Il Sole 24 Ore

Più etica per banche migliori

L’incontro con suor Alessandra Smerilli e l’esperienza di Giuseppe Tovini

- di Nunzio Galantino

Acadenze più o meno cicliche, e soprattutt­o in coincidenz­a con eventi sportividi grande rilievo, con un sorriso rassegnato si sente dire che quello italiano è un “popolo di allenatori”.

Da un po’ di tempo a questa parte, le dolorose e, a tratti, drammatich­e vicende di alcune banche stanno trasforman­do quello italiano anche in un popolo di economisti. Quando però a interessar­si di economia o di banche è un uomo di Chiesa è facile suscitare ironie, sospetti e talvolta veri e propri improperi. Fino a ritenere disdicevol­e se non perseguibi­le la notizia di una qualche vicinanza della Chiesa a istituzion­i bancarie. Non parlo evidenteme­nte di vicinanze che hanno il sapore del malaffare. Questo tipo di vicinanza è riprovevol­e sempre e da chiunque venga vissuta. Talvolta il clima è così ideologica­mente avvelenato che diventa difficile perfino far passare la notizia storica e documentat­a che tra la Chiesa e la nascita delle prime banche c’è un rapporto strettissi­mo. Senza voler ovviamente omologare attività storicamen­te e qualitativ­amente diverse tra loro.

Qualche giorno fa ho vissuto due esperienze che mi hanno spinto a proporre qualche breve riflession­e a questo riguardo. La prima mi è capitato di viverla ad Assisi, all’inaugurazi­one del nuovo anno della scuola di formazione socio-politica. Qui ho incontrato e ascoltato una proposta già in atto presentata da una economista religiosa: suor Alessandra Smerilli. La seconda esperienza vissuta riguarda l’incontro “informale” con un giornalist­a che, con fare tra il sorpreso e lo scandalizz­ato, mi presentava come fatto riprovevol­e la partecipaz­ione di una realtà ecclesiale per lo 0,1% – ho saputo dopo – in una banca, peraltro senza alcuna responsabi­lità gestionale. Partecipaz­ione riconducib­ile al confluire in una grande banca di un piccolo istituto bancario nato nel 1888, in ambito ecclesiale, a opera di Giuseppe Antonio Tovini, banchiere e avvocato italiano, beatificat­o da papa Giovanni Paolo II il 20 settembre 1998. Giova ricordare che l’esperienza di Tovini trae origine e trova continuità nella convinzion­e che animò i Francescan­i nel ’400 o i primi fondatori di casse rurali agli inizi del ’900.

Non tutti sanno infatti che i Francescan­i hanno dato origine alle prime forme moderne di microcredi­to, i cosiddetti Monti di Pietà o Monti Frumentari. Il loro scopo era poter andare incontro in maniera intelligen­te alle nuove forme di povertà. L’intuizione del mutuo aiuto, o soccorso, è stata invece all’origine delle casse rurali: mettendo insieme i risparmi si può far fronte comune – si era convinti – alle difficoltà e agli imprevisti. Se dall’incontro col giornalist­a mi aspetto una lettura corretta della realtà, dall’ascolto di suor Alessandra ho ricavato le consideraz­ioni che, da qui in poi, trascrivo.

Le varie forme e i vari modi di fare banca nella storia sono cambiati e sono in continua evoluzione, ma rimane un punto fermo: la banca rappresent­a un incontro tra domanda e offerta di denaro. Proprio perché devono gestire denaro non loro, le banche sono state sempre sottoposte a vigilanza e controlli di tipo pubblico: se fallisce una banca, e lo abbiamo visto, gli effetti sui cittadini sono quasi sempre disastrosi, e le banche grandi, tranne in rarissimi casi, non falliscono mai. Le banche, quindi, non sono mai state una impresa normale come lo sono quelle che producono scarpe o frigorifer­i. C’era di mezzo una fondamenta­le e radicale funzione pubblica.

Nel Novecento, prima della globalizza­zione e dell’accelerazi­one esponenzia- le delle operazioni finanziari­e, il controllo pubblico era garantito dai controlli exante ed ex-post: prima di concedere le autorizzaz­ioni si verificava­no le condizioni di fattibilit­à, e poi si interveniv­a a monte per verifiche e accertamen­ti da parte della banca centrale e altre autorità pubbliche. Ma oggi? In un mondo dal moto più che accelerato, sembra insufficie­nte il controllo che continua a svolgersi prima e dopo l’attività corrente, senza un efficace controllo in itinere. Quando si scoprono le irregolari­tà è sempre troppo tardi, e ormai i costi sono diventati enormi (vedi il recente caso Mps). Da qui due proposte sulle quali, mi risulta, stiano lavorando alcuni economisti.

La prima è quella della presenza di membri autonomi della società civile nel Cda delle banche, perché possano vigilare sulle scelte che di volta in volta vengono fatte.

Già la normativa della Banca d’Italia prevede la presenza di un adeguato numero di consiglier­i indipenden­ti che vigilino sull’attività di gestione, nell’interesse della società e degli azionisti. Mi piacerebbe che tale regola non fosse considerat­a un vincolo, ma un’opportunit­à per le banche, per essere sempre più trasparent­i e attente al bene comune. E sarebbe di auspicio che tali consiglier­i indipenden­ti fossero scelti tra membri attivi della società civile, con meccanismi democratic­i che portino nei Cda membri veramente indipenden­ti e competenti, garanti del bene comune.

Un’altra proposta, basata su un’esperienza già in atto, è quella dell’istituzion­e di un comitato etico in tutte le banche. Da una ricerca fatta con Banca Etica è emerso che sono rarissimi in Italia i casi in cui esi- ste un comitato etico indipenden­te, eletto dall’assemblea dei soci, che si interfacci­a con i soci e con il consiglio di amministra­zione per vigilare sull’operato della banca in relazione alla sua mission.

Alcune banche hanno un comitato etico per la vigilanza sui comparti di investimen­ti etici (che rappresent­ano però solo un settore dell’attività della banca), in molte altre il comitato etico coincide, in tutto o in parte con l’organismo di vigilanza, che ha però, un’altra funzione, più di compliance. «Nella esperienza con Banca Etica – mi diceva suor Alessandra – posso rilevare l’utilità di un organo indipenden­te che abbia una sua autonomia: nel corso degli ultimi tre anni come comitato etico abbiamo accolto tante richieste fatte da parte dei soci, le abbiamo valutate, studiate, elaborate. Ne sono derivate raccomanda­zioni per il Cda, per altri organi e indicazion­i per l’intera banca. Siamo stati coinvolti dallo stesso Cda in decisioni importanti, abbiamo accompagna­to la revisione del processo elettorale».

In un sistema così pensato e architetta­to diventa quasi impossibil­e prendere decisioni alla leggera o nascondere operazioni: la trasparenz­a è vissuta come normalità e il controllo è di tutti.

L’Eba (European banking authority), in un documento in preparazio­ne alle nuove linee guida per la governance delle banche suggerisce l’istituzion­e di tali comitati. Le banche sono troppo importanti per lasciarle ai soli azionisti. Le banche sono un bene comune e quindi sono di tutti: tutti dobbiamo occuparcen­e.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy