziale e oggettiva è il perfezionamento della definizione agevolata mediante il tempestivo e integrale versamento del complessivo importo dovuto. La definizione rileva negli eventuali giudizi pendenti in cui sono parti l’agente della riscossione o l’ente creditore o entrambi facendo cessare integralmente la materia del contendere qualora il carico definito riguardi l’intera pretesa oggetto di controversia.
43 Gli effetti della rottamazione prevalgono sull’esito dei giudizi Contenzioso favorevole al contribuente. Se il debito risulta ancora iscritto a ruolo, è possibile eseguire la rottamazione anche se l’atto è stato annullato dal giudice? In questo caso, qual è il comportamento processuale della parte pubblica? Se il contribuente ha definito pagando il tutto, fa venir meno la materia del contendere? Il comma 2 dell’articolo 68 del d.lgs. n. 546 del 1992 prevede che «Se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d’ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza». La predetta disposizione si applica anche alle sanzioni amministrativo-tributarie per effetto del comma 1, articolo 19, Dlgs 18 dicembre 1997, n. 472. A causa dei tempi richiesti per l’esecuzione di una sentenza provvisoriamente esecutiva può dunque accadere che l’Agente della riscossione abbia un carico già oggetto di un provvedimento di annullamento. In proposito, considerato che la definizione agevolata riguarda i crediti che l’Agente della riscossione ha in carico, si ritiene ammessa l’adesione del debitore anche nell’ipotesi descritta nel quesito qualora ne abbia interesse, che può derivare essenzialmente dalla circostanza che si tratta di una sentenza non definitiva che potrebbe essere riformata a seguito di impugnazione. Al riguardo non va trascurato che la definizione agevolata presuppone la rinuncia del debitore ai giudizi e quindi anche agli effetti delle eventuali pronunce giurisdizionali emesse. Nell’ipotesi di cui al quesito, il perfezionamento della definizione agevolata riguardante l’intera pretesa oggetto di lite; ad esempio, ruolo effettuato a seguito di liquidazione e controllo formale delle dichiarazioni dei redditi, ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 fa venire meno l’interesse della parte pubblica alla prosecuzione della controversia ovvero costituisce una causa di cessazione della materia del contendere qualora la sentenza favorevole al debitore sia stata impugnata. La cessazione della materia del contendere, come prevede il comma 3, articolo 46 del Dlgs 546 del 1992, comporta che «Nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate». Più in generale, si ritiene che gli effetti della definizione agevolata di norma prevalgono sugli esiti degli eventuali giudizi.
44 Definibile solo il carico affidato all’agente della riscossione Qualora si definisca il carico affidato dei 2/3 e relative sanzioni amministrative dopo la soccombenza del ricorrente in primo grado, la rinuncia al giudizio tributario riguarda l’intera pretesa in contestazione o la controversia sull’avviso di accertamento prosegue per la parte non definibile? Qualora il contribuente intenda aderire alla definizione, la rinuncia al giudizio deve riguardare l’intero atto (e quindi dovrà corrispondere l’intera imposta e 1/3 delle sanzioni ancora non affidate) o potrà proseguire nel contenzioso per tali importi? Premesso che la definizione agevolata è possibile solo in presenza di un ca- rico affidato all’agente della riscossione e non riguarda direttamente le liti pendenti, nell’ipotesi esposta nel quesito prosegue il giudizio avente ad oggetto l’avviso di accertamento in esecuzione del quale è stata avviata a titolo provvisorio la riscossione frazionata in pendenza di impugnazione. L’interesse delle parti alla prosecuzione e alla decisione nel merito della controversia riguarda la frazione della pretesa che non è stata definita. Più precisamente, qualora l’esito definitivo del giudizio sia favorevole al contribuente, non vi sarà alcuna ulteriore riscossione né, al contempo, alcuna restituzione di quanto versato in sede di definizione agevolata, i cui effetti sono intangibili. Qualora invece l’esito del giudizio sia sfavorevole al contribuente, vi sarà la riscossione del residuo terzo di tributi e correlati interessi e sanzioni amministrative, atteso che il debito relativo alle sanzioni comprese nel carico dei 2/3 è stato estinto mediante definizione agevolata.
