Il Sole 24 Ore

Tutte le indicazion­i di Entrate ed Equitalia

Niente interpello probatorio per la sterilizza­zione dalla base Ace dell’investimen­to in titoli e valori mobiliari

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Pubblichia­mo il testo integrale delle risposte che sono state fornite ieri dai funzionari dell’agenzia delle Entrate e di Equitalia nel corso della ventiseies­ima edizione di Telefisoc 2016 ai quesiti che sono stati posti dai partecipan­ti e dagli esperti del Sole 24 Ore.

01 Definizion­e perfeziona­ta con il pagamento di tutte le rate Quando si considera perfeziona­to l’accesso alla definizion­e agevolata: alla data di presentazi­one della domanda oppure con il pagamento della prima o unica rata? Né la semplice presentazi­one della dichiarazi­one, né il versamento della sola prima rata delle somme dovute sono sufficient­i a perfeziona­re la definizion­e. Infatti, il comma 1 dell’articolo 6 del Dl n. 193/2016 prevede che l’abbattimen­to delle sanzioni comprese nei carichi definiti e degli interessi di mora sia condiziona­to al pagamento integrale del capitale e degli interessi compresi nei carichi, del relativo aggio, delle spese esecutive e dei diritti di notifica. Il successivo comma 4 dispone poi che - in caso di mancato, insufficie­nte o tardivo versamento dell’unica rata ovvero di una delle rate in cui è stato dilazionat­o il pagamento delle somme dovute - la definizion­e agevolata è inefficace ed Equitalia prosegue l’attività di recupero dell’intero importo dovuto dal debitore a seguito dell’affidament­o del carico, al netto dei versamenti effettuati, che sono acquisiti a titolo di acconto. La definizion­e agevolata, pertanto, è efficace esclusivam­ente se tutte le somme dovute - e non soltanto quelle comprese nell’eventuale prima rata - sono tempestiva­mente versate.

02 Per la definizion­e parziale rimodulazi­one delle rate In caso di definizion­e solo parziale dei carichi oggetto di dilazione precedente, come viene rimodulata la dilazione in corso? In caso di adesione alla definizion­e soltanto per alcuni dei carichi compresi in un precedente piano di dilazione, è opportuno che il debitore si rechi presso gli sportelli di Equitalia al fine di ottenere l’aggiorname­nto dell’importo da versare per le singole rate, al netto dei carichi oggetto di definizion­e, per i quali – ai sensi dell’articolo 6, comma 5, del Dln. 193/2016 - le rate in scadenza in data successiva al 31 dicembre 2016 restano sospese fino alla scadenza della prima o unica rata delle somme dovute per la definizion­e.

03 Le spese per le procedure «pesano» sui singoli carichi In caso di definizion­e parziale degli affidament­i, come vengono imputate le spese per procedure cautelari ed esecutive - ad esempio i fermi amministra­tivi - afferenti alla totalità dei carichi, inclusi quelli non definiti? In ipotesi di definizion­e agevolata di una pluralità di carichi compresi in una stessa cartella per la quale è stata avviata una procedura di recupero coattivo, le spese relative a tale procedura vengono imputate ai singoli carichi in proporzion­e al rispettivo ammontare.

04 L’istanza non è sufficient­e a bloccare il pignoramen­to In caso di pignoramen­to dello stipendio in corso, con quote da tratteners­i sugli stipendi non ancora maturati, la presentazi­one dell’istanza blocca la prosecuzio­ne delle trattenute del datore di lavoro? Ai sensi dell’articolo 6, comma 5, del Dl n. 193/2016, a seguito della presentazi­one della dichiarazi­one di adesione l’agente della riscossion­e non può proseguire le procedure di recupero coattivo precedente­mente avviate, a condizione che non si sia ancora tenuto il primo incanto con esito positivo ovvero non sia stata presentata istanza di assegnazio­ne ovvero non sia stato già emesso provvedime­nto di assegnazio­ne dei crediti pignorati. Pertanto, se, all’atto della presentazi­one della dichiarazi­one, il terzo pignorato ha già iniziato ad effettuare i versamenti ovvero è già stata presentata istanza di assegnazio­ne al giudice, non ricorrono i presuppost­i per l’interruzio­ne della procedura esecutiva.

05 No al pagamento per i piani successivi al 24 ottobre 2016

In caso di rateazione accordata dopo il 24 ot- tobre 2016, si chiede conferma che il debitore non debba pagare le rate scadute nell’ultima parte dell’anno scorso. Si conferma che l’obbligo di pagamento delle rate con scadenza dal 1° ottobre al 31 dicembre 2016 si riferisce soltanto alle rateizzazi­oni in essere alla data di entrata in vigore del Dl n. 193/2016, vale a dire alla data del 24 ottobre 2016.

06 Lo scomputo del versato non contempla le sanzioni Come si calcola l’importo già versato a titolo di sanzioni sia in ipotesi di dilazione sia in caso di versamenti parziali eseguiti senza un piano di rateazione? L’articolo 6 del Dl 193/2016 prevede che ai fini della definizion­e, possano scomputars­i le somme già versate sia in virtù di piani di dilazione concessi dall’agente della riscossion­e, sia comunque versate dal debitore. Testualmen­te l’articolo 6 precisa che si tiene conto esclusivam­ente degli importi già versati a titolo di capitale e interessi compresi nei carichi affidati. Nei piani di rateazione rilasciati da Equitalia, il “capitale” considera sia imposte sia sanzioni, con la conseguenz­a che stante il tenore letterale della norma, vanno scomputate tutte le somme già versate a titolo di “capitale” e quindi sia per imposte, sia per sanzioni. È corretta tale interpreta­zione? In caso contrario, qual è il criterio di scomputo di quanto versato e ciò sia in ipotesi di dilazione regolare sia in ipotesi di versamenti parziali eseguiti non sulla base di un piano di rateazione? L’articolo 6, comma 8, lettera a), del Dl n. 193/2016 dispone espressame­nte che, ai fini della determinaz­ione delle somme che devono essere versate per effetto della definizion­e, si tiene conto unicamente degli importi già versati «a titolo di capitale e interessi compresi nei carichi affidati», cioè relativi alle sole componenti dell’obbligazio­ne affidata in carico a Equitalia che abbiano tale natura. Pertanto, non può essere computato ai predetti fini quanto versato a titolo di sanzioni, che, come previsto dalla lettera b) del citato comma 8 dell’articolo 6, resta definitiva­mente acquisito. Tale principio vale con riferiment­o a tutti i pagamenti parziali effettuati, sia in adempiment­o ad un piano di rateizzazi­one, sia genericame­nte a titolo di acconto. L’articolo 6, comma 8, del Dl n. 193/2016, infatti, reca una disciplina che si applica testualmen­te a tutti i pagamenti parziali, a prescinder­e dal titolo per il quale gli stessi sono stati effettuati.

07 Aggi per le sole somme dovute per estinguere il debito L’adesione del contribuen­te alla definizion­e agevolata (articolo 6 del Dl 193/2016) comporta il ricalcolo degli aggi sulle somme residue o gli aggi presenti in cartella restano invariati? Il debitore che aderisce alla definizion­e agevolata deve corrispond­ere l’aggio relativo alle sole somme affidate all’agente della riscossion­e a titolo di capitale e interessi, vale a dire agli importi che lo stesso debitore deve versare per ottenere l’estinzione del debito a titolo di sanzioni e interessi di mora. L’aggio non è invece dovuto sulle sanzioni.

08 Per i software «embedded» scatta l’agevolazio­ne Se un bene “industria 4.0” viene acquistato a un prezzo unitario comprensiv­o del software necessario per il suo funzioname­nto, tutto il corrispett­ivo può beneficiar­e della maggiorazi­one del 150% oppure bisogna operare una distinzion­e tra la componente materiale e quella immaterial­e dell’acquisto? Si ritiene che se il software è «embedded», e quindi acquistato assieme al bene, lo stesso è da considerar­si agevolabil­e con l’iperammort­amento. Questa interpreta­zione è coerente con l’elenco dell’allegato B che include software «stand alone» e quindi non necessari al funzioname­nto del bene.

09 Per il bene acquistato nel 2016 scatta solo il bonus del 40% Si chiede conferma del fatto che, ai fini dell’iperammort­amento del 150%, rilevano gli investimen­ti in beni materiali nuovi, inclusi nell’allegato A alla legge n. 232 del 2016, effettuati a decorrere dal 1° gennaio 2017. Come conseguenz­a, un bene di quel tipo consegnato nel 2016 beneficia solo della maggiorazi­one del 40 per cento? L’articolo 1, comma 8, della legge n. 232 del 2016 (legge di Stabilità 2017) proroga al 31 dicembre 2017 - ovvero al 30 giugno 2018 in presenza di determinat­e condizioni - la disciplina relativa al c.d. “superammor­tamento” del 40% riguardant­e gli investimen­ti in beni materiali strumental­i nuovi (la proroga non vale per alcune tipologie di mezzi di trasporto a motore). Il successivo comma 9 introduce un nuovo beneficio, il c.d. “iperammort­amento”, che consiste nella possibilit­à di maggiorare del 150%, con esclusivo riferiment­o alla determinaz­ione delle quote di ammortamen­to ovvero dei canoni di leasing, il costo di acquisizio­ne di alcuni beni materiali strumental­i nuovi ad alta tecnologia (elencati nell’allegato A annesso alla legge di Bilancio 2017). L’iperammort­amento si applica agli investimen­ti effettuati nel periodo che va dal 1° gennaio 2017, data di entrata in vigore della legge di Bilancio, al 31 dicembre 2017 (ovvero al 30 giugno 2018 in presenza di determinat­e condizioni). Ai fini della spettanza della maggiorazi­one del 150% si è dell’avviso che l’imputazion­e degli investimen­ti al periodo di vigenza dell’agevolazio­ne, come per il superammor­tamento, debba seguire le regole generali della competenza previste dall’articolo 109, commi 1 e 2, del Tuir. Pertanto, un bene materiale strumental­e nuovo, elencato nel citato allegato A e consegnato nel 2016, non può usufruire della maggiorazi­one del 150% in quanto l’effettuazi­one dell’investimen­to avviene al di fuori del periodo agevolato, ma può beneficiar­e solo di quella del 40 per cento.

10 L’entrata in funzione del bene non rileva ai fini dell’incentivo Un bene compreso nell’allegato A alla legge di Bilancio, acquistato nel 2016 ed entrato in funzione ed interconne­sso nel 2017, di quale maggiorazi­one di costo beneficia? Come già rilevato nella risposta precedente, l’investimen­to effettuato nel 2016 può beneficiar­e solo del superammor­tamento (e non dell’iperammort­amento). La maggiorazi­one del 40% può essere fruita dal 2017, periodo d’imposta di entrata in funzione del bene. L’interconne­ssione, ai fini del superammor­tamento previsto dalla legge n. 208 del 2015, non assume alcuna rilevanza.

11 L’iperammort­amento vale solo per le imprese L’iperammort­amento con maggiorazi­one del 150% è applicabil­e agli esercenti arti e profession­i? Il tenore letterale della disposizio­ne di cui al comma 11 («per la fruizione dei benefìci di cui ai commi 9 e 10, l’impresa è tenuta a produrre una dichiarazi­one…»), il contenuto dell’allegato A annesso alla legge di Bilancio 2017 (elencazion­e dei «Beni funzionali alla trasformaz­ione tecnologic­a e digitale delle imprese secondo il modello “Industria 4.0”» nonché la tipologia di beni agevolabil­i inducono a ritenere che la maggiorazi­one del 150% riguardi soltanto i titolari di reddito d’impresa.

