Anche con la Dodd-Frank redditività più alta per le banche Usa
pLe banche statunitensi penalizzate dalla «Dodd-Frank Law»? Il consulente economico della Casa Bianca, Gary Cohn, non l’ha affermato esplicitamente. Eppure la suggestione, dopo avere letto le sue parole a sostegno della modifica della normativa, è proprio quella.
L’ex presidente di Goldman Sachs, con abilità retorica (gli va riconosciuto), ha sottolineato che gli «americani avranno migliori prodotti» perchè le banche non saranno più annualmente oberate di centinaia di miliardi di dollari in costi legati alla regolamentazione. Insom- ma, il suo messaggio esplicito è: lo facciamo per voi! Quello implicito: se gli istituti di credito hanno minori “lacci e lacciuoli” sarà meglio per loro.
Al che, però, sorge un’altra domanda: la «Dodd Frank» ha rappresentato un reale freno allo sviluppo del business bancario statunitense? La risposta è negativa. Per rendersene conto basta dare un’occhiata a qualche numero. Il Return on equity (Roe) delle principali banche Usa, calcolato nell’annuale pubblicazione di R&S Mediobanca, era pari a zero nel 2008 (l’anno horribilis). Poi nel 2010, quando è stata promulgata la «Dodd Frank», era già risalito al 6,2%. Per infine, nel 2015, arrivare a quota 9,8%.
Certo: deve rilevarsi che, nel 2016, l’utile reported di alcuni gruppi è stato inferiore a quello dell’esercizio precedente. E tuttavia, da un lato, il 2015 è stato un ottimo anno per le performance bancarie (quindi diffici- le da replicare). E, dall'altro, il trend di fondo resta comunque immutato. In sostanza: la tanto «vituperata» normativa non ha rappresentato un’ostacolo per gli istituti di credito.
Avrebbero potuto fare meglio? La risposta, mancando la controprova fattuale, è impossibile. Certo è, invece, che le grandi banche a stelle e strisce hanno comunque macinato redditività. Un risultato, a ben vedere, dovuto a diversi fattori. In primis hanno influito il taglio del costo del lavoro e le maggiori efficienze. Tanto che il rapporto tra oneri operativi e ricavi è passato dal 78,1% (2008) al 62,3% di sette anni dopo. Inoltre le big bank, anche grazie al sostegno dei programmi di aiuti pubblici (i vari Tarp), sono riuscite a migliorare i margini del business. Così: nonostante i tassi a zero, il risultato operativo dell’attività tradizionale, in percentuale sui ricavi, è salito di anno in anno.
Insomma: tutto può dirsi tranne che i «paletti» della «Dodd Frank» abbiano impedito ai banchieri di fare business. Anzi! Alcuni esperti sottolineano come la normativa, limitando diverse attività (quali, ad esempio, il «proprietary trading»), abbia indotto gli isti- tuti a rendersi più efficienti. A sforzarsi di rendere più efficace il business model senza ricorrere a scorciatoie.
Ed ecco, quindi, il vero tema. La «Dodd Frank», peraltro da molti criticata perchè non così incisiva come avrebbe dovuto, è stato un passaggio verso un maggiore controllo di soggetti che avevano provocato non pochi problemi. Adesso si è pronti a rivederne l’impianto. Non vogliamo, è stato il messaggio di Cohn, farlo in maniera non regolamentata. Bensì vogliamo realizzarlo in modo «smart». Ebbene: quella parola «smart» (forse) sintetizza la visione di Trump sulla finanza. Il che, pensando agli squali di Wall Street, fa venire i brividi.
LE STRATEGIE I gruppi hanno ridotto i costi e aumentato le efficienze Lo sviluppo del business non è stato impedito dai «paletti» legislativi