45 La controversia prosegue se la pretesa supera il «definito» Nella soccombenza parziale, la definizione e quindi la rinuncia al giudizio comporta che lo stesso prosegua solo per la parte non definita o invece occorre corrispondere anche tale parte? Per maggiore chiarezza della risposta è opportuno riferirla ad un esempio, che può essere rappresentato dal caso di una controversia pendente in Cassazione a seguito di impugnazione della sentenza della Commissione tributaria regionale di parziale annullamento dell’avviso di accertamento (ad esempio, riduzione decisa nella misura del 30% della maggiore imposta accertata e contestata dal contribuente), pronuncia impugnata sia dall’Agenzia delle entrate sia dal contribuente. In questa ipotesi, ai sensi della lettera c, comma 2, articolo 68 del Dlgs. n. 546/1992 e del comma 1, articolo 19, Dlgs 472/1997, la riscossione provvisoria dopo la pronuncia di secondo grado riguarda l’importo di tributi, sanzioni ed interessi determinati nella sentenza, pari - in riferimento a questo esempio - al 70% dei tributi e correlati accessori in contestazione. Con riferimento a tale situazione, il perfezionamento della definizione agevolata produce l’effetto di estinguere integralmente il complessivo debito recato dai carichi affidati, senza possibilità di restituzione, mentre la controversia prosegue in quanto i carichi definiti sono inferiori alla pretesa in contestazione.
46 Si applica il confronto ordinario del cumulo giuridico Ipotizziamo che le sanzioni sul quadro RW determinate con il cumulo materiale siano 120 e con il cumulo giuridico 90. Le sanzioni da liquidare sono un terzo di 120 o un terzo di 90? Qualora, invece, le sanzioni determinate con il cumulo materiale siano 90 e con il cumulo giuridico 120, le sanzioni da liquidare sono un terzo di 90 o un terzo di 120? Il quesito fa riferimento al confronto tra cumulo giuridico e cumulo materiale delle sanzioni previste dal comma 7 dell’articolo 12 del decreto legislativo n. 472 del 1997, che dispone che la sanzione unica calcolata con l’applicazione del cumulo giuridico non può essere superiore a quella risultante dal cumulo delle sanzioni previste per le singole violazioni. Ai fini della determina- zione delle sanzioni relative alle violazioni degli obblighi dichiarativi di monitoraggio fiscale oggetto della procedura di collaborazione volontaria, il nuovo articolo 5-octies del decreto legge n. 167 del 1990, introdotto dall’articolo 7 del decreto legge 193 del 2016, richiama al comma 1, lettera e), le disposizioni previste dai commi 1 e 5 dell’articolo 12 del decreto legislativo n. 472 del 1997, non rinviando anche al comma 7 del medesimo articolo. Sebbene tale disposizione non venga esplicitamente richiamata nell’articolo 5octies del decreto legge n. 167 del 1990, comma 1, lettera e), il rinvio alla disciplina del cumulo giuridico ivi contenuto, ai fini della “determinazione” della sanzione dovuta per la collaborazione volontaria, comporta necessariamente anche l’applicazione della regola generale prevista dal comma 7 dell’articolo 12 del decreto legislativo n. 472 del 1997. Nel caso esposto nel quesito, quindi, la riduzione ad un terzo ai sensi dell’articolo 16, comma 3, del decreto legislativo n. 472 del 1997 dovrà essere calcolata in entrambe le ipotesi sull’importo di 90 euro, trattandosi dell’importo più vantaggioso emerso dal confronto tra cumulo materiale e cumulo giuridico. Al riguardo si ricorda comunque che ai fini della determinazione delle sanzioni dovute risulta applicabile anche l’ulteriore criterio previsto dal citato comma 3 dell’articolo 16 del decreto legislativo 472 del 1997, richiamato nell’articolo 5-octies del decreto legge n. 167 del 1990, comma 1, lettera e), che dispone che la sanzione non può comunque essere inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo.