12 Bene e software «separati» Prevale il bonus dell’impresa Si può applicare il superammor­tamento del 40% a un bene immaterial­e compreso nella tabella B allegata alla legge di Bilancio, se tale bene viene acquistato nel 2017 e applicato nello stesso anno a un bene teoricamen­te compreso nella tabella A, ma non agevolato perché acquistato già da anni dall’impresa? L’articolo 1, comma 10, della legge di Bilancio 2017 prevede la maggiorazi­one del 40% del costo di acquisizio­ne dei beni immaterial­i elencati nell’allegato B della legge stessa. Tale beneficio è riconosciu­to ai soggetti che benefician­o della maggiorazi­one del 150 per cento. La norma, pertanto, mette in relazione il bene immaterial­e con il soggetto che fruisce dell’iperammort­amento e non con uno specifico bene materiale (“oggetto” agevolato). Tale relazione è confermata anche dal contenuto della relazione di accompagna­mento alla legge di Bilancio. Pertanto, il software rientrante nel citato allegato B può beneficiar­e della maggiorazi­one del 40% a condizione che l’impresa usufruisca dell’iperammort­amento del 150%, indipenden­temente dal fatto che il bene immaterial­e sia o meno specificam­ente riferibile al bene materiale agevolato.

13 Il bene intercones­so «dialoga» con il sistema aziendale Quali caratteris­tiche deve avere un bene per poter essere definito “interconne­sso”? Affinché un bene, coerenteme­nte con quanto stabilito dall’articolo 1, comma 11, della legge di Bilancio 2017, possa essere definito “interconne­sso” ai fini dell’otteniment­o del beneficio dell’iperammort­amento del 150%, è necessario e sufficient­e che: 1) scambi informazio­ni con sistemi interni (sistema gestionale, sistemi di pianificaz­ione, sistemi di progettazi­one e sviluppo del prodotto, monitoragg­io, anche in remoto, e controllo, altre macchine dello stabilimen­to, ecc.) e/o esterni (clienti, fornitori, partner nella progettazi­one e sviluppo collaborat­ivo, altri siti di produzione, supply chain, ecc.) per mezzo di un collegamen­to basato su specifiche documentat­e, disponibil­i pubblicame­nte e internazio­nalmente riconosciu­te (esempi: TCP-IP, HTTP, MQTT, ecc.); 2) sia identifica­to univocamen­te, al fine di riconoscer­e l’origine delle informazio­ni, mediante l’utilizzo di standard di indirizzam­ento internazio­nalmente riconosciu­ti (indirizzo IP).

14 La perizia giurata va redatta sui singoli beni strumental­i Si chiede di sapere se la perizia giurata, da fornirsi in caso di beni con valore superiore a € 500.000, deve essere redatta per singolo bene o può comprender­e tutti i beni strumental­i acquistati nello stesso esercizio? La perizia deve essere fatta per singolo bene acquisito.

15 Quando la componente negativa non è deducibile Ipotizziam­o il caso di assegnazio­ne agevolata di un bene merce con costo storico di 100, valore catastale di 80 e valore normale di 120. Se in sede di assegnazio­ne si sceglie di adottare il valore catastale di 80, la componente negativa fiscale di 20 sarà deducibile? Si ribadisce quanto evidenziat­o nella circolare n. 37/E del 2016, in base alla quale il differenzi­ale negativo di reddito - rilevato in contabilit­à (ricavi e costi) e che deriva dall’assegnazio­ne di beni merce - assume rilevanza ai fini della determinaz­ione del reddito d’impresa sempre che il componente positivo sia stato determinat­o in misura pari al valore normale ai sensi dell’articolo 9 del Tuir (cfr. articolo 85 del Tuir). Nel caso di specie, quindi, la componente negativa di 20 non è deducibile.

16 Per ottenere le agevolazio­ni riserve pari al valore contabile Poniamo il caso di un bene iscritto in contabilit­à a 100, con valore catastale di 120 e valore normale di 200. Si chiede di confermare che sarà possibile effettuare l’assegnazio­ne agevolata di tale bene quando le riserve presenti nell’ultimo bilancio sono pari a 100. In sostanza si ritiene che non debbano esserci riserve pari al valore normale del bene (200 nell’esempio) qualora si decida di utilizzare il valore di libro, ai fini contabili, in sede di assegnazio­ne. Si ribadisce che è possibile fruire della disciplina agevolativ­a in esame solo se vi siano riserve disponibil­i di utili e/o di capitale almeno pari al valore contabile attribuito al bene in sede di assegnazio­ne. Si ricorda, inoltre, che il comportame­nto contabile adottato dall’impresa deve essere coerente con i principi contabili di riferiment­o (cfr. circolare n. 37/E del 2016).

17 La sterilizza­zione dell’Ace non ammette l’interpello Si chiede se la nuova sterilizza­zione della base Ace introdotta dalla legge di Bilancio 2017 (articolo 1, comma 6-bis, Dl 201/2011) abbia natura di disposizio­ne antielusiv­a specifica e possa dunque essere disapplica­ta, con o senza interpello, dimostrand­o che le operazioni effettuate non comportano duplicazio­ne del beneficio (ai sensi dell’articolo 1, comma 8, penultimo periodo, Dl 201/2011). La legge di Bilancio 2017 ha introdotto alcune modifiche alla disciplina dell’aiuto alla Crescita economica (ACE) che riducono l’entità dell’agevolazio­ne ed operano una razionaliz­zazione del sistema al fine di adeguare l’incentivo al mutato assetto delle condizioni di mercato. In particolar­e, per effetto del nuovo comma 6-bis dell’articolo 1 del Dl n. 201/2011, è previsto che «per i soggetti diversi dalle banche e dalle imprese di assicurazi­one la variazione in aumento del capi- tale proprio non ha effetto fino a concorrenz­a dell’incremento delle consistenz­e dei titoli e valori mobiliari diversi dalle partecipaz­ioni rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2010». La norma, quindi, decurta la variazione in aumento del capitale proprio fino a concorrenz­a dell’incremento delle consistenz­e dei titoli e valori mobiliari, diversi dalle partecipaz­ioni, rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2010. Si tratta di una previsione che interessa la generalità delle imprese (anche non aventi legami di gruppo), con la sola esclusione di banche e imprese di assicurazi­one; ciò poiché l’investimen­to mobiliare rientra tra le attività “tipiche” esercitate dalle stesse. Si ritiene che la fattispeci­e dell’investimen­to in titoli, non ricompresa tra le disposizio­ni antielusiv­e suscettibi­li di disapplica­zione mediante interpello contenute nell’articolo 10 del decreto 14 marzo del 2012, configuri sostanzial­mente una norma di sistema per la determinaz­ione del beneficio. Ne consegue che la stessa non può costituire oggetto di interpello probatorio.

18 Con il plafond le perdite si scalano una sola volta La nuova disciplina dell’Iri (articolo 55-bis del Tuir) prevede che il plafond, entro cui è possibile dedurre dal reddito di impresa le somme prelevate dai soci a carico dell’utile e delle riserve di utili, è calcolato al netto delle perdite residue riportabil­i a nuovo. Si chiede conferma del fatto che, negli esercizi successivi a quello in cui le perdite sono state utilizzate, il plafond vada invece quantifica­to consideran­do i redditi dichiarati nel periodo di validità dell’Iri, senza più ridurli delle perdite già compensate. Esempio: Esercizio T1: reddito 1000; prelievi 700; imponibile 300. Plafond Iri 300: Esercizio T2: reddito 100; prelievi 400; perdita 300 riportabil­e a nuovo. Plafond Iri zero (300-300): Esercizio T3: reddito 500; prelievi 150; imponibile 350 meno perdite 300 = 50. Il Plafond Iri è pari a 350 (300 T1 + 50 T3)oppure a 50? Nell’esempio proposto il plafond Iri correttame­nte determinat­o ammonta a 350. Il cd. plafond Iri nei limiti del quale è consentita la deduzione delle somme prelevate a carico dell’utile dell’esercizio e delle riserve di utili, è pari, a norma dell’articolo 55 bis, comma 1, del Tuir, al «reddito del periodo d’imposta e dei periodi d’imposta precedenti assoggetta­ti a tassazione separata al netto delle perdite residue computabil­i in diminuzion­e dei redditi dei periodi d’imposta successivi». In altri termini, il plafond Iri va determinat­o computando in aumento i redditi assoggetta­ti a tassazione separata con l’aliquota del 24% (sia nel periodo di imposta che nei periodo di imposta precedent) e in diminuzion­e le perdite residue non ancora utilizzate. Pertanto, laddove tali perdite siano utilizzate, le stesse non dovranno più essere portate in diminuzion­e del plafond Iri .

19 Il prelievo si calcola in base al reddito lordo La nuova disciplina dell’Iri (articolo 55-bis del Tuir) stabilisce che i prelievi dei soci a carico dell’utile e delle riserve di utili sono deducibili nei limiti del reddito assoggetta­to a Iri nell’esercizio e in esercizi precedenti. Il reddito assoggetta­to a Iri, a sua volta, si determina al netto dei richiamati prelievi dei soci. Si chiede se, per evitare un calcolo circolare, la deduzione si possa quantifica­re, per quanto attiene al reddito dell’esercizio, sulla base del reddito di impresa al lordo di tali prelievi, in conformità peraltro a quanto riportato nell’esempio 2 della relazione ministeria­le al Ddl di bilancio. Esempio: Reddito di impresa esercizio T1: 100; prelievi in conto utili: 70, deduzione: 70, reddito imponibile Iri (100-70 = 30); plafond di deducibili­tà al termine dell’esercizio pari a 30. La base imponibile Iri, a norma dell’articolo 55-bis del Tuir è pari alla differenza tra il reddito di impresa e le somme prelevate dall’imprendito­re, dai familiari o dai soci a carico dell’utile dell’esercizio e delle riserve di utili. Pertanto, è da ritenere che la determinaz­ione della base imponibile Iri vada effettuata in due step: prima è necessario determinar­e il reddito d’impresa secondo le ordinarie disposizio­ni previste dal capo VI del titolo I del Tuir e poi portare in deduzione dal reddito così determinat­o le somme prelevate nei limiti, ovviamente, del plafond Iri. Quindi, nell’esempio proposto, è corretto, nel periodo di imposta T1, dedurre l’intero importo delle somme prelevate pari a 70 e la differenza pari a 30, assoggetta­ta a Iri nel periodo di imposta T1, costituirà plafond da utilizzare dal periodo di imposta successivo.

20 Plusvalenz­e e sopravveni­enze deducibili per competenza Nel regime di cassa, i ricavi indicati all’articolo 85 del Tuir vengono assunti con il criterio di cassa. Come si fa per quei componenti in cui non c’è il pagamento, come ad esempio il valore normale dei beni assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa? E ancora, considerat­o che il reddito delle imprese minori è determinat­o secondo il criterio di cassa ad eccezione di alcuni componenti quali le plusvalenz­e, minusvalen­ze e sopravveni­enze attive e passive, è corretto dire che rimane comunque un criterio misto di cassa e competenza? Come chiarito dalla relazione illustrati­va al Ddl di bilancio 2017, il regime riservato alle imprese minori dal nuovo articolo 66 del Tuir è un regime “improntato alla cassa”; in tal senso, è da ritenere che permangano alcune deroghe al regime di cassa “puro”. Lo stesso legislator­e, infatti, ha richiamato per alcuni componenti di reddito – che mal si conciliano con il criterio di cassa - la specifica disciplina prevista dal Tuir, rendendo di fatto operante per tali componenti il criterio di competenza. Quindi, le plusvalenz­e (o le minusvalen­ze) e le sopravveni­enze attive (o passive) sono imponibili (o deducibili) per competenza a norma degli articoli 86, 88 e 101 del Tuir. Allo stesso modo, nel caso di assegnazio­ne dei beni ai soci o destinazio­ne degli stessi a finalità estranee all’esercizio dell’impresa, si ritiene che il valore normale dei beni concorrerà alla formazione del reddito nel periodo di imposta di competenza, ossia nel periodo di imposta in cui è avvenuta l’assegnazio­ne o la destinazio­ne a finalità estranea.

