I passi avanti sui migranti alla prova della realtà
Sarebbe forte la tentazione di dire che sulla politica migratoria l’Europa a Malta ha finalmente voltato pagina, che dopo aver trovato il pieno appoggio dei partner Ue l’accordo tra Italia e Libia fermerà davvero i flussi incontrollati dal Mediterraneo centrale «nel pieno rispetto dei diritti umani, delle leggi internazionali e dei valori europei» come recita la dichiarazione del vertice Ue, che finalmente le emergenze del Nord e del Sud, finora separate in casa, si sono saldate in un’unica politica europea per diventare l’emergenza di tutti da superare con una coerente e credibile politica comune.
E sarebbe ancora più forte la tentazione di rispedire al mittente le stroncature di Donald Trump, grazie a una dimostrazione concreta di ritrovata unità europea maturata su un approccio alternativo ai muri e divieti di ingresso americani, insomma con una sonora lezione di equilibrio, lungimiranza, buon senso collettivo e anche civiltà.
Sarebbe bello farlo a chiusura di un vertice europeo sul quale per tutto il giorno ha planato il fantasma dell’America di Trump, il suo pungolo sardonico e irriverente nel gioco allo sfascio dell’Europa, a suo dire malata come la Nato di irreversibile autoconsunzione.
Da Malta, invece, è arrivato qualche segnale positivo: il sostegno all’iniziativa italiana, la conferma di quasi 200 milioni di aiuti aggiuntivi a Tripoli dal bilancio Ue e forse ulteriori risorse da Germania e Francia. In breve, non si è usciti dalla solita logica dei piccoli passi.
Lo stesso premier Paolo Gentiloni ha parlato dell’«apertura di una finestra di opportunità». Che è qualcosa, naturalmente, ma certo non una diga sufficiente se la primavera ricomincerà a scaricare sulle coste italiane migliaia di disperati alla ricerca di un nuovo futuro in Europa. L’anno scorso il 91% è partito dalle coste libiche.
Sono diversi i motivi che per ora sconsigliano cedimenti all’autocompiacimento europeo.
L’accordochenel marzo scorso, in meno di due mesi, ha blindato le vie di migrazione da Egeo e Balcani verso il Nord Europa, sponsor la Germania della Merkel, ha impegnato l’Ue a versare alla Turchia 3 miliardi, raddoppiabili a 6, insieme alla promessa di liberalizzare i visti di ingresso dei suoi cittadini. Il tutto accompagnato dal ripristino dei controlli alle frontiere Schengen interessate.
Allora la marea dei rifugiati superava il milione abbondante ma la Turchia era ed è uno Stato forte che ha il controllo del proprio territorio e un’efficiente guardia costiera. Sia pure con maniere spesso più che discutibili.
Chiusa la rotta dell’Egeo, sono stati 181mila i migranti approdati l’anno scorso in Italia, coste infinite e a nord la catena delle Alpi che la può facilmente isolare dal resto del continente. La Libia è uno Stato in pezzi, con almeno due Stati e diverse zone sotto controllo di Isis e vari gruppi armati. Gli aiuti Ue al governo legittimo di Fayez al Sarraj, privo di solide strutture e di un’efficiente guardia costiera, non superano i 200 milioni.
«Il governo di Sarraj (con cui l’Italia ha fatto l’accordo, ndr) non ha la stabilità necessaria. Dobbiamo lavorare anche con i Paesi vicini» ha avvertito ieri la Merkel, denunciando la debolezza della politica europea nel Mediterraneo centrale.
La verità è che per ora i tentativi, anche italiani, di puntare a un’intesa con la Tunisia, interlocutore più solido e credibile, per farne magari l'”hotspot” del Nordafrica in cambio di un adeguata assistenza economica, non è riuscito a neutralizzare l’opposizione della Francia in primis, preoccupata di evitarne la destabilizzazione.
Il ripiego sull’opzione libica è diventato obbligato ma resta una scommessa al buio, con un Paese scabroso nei cui torbidi mesta anche la Russia di Putin, di questi tempi interessata a nuove basi nel Mediterraneo senza trascurare qualche spallata all’incerta stabilità dell’Europa. Per non parlare della tutela dei valori europei quando la sicurezza dei migranti in Libia oggi sarebbe tutt’altro che garantita, secondo i rapporti di diverse organizzazioni umanitarie.
Con questi chiari di luna, senza la riforma della convenzione di Dublino e senza un accordo per la ripartizione dei rifugiati secondo quote obbligatorie, il rischio per l’Italia di dover fronteggiare da sola un’invasione a primavera non è stato affatto scongiurato a Malta. La speranza è che in questi mesi si facciano progressi. Ma tutte le elezioni in calendario non incoraggiano un grande ottimismo.