47 Un’istanza con il modello Ipea per contare le perdite pregresse Il mancato riconoscimento delle perdite in sede di accertamento influisce sui termini di sospensione per impugnare l’atto? L’articolo 42 del Dpr 600/73 prevede che il contribuente possa chiedere il riconoscimento delle perdite in sede di accertamento. Tale istanza sospende i termini di impugnazione di 60 giorni. Nell’ipotesi in cui l’ufficio all’esito del controllo della spettanza negasse per qualsiasi ragione lo scomputo, ci sono ipotesi in cui tale diniego potrebbe inficiare anche sulla sospensione dei termini e pertanto il contribuente potrebbe trovarsi in “ritardo” per la proposizione del ricorso? Ai sensi dell’articolo 42 del Dpr 600 del 1973, in sede di accertamento il contribuente ha la facoltà di chiedere che le perdite pregresse siano computate in diminuzione dei maggiori imponibili e, a tal fine, deve presentare un’apposita istanza all’ufficio competente entro il termine per la proposizione del ricorso che, in tal caso, viene sospeso per un periodo di sessanta giorni. Nel provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate dell’8 aprile 2016, con cui è stato approvato il modello per la presentazione dell’istanza (denominato Modello Ipea), è stato precisato che l’ufficio procede al riscontro dell’utilizzabilità delle perdite pregresse richieste, ricalcola l’eventuale maggiore imposta dovuta, gli interessi e le sanzioni correlate e comunica l’esito al contribuente entro 60 giorni dalla presentazione del citato Modello Ipea. Tenuto conto che le norme in materia non collegano la sospensione dei termini all’esito del controllo della spettanza dello scomputo delle perdite, la presentazione del Modello Ipea sospende comunque per un pe- riodo di sessanta giorni il termine per l’impugnazione dell’atto che, in tale ipotesi, è pari a centoventi giorni (fatto salvo l’eventuale periodo di sospensione feriale previsto dalla legge 7 ottobre 1969, n. 742).
48 I limiti ai prelievi sul c/corrente hanno effetto dal 3 dicembre È corretto ritenere che le nuove disposizioni sui limiti quantitativi di 1.000 euro giornalieri «e comunque di 5mila euro mensili» dei prelevamenti (32, comma 1, n. 2, del Dpr 600/1973) non hanno effetto retroattivo, visto che riguardano l’attività istruttoria e non quella di accertamento? Il decreto legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito con la Legge 1° dicembre 2016, n. 225, art. 7-quater, ha apportato delle modifiche all’art. 32, comma 1, n. 2 del D.P.R. n. 600 del 1973, introducendo un limite agli importi dei prelevamenti o importi riscossi, posti come ricavi a base delle rettifiche e degli accertamenti. La presunzione relativa ai prelevamenti, per le imprese, si applica agli importi superiori a 1.000 euro giornalieri e 5.000 euro mensili mentre è inapplicabile nei riguardi degli esercenti arti e professioni. Pertanto, si ritiene che, a partire dal 3/12/2016 (data di entrata in vigore della legge di conversione n. 225 del 2016), a base delle rettifiche ed accertamenti, saranno considerati ricavi i prelevamenti o gli importi riscossi nei limiti previsti dalla nuova disposizione.
49 Resta la presunzione di reddito sui versamenti non giustificati Le modifiche intervenute all’articolo 32 del Dpr 600/73 riguardano solo i prelevamenti o anche i versamenti, come sembrano indicare i lavori parlamentari? L’articolo 32 del Dpr 600/73, come modificato dal decreto legge 193 del 2016, prevede che «sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti…, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreche non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque, a euro 5.000 mensili». La lettera della norma interviene, quindi, solamente sui prelievi non giustificati, e non anche sui versamenti, per i quali rimane in vigore la regola che costituiscono presunzione di reddito qualora non risultassero “giustificati”.