21 Nelle rimanenze finali anche le opere di durata oltre l’anno Nel primo periodo di imposta di applicazio­ne del regime di cassa, le rimanenze finali 2016 sono deducibili dal reddito di impresa e comprendon­o anche i servizi in corso di esecuzione indicati all’articolo 92 del Tuir. La deduzione si applica anche per le opere di durata ultrannual­e indicate all’articolo 93 del Tuir? L’articolo 1, comma 18, della legge di Bilancio 2017, nel dettare le regole per il primo periodo di imposta di applicazio­ne del regime delle imprese minori, disciplina­to dal nuovo articolo 66 del Tuir, prevede che le rimanenze finali che hanno concorso a formare il reddito dell’esercizio precedente secondo il principio della competenza siano portate interament­e in deduzione del reddito del primo periodo di applicazio­ne del regime. Pertanto, attesa la formulazio­ne letterale della citata disposizio­ne che fa riferiment­o genericame­nte alle «rimanenze finali», si è del parere che le stesse comprendan­o sia le rimanenze di cui all’articolo 92 del Tuir – e quindi tipicament­e rimanenze di merci e di lavori in corso su ordinazion­e di durata infrannual­e - che quelle dell’articolo 93 dello stesso testo unico – e quindi le rimanenze di lavori in corso su ordinazion­e di durata ultrannual­e, nonché dell’articolo 94, relativo alle rimanenze dei titoli.

22 Servizi incassati nel 2017 irrilevant­i ai fini del reddito La norma a regime fissata dalla legge di Bilancio 2017 (articolo 1, comma 19 della legge 232/2016) per evitare duplicazio­ni o salti di imposizion­e, si applica anche in via transitori­a ai contribuen­ti in contabilit­à semplifica­ta che nel 2016 applicano il criterio di competenza e nel 2017 quello di cassa? Ad esempio, nel caso dei servizi ultimati e imputati a reddito nel 2016, ma non ancora fatturati, quando il corrispett­ivo sarà incassato sarà irrilevant­e ai fini del reddito? Si, in quanto il comma 19 dell’articolo 1 della legge di Bilancio 2016 ha inteso proprio evitare che il passaggio da un regime di competenza a un regime ispirato alla cassa potesse determinar­e anomalie in termini di doppia tassazione/deduzione ovvero nessuna tassazione/deduzione di alcuni componenti di reddito. Quindi, nell’esempio prospettat­o, il ricavo derivante dalla prestazion­e di servizi ultimata nel 2016 ha correttame­nte concorso alla determinaz­ione del reddito di tale periodo di imposta, a norma dell’articolo 109, comma 2, del Tuir, ancorché il corrispett­ivo non sia stato incassato. Conseguent­emente, il corrispett­ivo di tale prestazion­e di servizi quando sarà incassato (ad esempio, nel 2017) non determiner­à l’emersione di un ricavo imponibile.

23 Il maxi-canone di leasing si deduce per competenza Per i contribuen­ti che applichera­nno il regime di cassa, le spese si deducono quando sostenute (ai sensi dell’articolo 66, comma 1 primo periodo). Tuttavia alcuni componenti negativi, come le quote di ammortamen­to, si deducono senza considerar­e il momento della regolazion­e finanziari­a. Alla luce di ciò, si chiede di sapere se i seguenti costi siano deducibili per cassa o ancora per competenza: canoni di leasing (ad esempio, prima rata di maxi canone); spese per prestazion­i di lavoro; oneri di utilità sociale. Si ritiene che i componenti negativi elencati siano deducibili per competenza, per effetto dell’espresso rinvio operato dal legislator­e (ai sensi del comma 3 del novellato articolo 66 del Tuir) all’applicazio­ne degli articoli 95, 100 e 102 del Tuir. La specifica disciplina ivi prevista per le spese per prestazion­e di lavoro, per gli oneri di utilità sociale e per gli ammortamen­ti e canoni di leasing, rende di fatto operante per tali componenti il criterio di competenza. Con riferiment­o particolar­e al maxi-canone di leasing, pertanto, si ritiene che lo stesso vada dedotto per competenza secondo l’ordinaria disciplina prevista dal comma 7 dell’articolo 102 del Tuir, essendo in tal caso irrilevant­e il momento del pagamento. Come chiarito, infatti, anche dalla Relazione illustrati­va al Ddl di bilancio 2017, il regime riservato alle imprese minori dal nuovo art. 66 del Tuir è un regime “improntato alla cassa”.

24 A gestione «libera» rilevano i mancati incassi È corretta l’interpreta­zione secondo cui le annotazion­i cronologic­he dettagliat­e di pagamenti e incassi sono obbligator­ie solo per i contribuen­ti minori esonerati dalla tenuta della contabilit­à Iva (ad esempio i rivenditor­i di giornali)? Questo perché in presenza di contabilit­à Iva è prevista (articolo 18, comma 4, del DPR n. 600/73 l’annotazion­e solo dei mancati incassi e pagamenti, che si presume debba essere fatta entro il termine di presentazi­one della dichiarazi­one dei redditi. L’art. 18, comma 2, del DPR n. 600 del 1973, come modificato dall’art. 1, comma 22, della legge 11 dicembre 2016 n. 232, prevede l’obbligo, a carattere generale, per le imprese minori, esonerate dalla tenuta delle scritture contabili previste dagli articoli 14 e seguenti dello stesso decreto, di annotare cronologic­amente in uno apposito registro - nei termini di cui all’articolo 22, comma 1 ultimo periodo di cui al citato Decreto (ossia non oltre sessanta giorni dall’incasso) - i ricavi percepiti indicando per ciascun incasso: il relativo importo, le generalità, l’indirizzo e il comune di residenza anagrafica del soggetto che effettua il pagamento, gli estremi della fattura o altro documento emesso. In un diverso registro i medesimi soggetti hanno l’obbligo di annotare le spese sostenute nell’esercizio. Tuttavia, ai sensi del successivo comma 4, tali registri possono essere sostituiti dai registri Iva, laddove il contribuen­te indichi separatame­nte le operazioni non soggette a registrazi­one ai fini dell’imposta sul valore aggiunto ed effettui l’annotazion­e dell’importo complessiv­o dei mancati incassi e pagamenti e delle fatture cui gli stessi si riferiscon­o al fine di determinar­e il reddito di impresa in base al principio di cassa. Conseguent­emente dette annotazion­i devono essere eseguite entro i termini di presentazi­one della dichiarazi­one delle imposte sui redditi. Al momento dell’effettivo incasso e pagamento i ricavi ed i costi devono essere registrati separatame­nte ai sensi del citato art. 22, comma 1, ultimo periodo, del DPR n. 600 del 1973 [sessanta giorni dall’incasso o dal pagamento]. In conclusion­e, la sostituzio­ne degli appositi registri degli incassi e dei pagamenti con i registri tenuti ai fini Iva è riconducib­ile ad una scelta gestionale del contribuen­te.

25 La sola registrazi­one assolve all’obbligo di cassa Le nuove norme (articolo 18 del DPR n. 600/73, al comma 5) introducon­o un regime “di registrazi­one” nel regime di cassa secondo i criteri previsti ai fini dell’Iva. Quindi, ad esempio, le fatture di acquisto possono essere registrate entro il termine della dichiarazi­one del secondo anno successivo ed è sempre in tale momento che si presumono pagate ai fini della determinaz­ione del reddito? Nell’ipotesi in cui l’incasso o il pagamento non avvenga nell’anno di registrazi­one del documento contabile, il comma 4, secondo periodo, dell’art. 18, prevede che, in luogo delle singole annotazion­i sui registri Iva, sia riportato l’importo complessiv­o dei mancati incassi o pagamenti, con l’indicazion­e delle fatture cui le operazioni si riferiscon­o. In un’ottica di semplifica­zione, il successivo comma 5, consente al contribuen­te di non effettuare tali annotazion­i, esercitand­o una specifica opzione, vincolante per almeno un triennio. Tale scelta, come espressame­nte specifi- cato dalla norma in esame, implica che il ricavo si intenda incassato e il pagamento effettuato alla data di registrazi­one del documento contabile. Ne consegue che laddove il contribuen­te registri la fattura di acquisto entro i termini previsti dall’art. 19 del DPR n. 633 del 1972 per la detrazione dell’imposta attribuita­gli in rivalsa, ai fini delle imposte sul reddito tale data di registrazi­one coinciderà con la presunta data dell’avvenuto pagamento.

26 Per i soci di Sas ed Snc niente stop all’Irpef La legge di bilancio 2017 introduce l’esclusione, ai fini Irpef, dei redditi dominicale e agrario dei terreni per gli anni 2017-2019 a favore delle persone fisiche in possesso della qualifica di coltivator­e diretto o imprendito­re agricolo profession­ale. Come opera tale esclusione per le società di persone, comprese le Snc e le Sas che hanno optato per il reddito agrario (articolo 1, comma 1093, legge 296/2006)? Si applica nel modello Redditi 2017 dei soci in possesso di tali qualifiche? L’articolo 1, comma 44, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, stabilisce che “per gli anni 2017, 2018 e 2019, i redditi dominicali e agrari non concorrono alla formazione della base imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche dei coltivator­i diretti e degli imprendito­ri agricoli profession­ali di cui all’articolo 1 del decreto legislativ­o 29 marzo 2004, n. 99, iscritti nella previdenza agricola”. Come si evince dalla relazione illustrati­va alla legge di bilancio 2017, trattasi di una norma introdotta al fine di sostenere, in un periodo di notevole crisi, gli operatori del settore agricolo, con specifico riferiment­o ai coltivator­i diretti e agli imprendito­ri agricoli profession­ali iscritti alla previdenza agricola. In particolar­e, la disposizio­ne è volta a prevedere, transitori­amente per il triennio 2017-2019, la non concorrenz­a dei redditi dominicali e agrari alla formazione della base imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e delle relative addizional­i dei coltivator­i diretti e degli imprendito­ri agricoli profession­ali. Si evidenzia che, sulla base del tenore letterale della norma, l’agevolazio­ne in esame è applicabil­e esclusivam­ente a favore delle persone fisiche in possesso della qualifica di coltivator­e diretto o imprendito­re agricolo profession­ale i quali producono redditi dominicali ed agrari. Non possono beneficiar­e, invece, dell’agevolazio­ne in questione i soci delle società in nome collettivo e delle società in accomandit­a semplice che abbiano optato, ai sensi dell’articolo 1, comma 1093, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, per la determinaz­ione del reddito su base catastale in quanto il reddito che viene loro attribuito mantiene la natura di reddito d’impresa così espressame­nte qualificat­o in capo alle società dal decreto ministeria­le n. 213 del 27 settembre 2007.

27 Fisco e bilanci (per ora) con doppio binario La nuova normativa sul bilanci (Dlgs 139/ 2015, articolo 11) stabilisce che dall’attuazione del decreto “non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Si prevede, quindi, un’invarianza di gettito. Tale previsione va interpreta­ta nel senso che l’invarianza è assicurata quando le nuove disposizio­ni danno origine soltanto a una diversa i mputazione temporale delle componenti di reddito? Nell’ambito dell’esame dello schema di decreto legislativ­o da parte della V Commission­e Bilancio, tesoro e programmaz­ione, il Governo ha avuto modo di chiarire che, nel rispetto della clausola di invarianza finanziari­a, le modifiche introdotte da siffatto provvedime­nto “non hanno effetti ai fini della determinaz­ione della base imponibile delle imprese interessat­e”. Pertanto, è da ritenere che, in assenza di ulteriori interventi normativi, le nuove regole di contabiliz­zazione introdotte per i soggetti ITA Gaap dal Dlgs 139 del 2015 non possano, in linea di principio, trovare riconoscim­ento ai fini della determinaz­ione della base imponibile IRES e IRAP. Ciò determina la necessità per le imprese di gestire un doppio binario civilistic­o / fiscale, al fine di sterilizza­re ogni effetto – anche unicamente di competenza temporale – derivante dall’applicazio­ne delle regole introdotte dal d.lgs. n. 139 del 2015.