50 Chi è stato poco collaborativo non accede alla procedura Il decreto fiscale (Dl 193/2016, articolo 7) ha riaperto i termini per la voluntary disclosure a condizione che il soggetto che presenta l’istanza non l’abbia già presentata in precedenza. Si chiede conferma che il beneficiario economico di un rapporto bancario estero possa avvalersi della riapertura della procedura anche se ha già presentato l’istanza nel 2015 esclusivamente in qualità di delegato ad operare su un conto corrente estero intestato a un soggetto terzo. Ai sensi dell’articolo 5-octies del decreto legge 167 del 1990 possono accedere alla procedura di collaborazione volon- taria, beneficiando della riapertura dei termini, solo i contribuenti che non abbiano già presentato istanza in relazione alla precedente edizione. Si chiede pertanto di sapere se ciò comporti, per il soggetto che abbia già usufruito della passata edizione della voluntary disclosure in qualità di delegato ad operare su un conto corrente estero, l’inibizione all’accesso alla nuova edizione della procedura, nella veste di beneficiario economico di un rapporto bancario estero. Al riguardo, preliminarmente si ricorda che l’agenzia delle Entrate, con la circolare 27/E del 16 luglio 2015, ha chiarito che ai delegati che non risultino essere i titolari effettivi delle attività presenti sui rapporti non può essere attribuito alcun reddito connesso con le stesse; i medesimi soggetti sono invece obbligati a far emergere le eventuali ulteriori attività della specie che detengono o hanno detenuto all’estero in un qualsiasi periodo d’imposta ancora aperto. Con particolare riferimento al caso prospettato nella domanda appare pertanto evidente che il contribuente che vuole accedere alla nuova edizione della procedura di collaborazione volontaria in relazione ai profili internazionali risulta essere stato non collaborativo in relazione alla procedura di voluntary discousure internazionale già esperita, avendo regolarizzato la sola relazione bancaria di cui era titolare in qualità di soggetto delegato alla firma. Si ritiene, quindi, che la riapertura dei termini della procedura di collaborazione volontaria non possa essere utilizzata per sanare l’incompletezza derivante dall’omissione a suo tempo delle ulteriori attività della specie.
51 Nel versamento spontaneo sanzione nella misura minima Versamento spontaneo per la voluntary disclosure. Con l’applicazione del cumulo giuridico le maggiorazioni previste dall’articolo 12, commi da 1 a 5, del Dlgs 472/1997 sono applicate nella misura minima? Con riferimento alla determinazione delle sanzioni relative alle violazioni degli obblighi dichiarativi di monitoraggio fiscale oggetto della procedura di collaborazione volontaria, il nuovo articolo 5-octies del Dl 167 del 1990, introdotto dall’articolo 7 del decreto legge 193 del 2016, prevede al comma 1, lettera e), l’applicazione dei commi 1 e 5 dell’articolo 12 del decreto legislativo 472 del 1997. Ai fini dell’applicazione di un’unica sanzione (cosiddetto cumulo giuridico), il citato comma 1, articolo 12 del Dlgs 472 del 1997 dispone che, in caso di concorso formale o materiale di violazioni, la sanzione connessa alla violazione più grave deve essere aumentata dal quarto al doppio. Il comma 5 del suddetto articolo prevede l’aumento della sanzione base dalla metà al triplo, qualora le violazioni si riferiscono a più periodi di imposta. Mentre gli uffici dell’agenzia delle Entrate ai fini del calcolo del cumulo giuridico della sanzione da irrogare possono valutare, nell’ambito della discrezionalità loro rimessa, le percentuali di aumento della sanzione previste dall’articolo 12 del suddetto decreto, tenendo anche conto della condotta del contribuente, della gravità delle violazioni e della frequenza con cui le stesse sono state commesse, il contribuente che ai fini della procedura di collaborazione volontaria intende provvedere spontaneamente al versamento delle sanzioni dovute per le violazioni di cui all’articolo 4, comma 1, del decreto legge n. 167 del 1990 dovrà applicare gli aumenti nelle misure minime stabilite dai commi 1 e 5 del citato articolo 12, pari rispettivamente ad un quarto ed alla metà.
52 Dati sulla ristrutturazione con inquilini e «altri soggetti» Gli amministratori di condominio devono trasmettere in via telematica alle Entrate, entro il 28 febbraio, una comunicazione contenente i dati relativi alle spese sostenute nel 2016 dal condominio per gli interventi agevolati di ristrutturazione, riqualificazione energetica e acquisto di mobili ed elettrodomestici per l’arredo di parti comuni. Secondo il Dm del Mef del 1° dicembre 2016 vanno indicate le quote di spesa imputate ai singoli condomini. Nelle «specifiche tecniche di trasmissione», già disponibili sul sito delle Entrate, si chiede di indicare se il soggetto è proprietario, nudo proprietario, titolare di un diritto reale di godimento, locatario, comodatario o da inserire in «altre tipologie di soggetti». Dato che queste ultime tre categorie non sono configurabili come condòmini, vanno ugualmente inserite in comunicazione? L’articolo 16-bis del Tuir prevede che la detrazione Irpef per le spese di ristrutturazione edilizia e risparmio energetico su parti comuni condominiali, nonché per gli interventi relativi all’adozione di misure antisismiche, spetta a coloro che possiedono o detengono l’immobile sul quale sono stati effettuati gli interventi di recupero edilizio sulla base di un titolo idoneo. Tale titolo può consistere, quindi, nella proprietà, nella nuda proprietà, in un diritto reale di godimento o in un contratto di locazione o comodato. Sulla base di quanto previsto dal comma 2 dell’articolo 16 del decreto legge 4 giugno 2013, n. 63, agli stessi soggetti che fruiscono delle detrazioni per interventi di ristrutturazione edilizia è riconosciuta la detrazione Irpef per le spese di acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici per parti comuni condominiali. Inoltre, ha diritto alle detrazioni in esame anche il familiare convivente del possessore o del detentore dell’immobile oggetto dell’intervento, purché abbia sostenuto le spese e le fatture e i bonifici siano a lui intestati (sul punto vi è un consolidato orientamento di prassi formatosi in merito alle detrazione per le spese di ristrutturazione edilizia: circolare n. 121 del 1998, n. 50 del 2002 e successive). Tale principio deve ritenersi valido anche in relazione alla detrazione per i lavori di risparmio energetico (circolare n. 36 del 2007). Ciò premesso, l’articolo 2 del decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze del 1° dicembre 2016 ha previsto l’obbligo di trasmissione all’agenzia delle Entrate, da parte degli amministratori di condominio, di una comunicazione contenente i dati relativi alle spese sostenute nell’anno precedente dal condominio con riferimento agli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica effettuati sulle parti comuni di edifici residenziali, nonché con riferimento all’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici finalizzati all’arredo delle parti comuni dell’immobile oggetto di ristrutturazione. Nella comunicazione devono essere indicate le quote di spesa imputate ai singoli condòmini. Ai sensi dell’articolo 3 di tale decreto, con provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate sono disciplinate le modalità tecniche di trasmissione dei dati relativi alle spese per interventi su parti comuni degli edifici residenziali. Le specifiche tecniche prevedono che, nella comunicazione telematica per la trasmissione delle spese attribuite ai condòmini per lavori effettuati sulle parti comuni, vada indicato il codice fiscale del soggetto al quale è attribuito l’importo della spesa. Sulla base delle informazioni contenute nel registro dell’anagrafe condominiale riguardanti le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali di godimento (articolo 10 della legge 220/2012) e delle altre informazioni comunque in loro possesso, gli amministratori indicano, pertanto, per ogni unità immobiliare la quota di spesa attribuita ai possessori o detentori dell’appartamento individuati dalla prima tipologia di soggetti (proprietario, nudo proprietario, titolare di un diritto reale di godimento, locatario o comodatario). Qualora la spesa vada attribuita a un soggetto diverso dai precedenti, ad esempio un familiare convivente del possessore o del detentore dell’immobile, gli amministratori indicano nella comunicazione il codice residuale che individua «altre tipologie di soggetti». Le spese di ristrutturazione edilizia e risparmio energetico su parti comuni condominiali qualora siano imputate alla prima tipologia di soggetti (proprietario, locatario, ecc.) vengono esposte direttamente nella dichiarazione precompilata. Diversamente, qualora tali spese siano state imputate a soggetti individuati con il codice residuale (altre tipologie di soggetti), tenuto conto che la sussistenza delle condizioni soggettive di detraibilità è verificabile solo da parte del contribuente, le stesse vengono riportate esclusivamente nel foglio informativo allegato alla dichiarazione. In tale ultimo caso sarà il contribuente ad aggiungere il dato nella dichiarazione dei redditi se possiede i requisiti previsti dalla normativa vigente.