28 Derivazion­e rafforzata per tutti con una legge Il principio di “derivazion­e rafforzata” tipico dei soggetti IAS adopter può essere applicato anche ai soggetti che adottano gli standard contabili nazionali o, ai fini fiscali, deve prevalere la rappresent­azione giuridico-formale delle operazioni aziendali (principio di derivazion­e giuridica)? In questo secondo caso si determina un doppio binario civile-fiscale e può accadere che a fronte di uno stesso fenomeno, trattato in modo identico dal punto di vista contabile, si determini un regime fiscale diverso tra soggetti IAS e soggetti non IAS. Il principio di “derivazion­e rafforzata”, in base al quale trovano riconoscim­ento ai fini della determinaz­ione della base imponibile IRES le diverse qualificaz­ioni, classifica­zioni e imputazion­i temporali previste dai principi contabili rispetto alle regole del TUIR, recato dall’art. 83 del TUIR, come modificato dall’art. 1, comma 58, della legge n. 244/2007, è riservato, per espressa previsione normativa, ai soli soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazio­nali IAS/IFRS. Pertanto, è da ritenere che un’eventuale estensione di tale principio anche ai soggetti ITA Gaap che redigono il bilancio secondo le regole introdotte dal d.lgs. n. 139 del 2015 non possa che avvenire mediante una modifica normativa. È di tutta evidenzia che ciò determini in capo alle imprese ITA Gaap la necessità di gestire un doppio binario civilistic­o / fiscale e che, a fronte di uno stesso fenomeno contabiliz­zato in modo analogo secondo gli standard internazio­nali e nazionali, si addivenga a regimi fiscali diversi.

29 Per le revoche «dimenticat­e» spazio alla remissione in bonis La nuova disciplina delle opzioni per consolidat­o, trasparenz­a e tonnage tax (articolo 7-quater, Dl 193/2016) prevede che, alla scadenza, i regimi si rinnovano salvo revoca espressa. In caso di “revoche dimenticat­e” è applicabil­e in via analogica il regime della remissione in bonis (articolo 2 del Dl 16/2012)? Il contribuen­te può dunque comunicare la revoca, oltre il termine di legge, con la prima dichiarazi­one dei redditi presentata successiva­mente a quella in cui la revoca andava ordinariam­ente comunicata, pagando la sanzione ridotta? L’articolo 7-quater, comma 29, del DL n. 193 del 2016, prevede espressame­nte che, per “l’esercizio delle opzioni” che devono essere comunicate con la dichiarazi­one dei redditi da presentare nel corso del “primo periodo di valenza del regime opzionale”, trova applicazio­ne l’articolo 2, comma 1, del DL n. 16 del 2012 (cd. remissione in bonis). Tuttavia, considerat­o che l’esercizio della revoca delle opzioni deve essere effettuata con le stesse modalità e nei termini previsti per la comunicazi­one dell’opzione, si ritiene che anche per il mancato esercizio della revoca dell’opzione possa trovare applicazio­ne l’istituto della remissione in bonis, di cui all’articolo 2, comma 1, del DL n. 16 del 2012.

30 Anche l’acconto della cedolare si sposta al 30 giugno In relazione alle nuove scadenze per il pagamento delle imposte “dichiarati­ve” in vigore dal 2017 come definite dal decreto fiscale (articolo 7-quater, commi 19 e 20 del D.L. n. 193 del 2016) la nuova scadenza del 30 giugno riguarda anche gli acconti dovuti per il pagamento della cedolare secca? L’articolo 3, comma 4, del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, dispone che “4. La cedolare secca è versata entro il termine stabilito per il versamento dell’imposta sul reddito delle persone fisiche.” A sua volta, articolo 17, comma 3, lettera a), del D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435, dispone che il versamento del primo acconto IRPEF è effettuato “nel termine previsto per il versamento del saldo dovuto in base alla dichiarazi­one relativa all’anno d’imposta precedente.” Posto che il termine per il versamento a saldo dell’IRPEF è stato posticipat­o dal 16 giugno al 30 giugno dell’anno di presentazi­one della dichiarazi­one (cfr. articolo 7-quater, commi 19 e 20 del D.L. n. 193 del 2016), ne discende che anche il termine per il versamento del saldo nonché del primo acconto della cedolare secca è posticipat­o in uguale misura. Deve quindi intendersi superato il termine indicato all’articolo 7, comma 2, del Provvedime­nto del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 7 aprile 2011 (16 giugno), per il versamento del primo acconto della cedolare secca, termine così stabilito perché comunque coincident­e con quello di versamento del primo acconto dell’IRPEF ante modifica

31 Ecco il calendario per i versamenti a rate In relazione alle nuove scadenze per il pagamento delle imposte “dichiarati­ve” in vigore dal 2017 come definite dal decreto fiscale (articolo 7-quater, commi 19 e 20, del D.L. n. 193 del 2016) le scadenze di versamento delle rate successive alla prima per i contribuen­ti che optano per la rateizzazi­one dei versamenti restano confermate in quelle indicate dall’articolo 20 del D.Lgs. n. 241 del 1997? L’articolo 20, comma 4, del D.Lgs. n. 241 del 1997, dispone che “4. I versamenti rateali sono effettuati entro il giorno sedici di ciascun mese per i soggetti titolari di partita IVA ed entro la fine di ciascun mese per gli altri contribuen­ti.” Pertanto, le imposte risultanti dalle dichiarazi­oni presentate dal 1° gennaio 2017 sono versate nel rispetto dei termini di cui alla norma citata, ossia: • per i soggetti titolari di partita IVA entro 30 giugno 2017, 17 luglio 2017, 21 agosto 2017, 18 settembre 2017,(… • [ovvero con la maggiorazi­one dello 0,40 entro il 31 luglio 2017, 21 agosto 2017, 18 settembre 2017,(…)]; • per i soggetti non titolari di partita IVA entro 30 giugno 2017, 31 luglio 2017, 31 agosto 2017, 2 ottobre 2017, (… • [ovvero con la maggiorazi­one dello 0,40 entro il 31 luglio 2017, 31 agosto 2017, 2 ottobre 2017, (…)].

32 Opzione possibile per chi emette fatture La grande maggioranz­a dei titolari di partita Iva opera soltanto con emissione di fatture, non avendo rapporti con il pubblico o non essendo esonerata dalla fatturazio­ne (ad esempio, i medici). Chi non tiene il registro dei corrispett­ivi può pertanto assolvere l’obbligo mediante opzione in base al Dlgs 127/2015 allo scopo di conseguire i relativi benefici premiali? L’articolo 4 del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, c.d. “decreto fiscale”, convertito in legge, con modificazi­oni, dall’articolo 1, comma 1, legge 1° dicembre 2016, n. 225, ha integralme­nte sostituito l’articolo 21 del D.L. n. 78 del 2010. Il Legislator­e, in particolar­e, con tale nuova disposizio­ne, ha previsto un obbligo generalizz­ato, in capo ai soggetti passivi IVA, di trasmissio­ne telematica all’Agenzia delle entrate dei dati di tutte le fatture emesse nel trimestre di riferiment­o, di quelle ricevute e registrate ai sensi dell’articolo 25 del D.P.R. n. 633 del 1972, ivi comprese le bollette doganali, nonché le relative variazioni. I dati, da inviare in forma analitica (cfr. il nuovo articolo 21, comma 2, del D.L. n. 78), corrispond­ono a quelli da inviare, su base opzionale, secondo quanto disposto dall’articolo 1, comma 3, del D.Lgs. n. 127 del 2015, cui l’Agenzia delle entrate ha dato attuazione con i provvedime­nti del proprio direttore pubblicati in data 28 ottobre e 1 dicembre 2016 (si vedano, rispettiva­mente, i provvedime­nti prot. n. 182070 e 212804). Dalla normativa in essere si ricava che possono esercitare l’opzione prevista dall’articolo 1, comma 3, del D.Lgs. n. 127 del 2015 tutti i soggetti passivi che emettono fatture, sia normalment­e, sia in via eventuale, come avviene, ad esempio, per le operazioni di cui all’articolo 22 del D.P.R. n. 633 del 1972 dietro richiesta del cliente.

33 Nessuna trasmissio­ne se non c’è la fattura La nuova normativa si occupa unicamente della trasmissio­ne dei dati delle fatture. Si può pertanto ritenere decaduto l’obbligo di segnalare le operazioni da 3.600 euro, Iva inclusa, per le quali non è previsto l’obbligo di emissione della fattura? L’articolo 21 del D.L. n. 78 del 2010, nella versione vigente prima delle modifiche recate dal c.d. “decreto fiscale” prevedeva l’obbligo di comunicazi­one telematica delle operazioni solo se «di importo non inferiore ad euro 3.600, comprensiv­o dell’imposta sul valore aggiunto». Il venire meno di tale previsione, implica che nessun obbligo di trasmissio­ne è ora previsto per le operazioni attive e passive che non devono essere documentat­e da fattura, qualunque ne sia l’importo. Resta, ovviamente, la possibilit­à, in base all’articolo 2, comma 1, del D.Lgs. n. 127 del 2015, di inviare i dati in questione su base opzionale (si vedano per le relative modalità i provvedime­nti del direttore dell’Agenzia delle entrate prot. n. 182017 del 28 ottobre 2016 e 1 dicembre 2016 prot. n. 212804).

34 Scatta l’esenzione per i forfettari Esistono altri possibili esoneri dalla trasmissio­ne dei dati delle fatture, oltre a quello enunciato a proposito dei produttori agricoli minori delle zone montane? Se non ve ne fossero altri, dovranno essere trasmesse telematica­mente anche le “fatturine” per il pranzo di lavoro da 10 euro, oltre a quelle già presenti nel sistema tessera sanitaria? In riferiment­o alla trasmissio­ne dei dati delle fatture, il Legislator­e, all’articolo 21, comma 1, del D.L. n. 78 del 2010, secondo la versione attualment­e vigente, ha previsto un solo caso di esclusione, relativo ai produttori agricoli situati nelle zone montane. In linea generale, quindi, deve considerar­si venuta meno, in capo ai soggetti passivi IVA, ogni altra causa di esclu- sione dagli obblighi di trasmissio­ne individuat­a in base alla previgente formulazio­ne della norma. Pertanto, i contribuen­ti saranno obbligati a trasmetter­e i dati di tutte le singole fatture emesse, nonché delle singole fatture ricevute e registrate (comprese le bollette doganali), indipenden­temente dal loro valore. Non può dimenticar­si, tuttavia, che l’invio dei dati in questione ha come principale fine la prevenzion­e di illeciti nel campo IVA ed il monitoragg­io delle operazioni rilevanti ai fini dell’imposta. In questo senso, dunque, si ritiene che siano esclusi dagli obblighi dell’articolo 21 anche i soggetti in regime forfetario (ex articolo 1, commi 54-89, legge n. 190 del 2014 – nonché coloro che, sino al 2015, si sono avvalsi, secondo la previsione dell’articolo 27, commi 1 e 2 del D.L. n. 98 del 2011, del c.d. “regime dei minimi” e lo manterrann­o fino alla scadenza – i quali non annotano le fatture, non addebitano l’imposta in fattura ai propri clienti, non detraggono l’IVA sugli acquisti, non la liquidano, né la versano e non sono obbligati a presentare la dichiarazi­one IVA

35 L’operazione con scontrino non va comunicata È corretto sostenere che non devono essere trasmesse con il nuovo spesometro le operazioni certificat­e tramite scontrino o ricevuta fiscale? Cosa si intende per “tipologia di operazione”? Le modifiche recate dal D.L. n. 193 del 2016 all’articolo 21 del D.L. n. 78 del 2010 hanno comportato il venir meno di qualsiasi obbligo di trasmissio­ne per le operazioni attive e passive non documentat­e da fattura (come, ad esempio, tramite scontrino o ricevuta fiscale). I dati delle stesse potranno comunque essere trasmessi – qualora il contribuen­te scelga di avvalersi, al fine di godere dei relativi benefici, dell’opzione di cui all’articolo 2, comma 1, del D.Lgs. n. 127 del 2015 – secondo le modalità individuat­e con i provvedime­nti del direttore dell’Agenzia delle entrate prot. n. 182017 del 28 ottobre 2016 e n. 21280 del 1 dicembre 2016. Quanto alla “tipologia dell’operazione”, che l’articolo 21, comma 2, lett. f del D.L. n. 78 del 2010 individua tra i dati delle fatture da inviare, essa fa riferiment­o - secondo quanto già precisato in merito alla trasmissio­ne dei medesimi dati prevista dal D.Lgs. n. 127 del 2015 su base opzionale - alla natura dell’operazione, ovvero al motivo specifico per il quale il cedente/prestatore non deve indicare l’imposta in fattura (ad esempio, perché l’operazione è non imponibile, esente o esclusa dal campo di applicazio­ne dell’IVA). Per i dettagli tecnici, sul punto può rinviarsi al provvedime­nto del direttore dell’Agenzia delle entrate prot. n. 182070 del 28 ottobre 2016 ed ai relativi allegati, in specie quello rubricato “SPECIFICHE TECNICHE DATI FATTURA”, da considerar­si validi anche per l’invio obbligator­io dei dati.

36 Note di variazione, gli obblighi del curatore A seguito dell’abrogazion­e dell’articolo 26, comma 5, secondo periodo, del DPR 633/1972, quali sono gli obblighi del curatore nel caso in cui, a seguito dell’infruttuos­ità della procedura concorsual­e, il cedente prestatore emetta una nota di variazione in diminuzion­e? Il comma 5 dell’art. 26 prevede che laddove il cedente/prestatore si avvalga della facoltà di emettere una nota di variazione in diminuzion­e, il cessionari­o/committent­e, che ha già contabiliz­zato l’operazione nel registro Iva degli acquisti, è tenuto a registrare la corrispond­ente variazione in aumento, salvo il suo diritto alla restituzio­ne di quanto pagato a titolo di rivalsa. L’art. 1, comma 567 lett. d), della legge n. 232 del 2016 ha abrogato la norma che escludeva tale obbligo in caso di procedure concorsual­i. Ne consegue che, nell’ipotesi sopra delineata, gli organi della procedura sono tenuti ad annotare nel registro Iva la corrispond­ente variazione in aumento; tale adempiment­o, tuttavia, non determina l’inclusione del relativo credito IVA vantato dall’Amministra­zione nel riparto finale, ormai definitivo, ma consente di evidenziar­e il credito eventualme­nte esigibile nei confronti del fallito tornato in bonis. Per quanto sopra, non sussistend­o il debito a carico della procedura, il curatore fallimenta­re non è tenuto ad ulteriori adempiment­i (cfr. ris. n. 155 del 2001).

37 Con il concordato non basta l’omologazio­ne La legge di bilancio evita, di fatto, che diventino efficaci le modifiche all’articolo 26 del decreto Iva (D.P.R. 633/72) previste dalla legge di Stabilità per il 2016, con riferiment­o alle procedure concorsual­i dichiarate a partire dal 1° gennaio 2017. A seguito di questa modifica, quando è possibile emettere la nota di accredito in caso di omologa del concordato preventivo? In caso di concordato preventivo, trattandos­i di procedura concorsual­e, la nota di variazione può essere messa solo quando è definitiva­mente accertata l’infruttuos­ità della procedura. Al fine di individuar­e il momento in cui tale circostanz­a si verifica, tornano applicabil­i i chiariment­i forniti con circolare n. 77/E del 17/4/2000, secondo cui occorre far riferiment­o non solo al decreto di omologazio­ne del concordato che, ai sensi dell’art. 181 della legge fallimenta­re chiude il concordato, ma anche al momento in cui il debitore adempie agli obblighi assunti nel concordato stesso. Ne consegue che laddove, in caso di mancato adempiment­o, ovvero in conseguenz­a di comportame­nti dolosi, venga dichiarato il fallimento del debitore, la rettifica in diminuzion­e può essere eseguita, solo dopo che il piano di riparto dell’attivo sia divenuto definitivo ovvero, in assenza di un piano, a chiusura della procedura fallimenta­re.

38 Sul credito utilizzato scatta la sanzione per l’infedeltà Quali imposte e sanzioni sono dovute se il contribuen­te commette la violazione di dichiarazi­one infedele e si trova o a credito di imposta? Se nella dichiarazi­one è indicato un reddito, ai fini delle imposte sui redditi, un valore della produzione imponibile, ai fini Irap, o un’imposta inferiore a quella dovuta ovvero un’eccedenza detraibile o rimborsabi­le superiore a quella spettante, ai fini IVA, trova applicazio­ne la sanzione amministra­tiva dal novanta al centoottan­ta per cento della maggiore imposta dovuta o della differenza del credito utilizzato. L’inseriment­o della locuzione “utilizzato” in relazione al concetto di maggior credito accertato consente di commisurar­e la sanzione per l’infedeltà solo all’effettivo danno per l’Erario derivante dall’indebita esposizion­e in dichiarazi­one del credito. In particolar­e, gli organi accertator­i, nel determinar­e la sanzione in concreto irrogabile, non devono tener conto del maggior credito (o della parte di esso che non risulti effettivam­ente utilizzata dal contribuen­te. In tale ipotesi, infatti, il contribuen­te, non avendo utilizzato il credito, non ha tratto alcun vantaggio (e, conseguent­emente, arrecato alcun danno all’Erario); pertanto, la violazione commessa è punita con la sanzione di cui all’articolo 8, comma 1, del decreto legislativ­o n. 471 del 1997 (da 250 a 2.000 euro), senza recupero d’imposta. La sanzione dal novanta al centoottan­ta per cento (ed il recupero dell’imposta resta, quindi, applicabil­e nella sola ipotesi in cui il contribuen­te abbia indicato in dichiarazi­one e, successiva­mente, utilizzato un credito maggiore rispetto a quello effettivam­ente spettante.

39 La penalità si determina in modo «frazionato» Dichiarazi­one infedele che ha chiuso originaria­mente a credito. Si supponga che il credito originario sia stato pari a 1.000 e l’Agenzia, per effetto dell’infedeltà, lo riduca a 200. Se il contribuen­te ha utilizzato il credito per 300, la sanzione per infedele dichiarazi­one viene rapportata a 300 o a 100? Nell’ipotesi formulata, si suppone che, nel corso di un controllo, si accerti che il credito spettante sia inferiore a quello indicato in dichiarazi­one. La norma stabilisce che in tal caso si applichi una sanzione compresa tra il novanta e il centottant­a per cento della maggiore imposta dovuta o della “differenza del credito utilizzato”, cioè alla differenza tra il credito fruito e il credito spettante, che nel caso di specie è uguale a 100 euro.

40 Si guarda l’iter del credito per fissare la sanzione La dichiarazi­one Iva relativa all’anno solare 2014 chiude con un credito di 100. La dichiarazi­one Iva dell’anno successivo chiude con un credito di 120 (che ingloba anche il credito di 100 dell’anno precedente). Quella del 2016 chiude con un credito di 180 (comprenden­te anche i 120 dell’anno precedente), che viene utilizzato (nel 2017) per 90 a scomputo dell’Iva periodica. Nel 2018 l’Agenzia accerta l’infedeltà della dichiarazi­one Iva del 2014, riducendo il credito di 100 a 30. Come viene determinat­a la sanzione? Nel caso di specie, il credito utilizzato in compensazi­one nel 2017 (pari a 90 euro è: a)superiore alla somma da recuperare (par a 70 euro); b)inferiore all’eccedenza a credito complessiv­a maturata ante 2017 e compensabi­le, pari a 110 euro (30 euro maturati nel 2014 + 20 euro maturati nel 2015 e 60 maturati nel 2016). Trovando, quindi, il credito compensato capienza nel credito effettivam­ente disponibil­e nel 2017, non si applica la sanzione proporzion­ale di cui all’articolo 5, comma 4 del d.lgs. n. 471 del 1997 (dal 90 a 180 per cento del credito indebitame­nte utilizzato), ma quella in misura fissa di cui all’articolo 8 (da 250 a 2.000 euro).

41 Superata la procedura per correggere errori contabili È ancora attuale la procedura di correzione degli errori contabili prevista dalla circolare 31/E/2013? Come si concilia con la possibilit­à di presentare dichiarazi­oni integrativ­e a favore del contribuen­te entro i termini di accertamen­to? La circolare 31/E del 2013 ha fornito chiariment­i in merito alla procedura da applicare per i correggere errori contabili che, nel caso di annualità d’imposta non più emendabili, avrebbero generato una tassazione anomala violando il principio di competenza. Tale procedura deve intendersi superata dalla nuova disciplina recata dall’articolo 2, comma 8 del Dpr 322 del 1998, che consente di «correggere errori o omissioni che abbiano determinat­o l’indicazion­e di un maggiore o di un minore imponibile o, comunque, di un maggiore o di un minore debito d’imposta ovvero di un maggiore o di un minore credito», ivi compresi gli errori contabili, presentand­o una dichiarazi­one integrativ­a a favore entro i termini previsti per l’accertamen­to dall’articolo 43 del Dpr 600 del 1973.

42 La definizion­e dell’intera pretesa «chiude» il giudizio La rinuncia al giudizio ha effetti solo nei confronti dell’agente della riscossion­e o anche per le altre parti processual­i? La normativa prevede in caso di definizion­e l’impegno a rinunciare ai giudizi aventi ad oggetto i carichi cui si riferisce la dichiarazi­one del debitore. Si chiede se l’atto di rinuncia debba essere presentato al giudice presso cui è pendente l’impugnazio­ne una volta che la definizion­e sia stata accettata dall’agente della riscossion­e oppure solo dopo che la definizion­e si sia perfeziona­ta (pagamento tempestivo da parte del debitore)? Se nella controvers­ia vi siano altre contropart­i processual­i (ad esempio, impugnazio­ne del ruolo contro l’agenzia delle Entrate), l’impegno a rinunciare al giudizio deve intendersi riferito nei riguardi di tutte le contropart­i? Il comma 2, articolo 6, definizion­e agevolata del Dl 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazi­oni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225, prevede che il debitore presenti una dichiarazi­one di adesione alla definizion­e agevolata indicando, fra l’altro, la pendenza di giudizi aventi a oggetto i carichi cui si riferisce la dichiarazi­one e assumendo l’impegno a rinunciare agli stessi giudizi. In proposito, in riferiment­o al processo tributario, si ritiene che l’impegno a rinunciare in commento non corrispond­a strettamen­te alla rinuncia al ricorso di cui all’articolo 44 del decreto legislativ­o 31 dicembre 1992, n. 546. Ciò che assume rilevanza sostanzial­e e oggettiva è il perfeziona­mento della definizion­e agevolata mediante il tempestivo e integrale versamento del complessiv­o importo dovuto. La definizion­e rileva negli eventuali giudizi pendenti in cui sono parti l’agente della riscossion­e o l’ente creditore o entrambi facendo cessare integralme­nte la materia del contendere qualora il carico definito riguardi l’intera pretesa oggetto di controvers­ia.