53 Nella comunicazione il dettaglio sui «morosi» Nella comunicazione delle spese sostenute nel 2016 dal condominio, che l’amministratore deve inviare entro il 28 febbraio, vanno riportate anche le quote di spesa imputate ai singoli condòmini o che non sono state pagate per morosità? Nella comunicazione telematica per la trasmissione delle spese attribuite ai condòmini per lavori effettuati sulle parti comuni, gli amministratori sono tenuti a fornire l’informazione relativa all’effettivo pagamento al 31 dicembre della quota di spesa attribuita a ciascun soggetto. In tal senso, dovrà essere compilato il campo relativo al “flag pagamento” attraverso il quale andrà evidenziato se il pagamento è stato interamente corrisposto al 31 dicembre dell’anno di riferimento ovvero se lo stesso è stato parzialmente o interamente non corrisposto entro tale data. Nelle specifiche tecniche si fa riferimento alla quota «attribuita» e non alla quota «pagata» in quanto, come previsto dalla circolare n. 122 del 1° giugno 1999, al paragrafo 4.8, «ai fini del riconoscimento del beneficio in caso di spese relative a parti comuni condominiali la detrazione compete con riferimento all’anno di effettuazione del bonifico bancario da parte dell’amministratore e nel limite delle rispettive quote dello stesso imputate ai singoli condomini e da questi ultimi effettivamente versate al condominio al momento della presentazione della dichiarazione, anche anticipatamente o posticipatamente rispetto alla data di effettuazione del bonifico». Nel caso in cui il pagamento sia stato interamente corrisposto entro il 31 dicembre dell’anno di riferimento, la relativa spesa sarà esposta direttamente nella dichiarazione precompilata. In caso contra- rio, e quindi nel caso in cui il pagamento non sia stato interamente corrisposto entro tale termine, la spesa sarà indicata esclusivamente nel foglio informativo e il contribuente, in presenza delle condizioni di detraibilità previste dalla normativa vigente, potrà modificare la dichiarazione aggiungendo tale onere qualora pagato entro la data di presentazione della dichiarazione.
54 Visto infedele, il termine è fissato dalla contestazione Il decreto fiscale ha previsto la possibilità per i Caf e i professionisti di correggere il visto infedele presentando una dichiarazione rettificativa anche dopo il 10 novembre dell’anno della presentazione della dichiarazione errata. In questo caso, a carico dell’intermediario che ha apposto il visto, resta dovuta la sola sanzione, riducibile in base al ravvedimento. Ma qual è la sanzione da ravvedere? Inoltre, dato che non è prevista una decorrenza specifica, in virtù del favor rei possono essere regolarizzate oltre il 10 novembre anche violazioni commesse prima dell’entrata in vigore della nuova norma? La novità, in particolare, è contenuta nell’articolo 7-quater, comma 48, del Dl 193/2016 ha modificato l’articolo 39, comma 1 , lettera a) del Dlgs 241/1997 ampliando sul piano temporale la possibilità per gli intermediari abilitati (Caf e professionisti) di intervenire per correggere il visto infedele. L’articolo 39, comma 1 , lettera a) del Dlgs 241/1997, prevede che in caso di apposizione di visto infedele, i Caf e i professionisti assumono una responsabilità diretta nei confronti dello Stato o del diverso ente impositore per il pagamento di una somma pari all’importo dell’imposta, della sanzione e degli interessi che dovrebbero essere richiesti al contribuente ai sensi dell’articolo 36-ter del Dpr n. 600 del 1973, salvo che il visto infedele non sia stato indotto dalla condotta dolosa o gravemente colposa del contribuente. Tale responsabilità può essere, però, evitata se il Caf o il professionista trasmette una dichiarazione rettificativa del contribuente ovvero, nel caso in cui il contribuente non intenda presentare la nuova dichiarazione, una comunicazione dei dati relativi alla rettifica. In tale caso, la somma dovuta è pari all’importo della sola sanzione, peraltro ravvedibile. L’articolo 7-quater, comma 48, del Dl 193/2016 ha modificato il menzionato articolo 39, comma 1 , lettera a) del Dlgs 241/1997, ampliando sul piano temporale la possibilità