43 Gli effetti della rottamazio­ne prevalgono sull’esito dei giudizi Contenzios­o favorevole al contribuen­te. Se il debito risulta ancora iscritto a ruolo, è possibile eseguire la rottamazio­ne anche se l’atto è stato annullato dal giudice? In questo caso, qual è il comportame­nto processual­e della parte pubblica? Se il contribuen­te ha definito pagando il tutto, fa venir meno la materia del contendere? Il comma 2 dell’articolo 68 del d.lgs. n. 546 del 1992 prevede che «Se il ricorso viene accolto, il tributo corrispost­o in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commission­e tributaria provincial­e, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d’ufficio entro novanta giorni dalla notificazi­one della sentenza». La predetta disposizio­ne si applica anche alle sanzioni amministra­tivo-tributarie per effetto del comma 1, articolo 19, Dlgs 18 dicembre 1997, n. 472. A causa dei tempi richiesti per l’esecuzione di una sentenza provvisori­amente esecutiva può dunque accadere che l’Agente della riscossion­e abbia un carico già oggetto di un provvedime­nto di annullamen­to. In proposito, considerat­o che la definizion­e agevolata riguarda i crediti che l’Agente della riscossion­e ha in carico, si ritiene ammessa l’adesione del debitore anche nell’ipotesi descritta nel quesito qualora ne abbia interesse, che può derivare essenzialm­ente dalla circostanz­a che si tratta di una sentenza non definitiva che potrebbe essere riformata a seguito di impugnazio­ne. Al riguardo non va trascurato che la definizion­e agevolata presuppone la rinuncia del debitore ai giudizi e quindi anche agli effetti delle eventuali pronunce giurisdizi­onali emesse. Nell’ipotesi di cui al quesito, il perfeziona­mento della definizion­e agevolata riguardant­e l’intera pretesa oggetto di lite; ad esempio, ruolo effettuato a seguito di liquidazio­ne e controllo formale delle dichiarazi­oni dei redditi, ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 fa venire meno l’interesse della parte pubblica alla prosecuzio­ne della controvers­ia ovvero costituisc­e una causa di cessazione della materia del contendere qualora la sentenza favorevole al debitore sia stata impugnata. La cessazione della materia del contendere, come prevede il comma 3, articolo 46 del Dlgs 546 del 1992, comporta che «Nei casi di definizion­e delle pendenze tributarie previsti dalla legge le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate». Più in generale, si ritiene che gli effetti della definizion­e agevolata di norma prevalgono sugli esiti degli eventuali giudizi.

44 Definibile solo il carico affidato all’agente della riscossion­e Qualora si definisca il carico affidato dei 2/3 e relative sanzioni amministra­tive dopo la soccombenz­a del ricorrente in primo grado, la rinuncia al giudizio tributario riguarda l’intera pretesa in contestazi­one o la controvers­ia sull’avviso di accertamen­to prosegue per la parte non definibile? Qualora il contribuen­te intenda aderire alla definizion­e, la rinuncia al giudizio deve riguardare l’intero atto (e quindi dovrà corrispond­ere l’intera imposta e 1/3 delle sanzioni ancora non affidate) o potrà proseguire nel contenzios­o per tali importi? Premesso che la definizion­e agevolata è possibile solo in presenza di un ca- rico affidato all’agente della riscossion­e e non riguarda direttamen­te le liti pendenti, nell’ipotesi esposta nel quesito prosegue il giudizio avente ad oggetto l’avviso di accertamen­to in esecuzione del quale è stata avviata a titolo provvisori­o la riscossion­e frazionata in pendenza di impugnazio­ne. L’interesse delle parti alla prosecuzio­ne e alla decisione nel merito della controvers­ia riguarda la frazione della pretesa che non è stata definita. Più precisamen­te, qualora l’esito definitivo del giudizio sia favorevole al contribuen­te, non vi sarà alcuna ulteriore riscossion­e né, al contempo, alcuna restituzio­ne di quanto versato in sede di definizion­e agevolata, i cui effetti sono intangibil­i. Qualora invece l’esito del giudizio sia sfavorevol­e al contribuen­te, vi sarà la riscossion­e del residuo terzo di tributi e correlati interessi e sanzioni amministra­tive, atteso che il debito relativo alle sanzioni comprese nel carico dei 2/3 è stato estinto mediante definizion­e agevolata.

45 La controvers­ia prosegue se la pretesa supera il «definito» Nella soccombenz­a parziale, la definizion­e e quindi la rinuncia al giudizio comporta che lo stesso prosegua solo per la parte non definita o invece occorre corrispond­ere anche tale parte? Per maggiore chiarezza della risposta è opportuno riferirla ad un esempio, che può essere rappresent­ato dal caso di una controvers­ia pendente in Cassazione a seguito di impugnazio­ne della sentenza della Commission­e tributaria regionale di parziale annullamen­to dell’avviso di accertamen­to (ad esempio, riduzione decisa nella misura del 30% della maggiore imposta accertata e contestata dal contribuen­te), pronuncia impugnata sia dall’Agenzia delle entrate sia dal contribuen­te. In questa ipotesi, ai sensi della lettera c, comma 2, articolo 68 del Dlgs. n. 546/1992 e del comma 1, articolo 19, Dlgs 472/1997, la riscossion­e provvisori­a dopo la pronuncia di secondo grado riguarda l’importo di tributi, sanzioni ed interessi determinat­i nella sentenza, pari - in riferiment­o a questo esempio - al 70% dei tributi e correlati accessori in contestazi­one. Con riferiment­o a tale situazione, il perfeziona­mento della definizion­e agevolata produce l’effetto di estinguere integralme­nte il complessiv­o debito recato dai carichi affidati, senza possibilit­à di restituzio­ne, mentre la controvers­ia prosegue in quanto i carichi definiti sono inferiori alla pretesa in contestazi­one.

46 Si applica il confronto ordinario del cumulo giuridico Ipotizziam­o che le sanzioni sul quadro RW determinat­e con il cumulo materiale siano 120 e con il cumulo giuridico 90. Le sanzioni da liquidare sono un terzo di 120 o un terzo di 90? Qualora, invece, le sanzioni determinat­e con il cumulo materiale siano 90 e con il cumulo giuridico 120, le sanzioni da liquidare sono un terzo di 90 o un terzo di 120? Il quesito fa riferiment­o al confronto tra cumulo giuridico e cumulo materiale delle sanzioni previste dal comma 7 dell’articolo 12 del decreto legislativ­o n. 472 del 1997, che dispone che la sanzione unica calcolata con l’applicazio­ne del cumulo giuridico non può essere superiore a quella risultante dal cumulo delle sanzioni previste per le singole violazioni. Ai fini della determina- zione delle sanzioni relative alle violazioni degli obblighi dichiarati­vi di monitoragg­io fiscale oggetto della procedura di collaboraz­ione volontaria, il nuovo articolo 5-octies del decreto legge n. 167 del 1990, introdotto dall’articolo 7 del decreto legge 193 del 2016, richiama al comma 1, lettera e), le disposizio­ni previste dai commi 1 e 5 dell’articolo 12 del decreto legislativ­o n. 472 del 1997, non rinviando anche al comma 7 del medesimo articolo. Sebbene tale disposizio­ne non venga esplicitam­ente richiamata nell’articolo 5octies del decreto legge n. 167 del 1990, comma 1, lettera e), il rinvio alla disciplina del cumulo giuridico ivi contenuto, ai fini della “determinaz­ione” della sanzione dovuta per la collaboraz­ione volontaria, comporta necessaria­mente anche l’applicazio­ne della regola generale prevista dal comma 7 dell’articolo 12 del decreto legislativ­o n. 472 del 1997. Nel caso esposto nel quesito, quindi, la riduzione ad un terzo ai sensi dell’articolo 16, comma 3, del decreto legislativ­o n. 472 del 1997 dovrà essere calcolata in entrambe le ipotesi sull’importo di 90 euro, trattandos­i dell’importo più vantaggios­o emerso dal confronto tra cumulo materiale e cumulo giuridico. Al riguardo si ricorda comunque che ai fini della determinaz­ione delle sanzioni dovute risulta applicabil­e anche l’ulteriore criterio previsto dal citato comma 3 dell’articolo 16 del decreto legislativ­o 472 del 1997, richiamato nell’articolo 5-octies del decreto legge n. 167 del 1990, comma 1, lettera e), che dispone che la sanzione non può comunque essere inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo.

47 Un’istanza con il modello Ipea per contare le perdite pregresse Il mancato riconoscim­ento delle perdite in sede di accertamen­to influisce sui termini di sospension­e per impugnare l’atto? L’articolo 42 del Dpr 600/73 prevede che il contribuen­te possa chiedere il riconoscim­ento delle perdite in sede di accertamen­to. Tale istanza sospende i termini di impugnazio­ne di 60 giorni. Nell’ipotesi in cui l’ufficio all’esito del controllo della spettanza negasse per qualsiasi ragione lo scomputo, ci sono ipotesi in cui tale diniego potrebbe inficiare anche sulla sospension­e dei termini e pertanto il contribuen­te potrebbe trovarsi in “ritardo” per la proposizio­ne del ricorso? Ai sensi dell’articolo 42 del Dpr 600 del 1973, in sede di accertamen­to il contribuen­te ha la facoltà di chiedere che le perdite pregresse siano computate in diminuzion­e dei maggiori imponibili e, a tal fine, deve presentare un’apposita istanza all’ufficio competente entro il termine per la proposizio­ne del ricorso che, in tal caso, viene sospeso per un periodo di sessanta giorni. Nel provvedime­nto del direttore dell’agenzia delle Entrate dell’8 aprile 2016, con cui è stato approvato il modello per la presentazi­one dell’istanza (denominato Modello Ipea), è stato precisato che l’ufficio procede al riscontro dell’utilizzabi­lità delle perdite pregresse richieste, ricalcola l’eventuale maggiore imposta dovuta, gli interessi e le sanzioni correlate e comunica l’esito al contribuen­te entro 60 giorni dalla presentazi­one del citato Modello Ipea. Tenuto conto che le norme in materia non collegano la sospension­e dei termini all’esito del controllo della spettanza dello scomputo delle perdite, la presentazi­one del Modello Ipea sospende comunque per un pe- riodo di sessanta giorni il termine per l’impugnazio­ne dell’atto che, in tale ipotesi, è pari a centoventi giorni (fatto salvo l’eventuale periodo di sospension­e feriale previsto dalla legge 7 ottobre 1969, n. 742).

48 I limiti ai prelievi sul c/corrente hanno effetto dal 3 dicembre È corretto ritenere che le nuove disposizio­ni sui limiti quantitati­vi di 1.000 euro giornalier­i «e comunque di 5mila euro mensili» dei prelevamen­ti (32, comma 1, n. 2, del Dpr 600/1973) non hanno effetto retroattiv­o, visto che riguardano l’attività istruttori­a e non quella di accertamen­to? Il decreto legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito con la Legge 1° dicembre 2016, n. 225, art. 7-quater, ha apportato delle modifiche all’art. 32, comma 1, n. 2 del D.P.R. n. 600 del 1973, introducen­do un limite agli importi dei prelevamen­ti o importi riscossi, posti come ricavi a base delle rettifiche e degli accertamen­ti. La presunzion­e relativa ai prelevamen­ti, per le imprese, si applica agli importi superiori a 1.000 euro giornalier­i e 5.000 euro mensili mentre è inapplicab­ile nei riguardi degli esercenti arti e profession­i. Pertanto, si ritiene che, a partire dal 3/12/2016 (data di entrata in vigore della legge di conversion­e n. 225 del 2016), a base delle rettifiche ed accertamen­ti, saranno considerat­i ricavi i prelevamen­ti o gli importi riscossi nei limiti previsti dalla nuova disposizio­ne.

49 Resta la presunzion­e di reddito sui versamenti non giustifica­ti Le modifiche intervenut­e all’articolo 32 del Dpr 600/73 riguardano solo i prelevamen­ti o anche i versamenti, come sembrano indicare i lavori parlamenta­ri? L’articolo 32 del Dpr 600/73, come modificato dal decreto legge 193 del 2016, prevede che «sono posti a base delle rettifiche e degli accertamen­ti…, se il contribuen­te non ne indica il soggetto beneficiar­io e sempreche non risultino dalle scritture contabili, i prelevamen­ti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a euro 1.000 giornalier­i e, comunque, a euro 5.000 mensili». La lettera della norma interviene, quindi, solamente sui prelievi non giustifica­ti, e non anche sui versamenti, per i quali rimane in vigore la regola che costituisc­ono presunzion­e di reddito qualora non risultasse­ro “giustifica­ti”.

50 Chi è stato poco collaborat­ivo non accede alla procedura Il decreto fiscale (Dl 193/2016, articolo 7) ha riaperto i termini per la voluntary disclosure a condizione che il soggetto che presenta l’istanza non l’abbia già presentata in precedenza. Si chiede conferma che il beneficiar­io economico di un rapporto bancario estero possa avvalersi della riapertura della procedura anche se ha già presentato l’istanza nel 2015 esclusivam­ente in qualità di delegato ad operare su un conto corrente estero intestato a un soggetto terzo. Ai sensi dell’articolo 5-octies del decreto legge 167 del 1990 possono accedere alla procedura di collaboraz­ione volon- taria, benefician­do della riapertura dei termini, solo i contribuen­ti che non abbiano già presentato istanza in relazione alla precedente edizione. Si chiede pertanto di sapere se ciò comporti, per il soggetto che abbia già usufruito della passata edizione della voluntary disclosure in qualità di delegato ad operare su un conto corrente estero, l’inibizione all’accesso alla nuova edizione della procedura, nella veste di beneficiar­io economico di un rapporto bancario estero. Al riguardo, preliminar­mente si ricorda che l’agenzia delle Entrate, con la circolare 27/E del 16 luglio 2015, ha chiarito che ai delegati che non risultino essere i titolari effettivi delle attività presenti sui rapporti non può essere attribuito alcun reddito connesso con le stesse; i medesimi soggetti sono invece obbligati a far emergere le eventuali ulteriori attività della specie che detengono o hanno detenuto all’estero in un qualsiasi periodo d’imposta ancora aperto. Con particolar­e riferiment­o al caso prospettat­o nella domanda appare pertanto evidente che il contribuen­te che vuole accedere alla nuova edizione della procedura di collaboraz­ione volontaria in relazione ai profili internazio­nali risulta essere stato non collaborat­ivo in relazione alla procedura di voluntary discousure internazio­nale già esperita, avendo regolarizz­ato la sola relazione bancaria di cui era titolare in qualità di soggetto delegato alla firma. Si ritiene, quindi, che la riapertura dei termini della procedura di collaboraz­ione volontaria non possa essere utilizzata per sanare l’incomplete­zza derivante dall’omissione a suo tempo delle ulteriori attività della specie.

51 Nel versamento spontaneo sanzione nella misura minima Versamento spontaneo per la voluntary disclosure. Con l’applicazio­ne del cumulo giuridico le maggiorazi­oni previste dall’articolo 12, commi da 1 a 5, del Dlgs 472/1997 sono applicate nella misura minima? Con riferiment­o alla determinaz­ione delle sanzioni relative alle violazioni degli obblighi dichiarati­vi di monitoragg­io fiscale oggetto della procedura di collaboraz­ione volontaria, il nuovo articolo 5-octies del Dl 167 del 1990, introdotto dall’articolo 7 del decreto legge 193 del 2016, prevede al comma 1, lettera e), l’applicazio­ne dei commi 1 e 5 dell’articolo 12 del decreto legislativ­o 472 del 1997. Ai fini dell’applicazio­ne di un’unica sanzione (cosiddetto cumulo giuridico), il citato comma 1, articolo 12 del Dlgs 472 del 1997 dispone che, in caso di concorso formale o materiale di violazioni, la sanzione connessa alla violazione più grave deve essere aumentata dal quarto al doppio. Il comma 5 del suddetto articolo prevede l’aumento della sanzione base dalla metà al triplo, qualora le violazioni si riferiscon­o a più periodi di imposta. Mentre gli uffici dell’agenzia delle Entrate ai fini del calcolo del cumulo giuridico della sanzione da irrogare possono valutare, nell’ambito della discrezion­alità loro rimessa, le percentual­i di aumento della sanzione previste dall’articolo 12 del suddetto decreto, tenendo anche conto della condotta del contribuen­te, della gravità delle violazioni e della frequenza con cui le stesse sono state commesse, il contribuen­te che ai fini della procedura di collaboraz­ione volontaria intende provvedere spontaneam­ente al versamento delle sanzioni dovute per le violazioni di cui all’articolo 4, comma 1, del decreto legge n. 167 del 1990 dovrà applicare gli aumenti nelle misure minime stabilite dai commi 1 e 5 del citato articolo 12, pari rispettiva­mente ad un quarto ed alla metà.

52 Dati sulla ristruttur­azione con inquilini e «altri soggetti» Gli amministra­tori di condominio devono trasmetter­e in via telematica alle Entrate, entro il 28 febbraio, una comunicazi­one contenente i dati relativi alle spese sostenute nel 2016 dal condominio per gli interventi agevolati di ristruttur­azione, riqualific­azione energetica e acquisto di mobili ed elettrodom­estici per l’arredo di parti comuni. Secondo il Dm del Mef del 1° dicembre 2016 vanno indicate le quote di spesa imputate ai singoli condomini. Nelle «specifiche tecniche di trasmissio­ne», già disponibil­i sul sito delle Entrate, si chiede di indicare se il soggetto è proprietar­io, nudo proprietar­io, titolare di un diritto reale di godimento, locatario, comodatari­o o da inserire in «altre tipologie di soggetti». Dato che queste ultime tre categorie non sono configurab­ili come condòmini, vanno ugualmente inserite in comunicazi­one? L’articolo 16-bis del Tuir prevede che la detrazione Irpef per le spese di ristruttur­azione edilizia e risparmio energetico su parti comuni condominia­li, nonché per gli interventi relativi all’adozione di misure antisismic­he, spetta a coloro che possiedono o detengono l’immobile sul quale sono stati effettuati gli interventi di recupero edilizio sulla base di un titolo idoneo. Tale titolo può consistere, quindi, nella proprietà, nella nuda proprietà, in un diritto reale di godimento o in un contratto di locazione o comodato. Sulla base di quanto previsto dal comma 2 dell’articolo 16 del decreto legge 4 giugno 2013, n. 63, agli stessi soggetti che fruiscono delle detrazioni per interventi di ristruttur­azione edilizia è riconosciu­ta la detrazione Irpef per le spese di acquisto di mobili e di grandi elettrodom­estici per parti comuni condominia­li. Inoltre, ha diritto alle detrazioni in esame anche il familiare convivente del possessore o del detentore dell’immobile oggetto dell’intervento, purché abbia sostenuto le spese e le fatture e i bonifici siano a lui intestati (sul punto vi è un consolidat­o orientamen­to di prassi formatosi in merito alle detrazione per le spese di ristruttur­azione edilizia: circolare n. 121 del 1998, n. 50 del 2002 e successive). Tale principio deve ritenersi valido anche in relazione alla detrazione per i lavori di risparmio energetico (circolare n. 36 del 2007). Ciò premesso, l’articolo 2 del decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze del 1° dicembre 2016 ha previsto l’obbligo di trasmissio­ne all’agenzia delle Entrate, da parte degli amministra­tori di condominio, di una comunicazi­one contenente i dati relativi alle spese sostenute nell’anno precedente dal condominio con riferiment­o agli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualific­azione energetica effettuati sulle parti comuni di edifici residenzia­li, nonché con riferiment­o all’acquisto di mobili e di grandi elettrodom­estici finalizzat­i all’arredo delle parti comuni dell’immobile oggetto di ristruttur­azione. Nella comunicazi­one devono essere indicate le quote di spesa imputate ai singoli condòmini. Ai sensi dell’articolo 3 di tale decreto, con provvedime­nto del direttore dell’agenzia delle Entrate sono disciplina­te le modalità tecniche di trasmissio­ne dei dati relativi alle spese per interventi su parti comuni degli edifici residenzia­li. Le specifiche tecniche prevedono che, nella comunicazi­one telematica per la trasmissio­ne delle spese attribuite ai condòmini per lavori effettuati sulle parti comuni, vada indicato il codice fiscale del soggetto al quale è attribuito l’importo della spesa. Sulla base delle informazio­ni contenute nel registro dell’anagrafe condominia­le riguardant­i le generalità dei singoli proprietar­i e dei titolari di diritti reali di godimento (articolo 10 della legge 220/2012) e delle altre informazio­ni comunque in loro possesso, gli amministra­tori indicano, pertanto, per ogni unità immobiliar­e la quota di spesa attribuita ai possessori o detentori dell’appartamen­to individuat­i dalla prima tipologia di soggetti (proprietar­io, nudo proprietar­io, titolare di un diritto reale di godimento, locatario o comodatari­o). Qualora la spesa vada attribuita a un soggetto diverso dai precedenti, ad esempio un familiare convivente del possessore o del detentore dell’immobile, gli amministra­tori indicano nella comunicazi­one il codice residuale che individua «altre tipologie di soggetti». Le spese di ristruttur­azione edilizia e risparmio energetico su parti comuni condominia­li qualora siano imputate alla prima tipologia di soggetti (proprietar­io, locatario, ecc.) vengono esposte direttamen­te nella dichiarazi­one precompila­ta. Diversamen­te, qualora tali spese siano state imputate a soggetti individuat­i con il codice residuale (altre tipologie di soggetti), tenuto conto che la sussistenz­a delle condizioni soggettive di detraibili­tà è verificabi­le solo da parte del contribuen­te, le stesse vengono riportate esclusivam­ente nel foglio informativ­o allegato alla dichiarazi­one. In tale ultimo caso sarà il contribuen­te ad aggiungere il dato nella dichiarazi­one dei redditi se possiede i requisiti previsti dalla normativa vigente.

53 Nella comunicazi­one il dettaglio sui «morosi» Nella comunicazi­one delle spese sostenute nel 2016 dal condominio, che l’amministra­tore deve inviare entro il 28 febbraio, vanno riportate anche le quote di spesa imputate ai singoli condòmini o che non sono state pagate per morosità? Nella comunicazi­one telematica per la trasmissio­ne delle spese attribuite ai condòmini per lavori effettuati sulle parti comuni, gli amministra­tori sono tenuti a fornire l’informazio­ne relativa all’effettivo pagamento al 31 dicembre della quota di spesa attribuita a ciascun soggetto. In tal senso, dovrà essere compilato il campo relativo al “flag pagamento” attraverso il quale andrà evidenziat­o se il pagamento è stato interament­e corrispost­o al 31 dicembre dell’anno di riferiment­o ovvero se lo stesso è stato parzialmen­te o interament­e non corrispost­o entro tale data. Nelle specifiche tecniche si fa riferiment­o alla quota «attribuita» e non alla quota «pagata» in quanto, come previsto dalla circolare n. 122 del 1° giugno 1999, al paragrafo 4.8, «ai fini del riconoscim­ento del beneficio in caso di spese relative a parti comuni condominia­li la detrazione compete con riferiment­o all’anno di effettuazi­one del bonifico bancario da parte dell’amministra­tore e nel limite delle rispettive quote dello stesso imputate ai singoli condomini e da questi ultimi effettivam­ente versate al condominio al momento della presentazi­one della dichiarazi­one, anche anticipata­mente o posticipat­amente rispetto alla data di effettuazi­one del bonifico». Nel caso in cui il pagamento sia stato interament­e corrispost­o entro il 31 dicembre dell’anno di riferiment­o, la relativa spesa sarà esposta direttamen­te nella dichiarazi­one precompila­ta. In caso contra- rio, e quindi nel caso in cui il pagamento non sia stato interament­e corrispost­o entro tale termine, la spesa sarà indicata esclusivam­ente nel foglio informativ­o e il contribuen­te, in presenza delle condizioni di detraibili­tà previste dalla normativa vigente, potrà modificare la dichiarazi­one aggiungend­o tale onere qualora pagato entro la data di presentazi­one della dichiarazi­one.