per gli intermediari abilitati (Caf e professionisti) di intervenire per correggere il visto infedele. Il termine per il compimento delle suddette attività rettificative, in precedenza fissato al 10 novembre dell’anno in cui la violazione è stata commessa, è ora rappresentato dalla contestazione dell’infedeltà del visto di conformità con la comunicazione di cui all’articolo 26, comma 3-ter, del decreto del ministro delle Finanze 31 maggio 1999, n. 164. La sanzione per importi non versati è da individuarsi in quella di cui all’articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997 per «i ritardati od omessi versamenti diretti», sanzione applicata ordinariamente in caso di controllo formale ai sensi dell’articolo 36ter del Dpr n. 600 del 1973. Trattandosi di modifica di una norma procedurale che consente ai Caf e ai professionisti di rettificare le dichiarazioni 730 contenenti errori che determinano infedeltà del visto di conformità, la stessa, per sua natura, trova applicazione anche con riferimento alle attività rettificative per le quali risulta già spirato il termine del 10 novembre dell’anno in cui la violazione è stata commessa. Di conseguenza, in tali ipotesi, il Caf o il professionista potrà trasmettere una dichiarazione rettificativa del contribuente ovvero, nel caso in cui il contribuente non intenda presentare la nuova dichiarazione, una comunicazione dei dati relativi alla rettifica, sempreché l’infedeltà del visto non sia stata contestata con la comunicazione di cui al citato articolo 26, comma 3-ter, del regolamento di cui al decreto del ministro delle Finanze n. 164 del 1999. Per quanto riguarda le modalità di presentazione della dichiarazione rettificativa occorre tener conto della complessità dello svolgimento dell’assistenza fiscale, del numero dei soggetti coinvolti e della tempistica entro cui il procedimento deve concludersi. Con particolare riferimento alla tempistica, si segnala che l’articolo 16, comma 2, del citato decreto n. 164 del 1999 fissa al 10 novembre il termine ultimo per trasmissione delle dichiarazioni integrative di cui all’articolo 14 del medesimo decreto che il contribuente intende presentare per correggere errori che non incidono sulla determinazione dell’imposta o che determinano a favore dello stesso un rimborso o un minor debito. Analogamente, nella considerazione che detto termine del 10 novembre sia il termine massimo per la trasmissione delle dichiarazioni utile a consentire al sostituto d’imposta di poter effettuare il conguaglio entro la fine dell’anno, si ritiene che per le dichiarazioni rettificative previste dall’articolo 39 del decreto legislativo 241 del 1997, trasmesse entro la predetta data, il risultato contabile viene messo a disposizione dei sostituti d’imposta, ove indicati. Diversamente, per le dichiarazioni trasmesse successivamente alla predetta data, mutuando la procedura prevista per i 730 presentati in assenza del sostituto d’imposta gli eventuali versamenti dovranno essere eseguiti a cura dei contribuenti e gli eventuali rimborsi sono eseguiti a cura dell’agenzia delle Entrate. Inoltre, tenuto conto che il risultato contabile fornito al sostituto d’imposta non tiene conto degli effetti della dichiarazione originaria, nei casi in cui nella dichiarazione rettificativa è riportato un sostituto d’imposta diverso da quello indicato nella dichiarazione originaria, per le trasmissioni effettuate anche prima del 10 novembre occorre seguire la procedura prevista per i 730 presentati in assenza del sostituto d’imposta. Si segnala, che per la presentazione della dichiarazione rettificativa deve essere utilizzato il modello 730 relativo al periodo d’imposta per il quale è stata presentata la dichiarazione oggetto di rettifica. Analogamente, nel caso in cui il Caf o il professionista presenti la comunicazione dei dati relativi alla rettifica in quanto il contribuente non intende presentare la nuova dichiarazione, dovranno essere seguite le istruzioni fornite con la circolare per la liquidazione ed il controllo del modello 730 relativo periodo d’imposta per il quale è stata presentata la dichiarazione oggetto di rettifica.