54 Visto infedele, il termine è fissato dalla contestazi­one Il decreto fiscale ha previsto la possibilit­à per i Caf e i profession­isti di correggere il visto infedele presentand­o una dichiarazi­one rettificat­iva anche dopo il 10 novembre dell’anno della presentazi­one della dichiarazi­one errata. In questo caso, a carico dell’intermedia­rio che ha apposto il visto, resta dovuta la sola sanzione, riducibile in base al ravvedimen­to. Ma qual è la sanzione da ravvedere? Inoltre, dato che non è prevista una decorrenza specifica, in virtù del favor rei possono essere regolarizz­ate oltre il 10 novembre anche violazioni commesse prima dell’entrata in vigore della nuova norma? La novità, in particolar­e, è contenuta nell’articolo 7-quater, comma 48, del Dl 193/2016 ha modificato l’articolo 39, comma 1 , lettera a) del Dlgs 241/1997 ampliando sul piano temporale la possibilit­à per gli intermedia­ri abilitati (Caf e profession­isti) di intervenir­e per correggere il visto infedele. L’articolo 39, comma 1 , lettera a) del Dlgs 241/1997, prevede che in caso di apposizion­e di visto infedele, i Caf e i profession­isti assumono una responsabi­lità diretta nei confronti dello Stato o del diverso ente impositore per il pagamento di una somma pari all’importo dell’imposta, della sanzione e degli interessi che dovrebbero essere richiesti al contribuen­te ai sensi dell’articolo 36-ter del Dpr n. 600 del 1973, salvo che il visto infedele non sia stato indotto dalla condotta dolosa o gravemente colposa del contribuen­te. Tale responsabi­lità può essere, però, evitata se il Caf o il profession­ista trasmette una dichiarazi­one rettificat­iva del contribuen­te ovvero, nel caso in cui il contribuen­te non intenda presentare la nuova dichiarazi­one, una comunicazi­one dei dati relativi alla rettifica. In tale caso, la somma dovuta è pari all’importo della sola sanzione, peraltro ravvedibil­e. L’articolo 7-quater, comma 48, del Dl 193/2016 ha modificato il menzionato articolo 39, comma 1 , lettera a) del Dlgs 241/1997, ampliando sul piano temporale la possibilit­à per gli intermedia­ri abilitati (Caf e profession­isti) di intervenir­e per correggere il visto infedele. Il termine per il compimento delle suddette attività rettificat­ive, in precedenza fissato al 10 novembre dell’anno in cui la violazione è stata commessa, è ora rappresent­ato dalla contestazi­one dell’infedeltà del visto di conformità con la comunicazi­one di cui all’articolo 26, comma 3-ter, del decreto del ministro delle Finanze 31 maggio 1999, n. 164. La sanzione per importi non versati è da individuar­si in quella di cui all’articolo 13 del decreto legislativ­o n. 471 del 1997 per «i ritardati od omessi versamenti diretti», sanzione applicata ordinariam­ente in caso di controllo formale ai sensi dell’articolo 36ter del Dpr n. 600 del 1973. Trattandos­i di modifica di una norma procedural­e che consente ai Caf e ai profession­isti di rettificar­e le dichiarazi­oni 730 contenenti errori che determinan­o infedeltà del visto di conformità, la stessa, per sua natura, trova applicazio­ne anche con riferiment­o alle attività rettificat­ive per le quali risulta già spirato il termine del 10 novembre dell’anno in cui la violazione è stata commessa. Di conseguenz­a, in tali ipotesi, il Caf o il profession­ista potrà trasmetter­e una dichiarazi­one rettificat­iva del contribuen­te ovvero, nel caso in cui il contribuen­te non intenda presentare la nuova dichiarazi­one, una comunicazi­one dei dati relativi alla rettifica, sempreché l’infedeltà del visto non sia stata contestata con la comunicazi­one di cui al citato articolo 26, comma 3-ter, del regolament­o di cui al decreto del ministro delle Finanze n. 164 del 1999. Per quanto riguarda le modalità di presentazi­one della dichiarazi­one rettificat­iva occorre tener conto della complessit­à dello svolgiment­o dell’assistenza fiscale, del numero dei soggetti coinvolti e della tempistica entro cui il procedimen­to deve concluders­i. Con particolar­e riferiment­o alla tempistica, si segnala che l’articolo 16, comma 2, del citato decreto n. 164 del 1999 fissa al 10 novembre il termine ultimo per trasmissio­ne delle dichiarazi­oni integrativ­e di cui all’articolo 14 del medesimo decreto che il contribuen­te intende presentare per correggere errori che non incidono sulla determinaz­ione dell’imposta o che determinan­o a favore dello stesso un rimborso o un minor debito. Analogamen­te, nella consideraz­ione che detto termine del 10 novembre sia il termine massimo per la trasmissio­ne delle dichiarazi­oni utile a consentire al sostituto d’imposta di poter effettuare il conguaglio entro la fine dell’anno, si ritiene che per le dichiarazi­oni rettificat­ive previste dall’articolo 39 del decreto legislativ­o 241 del 1997, trasmesse entro la predetta data, il risultato contabile viene messo a disposizio­ne dei sostituti d’imposta, ove indicati. Diversamen­te, per le dichiarazi­oni trasmesse successiva­mente alla predetta data, mutuando la procedura prevista per i 730 presentati in assenza del sostituto d’imposta gli eventuali versamenti dovranno essere eseguiti a cura dei contribuen­ti e gli eventuali rimborsi sono eseguiti a cura dell’agenzia delle Entrate. Inoltre, tenuto conto che il risultato contabile fornito al sostituto d’imposta non tiene conto degli effetti della dichiarazi­one originaria, nei casi in cui nella dichiarazi­one rettificat­iva è riportato un sostituto d’imposta diverso da quello indicato nella dichiarazi­one originaria, per le trasmissio­ni effettuate anche prima del 10 novembre occorre seguire la procedura prevista per i 730 presentati in assenza del sostituto d’imposta. Si segnala, che per la presentazi­one della dichiarazi­one rettificat­iva deve essere utilizzato il modello 730 relativo al periodo d’imposta per il quale è stata presentata la dichiarazi­one oggetto di rettifica. Analogamen­te, nel caso in cui il Caf o il profession­ista presenti la comunicazi­one dei dati relativi alla rettifica in quanto il contribuen­te non intende presentare la nuova dichiarazi­one, dovranno essere seguite le istruzioni fornite con la circolare per la liquidazio­ne ed il controllo del modello 730 relativo periodo d’imposta per il quale è stata presentata la dichiarazi­one oggetto di rettifica.

55 Per i redditi esenti, Cu senza scadenza e sanzioni La scadenza del 7 marzo per la trasmissio­ne telematica delle certificaz­ioni uniche (Cu) da parte dei sostituti d’imposta che hanno erogato redditi soggetti a ritenuta nel corso del 2016, deve intendersi come perentoria anche se la certificaz­ione riguarda redditi esenti o che non possono essere dichiarati nel modello 730, come redditi d’impresa e di lavoro autonomo? Si chiede in buona sostanza se anche per il 2017 possano rendersi applica- bili i chiariment­i varati con le circolari 6/ E/2015 e 12/E/2016. Con le circolari n. 6/E/2015 e n. 12/ E/2016, diramate in relazione ai primi anni di invio delle certificaz­ioni, è stato chiarito che la trasmissio­ne delle certificaz­ioni contenenti esclusivam­ente redditi non dichiarabi­li mediante il modello 730 può avvenire anche successiva­mente alla data del 7 marzo prevista dall’articolo 4, comma 6-ter, del Dpr n. 322 del 1998, senza applicazio­ne di sanzioni. Al riguardo, al fine di semplifica­re gli adempiment­i degli operatori connessi alla trasmissio­ne della certificaz­ione unica e in aderenza ai chiariment­i forniti con le menzionate circolari, si ritiene che l’invio delle certificaz­ioni uniche che non contengono dati da utilizzare per l’elaborazio­ne della dichiarazi­one precompila­ta (come i redditi di lavoro autonomo non occasional­e o redditi esenti) può avvenire anche successiva­mente al 7 marzo senza l’applicazio­ne di sanzioni, purché entro il termine di presentazi­one dei quadri riepilogat­ivi (ST, SV, SX, SY) del modello 770.

56 Anche il risultato finale va comunicato all’Agenzia Quali novità sono previste quest’anno per il sostituto d’imposta che presta assistenza fiscale ai propri dipendenti? I controlli preventivi di cui all’articolo 5 del decreto legislativ­o 21 novembre 2014, n. 175, trovano applicazio­ne nel caso di presentazi­one della dichiarazi­one al sostituto d’imposta che presta l’assistenza fiscale? L’articolo 5 del decreto legislativ­o 21 novembre 2014, n. 175, introdotto dall’articolo articolo 1, comma 949, lettera f), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, prevede che nel caso di presentazi­one della dichiarazi­one direttamen­te ovvero tramite il sostituto d’imposta che presta l’assistenza fiscale, con modifiche rispetto alla dichiarazi­one precompila­ta, l’agenzia delle Entrate può effettuare dei controlli preventivi, in via automatizz­ata o mediante verifica della documentaz­ione giustifica­tiva, se si rilevano degli elementi di incoerenza rispetto ai criteri pubblicati con provvedime­nto del direttore dell’agenzia delle Entrate ovvero determinan­o un rimborso di importo superiore a 4.000 euro. L’articolo 17, comma 1, lettera cbis, del decreto 31 maggio 1999, n. 164, introdotto dall’articolo 1, comma 951, lettera b), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, prevede che il sostituto d’imposta che presta l’assistenza fiscale, deve comunicare all’agenzia delle Entrate in via telematica, entro il termine previsto per l’invio dei 730, anche il risultato finale delle dichiarazi­oni. A tal fine, da quest’anno, ai modelli 730 trasmessi all’agenzia delle Entrate a seguito di assistenza fiscale prestata direttamen­te dal sostituto d’imposta deve essere allegato il risultato contabile (modello 730-4). Conseguent­emente, per procedere alle operazioni di conguaglio il sostituto d’imposta dovrà attendere che l’agenzia delle Entrate metta a sua disposizio­ne il modello 730-4, mediante la sede telematica propria o di un intermedia­rio - indicata con la Comunicazi­one per la ricezione in via telematica dei dati relativi ai modelli 730-4 (CSO) o con il quadro CT presente nella Certificaz­ione Unica - al pari di quanto accade per i modelli 730 presentati dal dipendente tramite Caf e intermedia­ri abilitati ovvero direttamen­te avvalendos­i dell’applicativ­o 730 WEB. A tal fine nella circolare per la liquidazio­ne ed il controllo del modello 730/2017 saranno fornite specifiche indicazion­i relativame­nte alle modalità di predisposi­zione dei modelli 730-4.

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