55 Per i redditi esenti, Cu senza scadenza e sanzioni La scadenza del 7 marzo per la trasmissione telematica delle certificazioni uniche (Cu) da parte dei sostituti d’imposta che hanno erogato redditi soggetti a ritenuta nel corso del 2016, deve intendersi come perentoria anche se la certificazione riguarda redditi esenti o che non possono essere dichiarati nel modello 730, come redditi d’impresa e di lavoro autonomo? Si chiede in buona sostanza se anche per il 2017 possano rendersi applica- bili i chiarimenti varati con le circolari 6/ E/2015 e 12/E/2016. Con le circolari n. 6/E/2015 e n. 12/ E/2016, diramate in relazione ai primi anni di invio delle certificazioni, è stato chiarito che la trasmissione delle certificazioni contenenti esclusivamente redditi non dichiarabili mediante il modello 730 può avvenire anche successivamente alla data del 7 marzo prevista dall’articolo 4, comma 6-ter, del Dpr n. 322 del 1998, senza applicazione di sanzioni. Al riguardo, al fine di semplificare gli adempimenti degli operatori connessi alla trasmissione della certificazione unica e in aderenza ai chiarimenti forniti con le menzionate circolari, si ritiene che l’invio delle certificazioni uniche che non contengono dati da utilizzare per l’elaborazione della dichiarazione precompilata (come i redditi di lavoro autonomo non occasionale o redditi esenti) può avvenire anche successivamente al 7 marzo senza l’applicazione di sanzioni, purché entro il termine di presentazione dei quadri riepilogativi (ST, SV, SX, SY) del modello 770.
56 Anche il risultato finale va comunicato all’Agenzia Quali novità sono previste quest’anno per il sostituto d’imposta che presta assistenza fiscale ai propri dipendenti? I controlli preventivi di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, trovano applicazione nel caso di presentazione della dichiarazione al sostituto d’imposta che presta l’assistenza fiscale? L’articolo 5 del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, introdotto dall’articolo articolo 1, comma 949, lettera f), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, prevede che nel caso di presentazione della dichiarazione direttamente ovvero tramite il sostituto d’imposta che presta l’assistenza fiscale, con modifiche rispetto alla dichiarazione precompilata, l’agenzia delle Entrate può effettuare dei controlli preventivi, in via automatizzata o mediante verifica della documentazione giustificativa, se si rilevano degli elementi di incoerenza rispetto ai criteri pubblicati con provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate ovvero determinano un rimborso di importo superiore a 4.000 euro. L’articolo 17, comma 1, lettera cbis, del decreto 31 maggio 1999, n. 164, introdotto dall’articolo 1, comma 951, lettera b), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, prevede che il sostituto d’imposta che presta l’assistenza fiscale, deve comunicare all’agenzia delle Entrate in via telematica, entro il termine previsto per l’invio dei 730, anche il risultato finale delle dichiarazioni. A tal fine, da quest’anno, ai modelli 730 trasmessi all’agenzia delle Entrate a seguito di assistenza fiscale prestata direttamente dal sostituto d’imposta deve essere allegato il risultato contabile (modello 730-4). Conseguentemente, per procedere alle operazioni di conguaglio il sostituto d’imposta dovrà attendere che l’agenzia delle Entrate metta a sua disposizione il modello 730-4, mediante la sede telematica propria o di un intermediario - indicata con la Comunicazione per la ricezione in via telematica dei dati relativi ai modelli 730-4 (CSO) o con il quadro CT presente nella Certificazione Unica - al pari di quanto accade per i modelli 730 presentati dal dipendente tramite Caf e intermediari abilitati ovvero direttamente avvalendosi dell’applicativo 730 WEB. A tal fine nella circolare per la liquidazione ed il controllo del modello 730/2017 saranno fornite specifiche indicazioni relativamente alle modalità di predisposizione dei modelli 730-4.