Tokyo offre agli Usa 150 miliardi di investimenti
Dal Giappone alla Cina, arrivano segnali di crescenti tensioni sui mercati finanziari: la Banca del Giappone (BoJ) ha effettuato un intervento straordinario per frenare l’ascesa dei tassi nipponici a lungo termine che molti analisti attribuiscono alle minacce di Trump sul fronte valutario, mentre la banca centrale cinese a sorpresa ha alzato di 10 punti base alcuni tassi di riferimento sul mercato monetario.
Due mosse in direzioni divergenti dettate da distinte esigenze. Pechino – che già a gennaio aveva alzato i tassi su un suo strumento a medio termine, con la prima iniziativa di irrigidimento dal 2011 – sembra intenta a scoraggiare il deflusso di capita- li e contenere i rischi sistemici generati da anni di politiche relativamente accomodanti. Non tutti intravedono un vero cambio di marcia verso una più seria stretta, ma certo la mossa appare sintomatica di timori per la crescita del debito privato e per un surriscaldamento del mercato immobiliare.
A Tokyo, invece, la speculazione ha trovato in Donald Trump un’occasione per mettere alla prova la politica monetaria di «controllo della curva dei rendimenti» varata a settembre dalla BoJ. Alcuni giorni fa, il presidente americano – in modo piuttosto casuale e brutale – ha accusato non solo la Cina, ma anche il Giappone di manipolazioni valutarie, potenzialmente mettendo nel mirino la politica monetaria nipponica oltre che il di- savanzo commerciale bilaterale. Per placarlo e depistare la sua attenzione dai cambi, il premier Shinzo Abe sta finalizzando un piano in 5 punti da presentare a Trump il 10 febbraio per la potenziale creazione di 700mila posti di lavoro negli Usa, con investimenti totali giapponesi (pubblici e privati) per 150 miliardi di dollari in 10 anni.
Martedì scorso il governatore Haruhiko Kuroda è parso escludere – nonostante la marcia rialzista dei tassi americani – cambi di marcia rispetto al nuovo focus sul mantenimento intorno a zero dei tassi sui decennali nipponici. Grazie a questa strategia i tassi sui JGB si sono mossi al rialzo molto meno di quelli di altri Paesi: solo +0,17% al massimo dal giorno dell’elezione di Trump contro il +0,62% dei tassi Usa (co- sì lo yen nel periodo si è indebolito di oltre il 10% sul dollaro). Senonché ieri mattina la pubblicazione dei verbali della BoJ dello scorso 20 dicembre ha evidenziato i dissensi di alcuni membri del board sulla percezione del mercato secondo cui la BoJ abbia di fatto imposto un tetto dello 0,1% ai tassi sui decennali. Dopo che l’operazione ordinaria di acquisto di bond da parte della banca centrale è parsa inferiore alle attese (anche se in aumento a 450 miliardi di yen rispetto ai 410 inizialmente previsti), un sell-off di JGB ha portato i rendimenti dei decennali ai massimi da oltre un anno allo 0,15%. Passava poco più di un’ora e la BoJ metteva in campo tutta la sua artiglieria più pesante, offrendo di acquistare quantitativi illimitati di bond a un tasso fisso dello 0,11%. Così, con la BoJ a rastrellare l’equivalente di 6 miliardi di dollari in JGB, i tassi sul decennale hanno ripiegato fino intorno allo 0,09% e lo yen ha interrotto una dinamica di apprezzamento tornando sopra quota 113 sul dollaro. Secondo Daiju Aoki, capo economista Japan di Ubs Securities, il mercato intravede comunque la possibilita' che la BoJ sia costretta a un avvio di “tapering” – e quindi a rinunciare a difendere a oltranza la soglia dello 0,1% -, specie se Trump dovesse insistere sulle sue accuse. «Non credo che il livello di impegno mostrato oggi dalla BoJ sia per sempre», ha commentato Naka Matsukawa della Nomura.
Se il governo giapponese sta preparando progetti articolati per placare la Casa Bianca, incappa però in passi falsi. Ieri, ad esempio, il ministro delle Finanze ha fatto una gaffe che ha dovuto essere corretta con una quasi inedita precisazione scritta successiva del ministero: Aso si era lasciato sfuggire che il QQE della banca centrale aveva di mira anche un freno al rialzo dello yen quando fu lanciato nel 2013, ma non ora. La posizione ufficiale è invece che la BoJ cerca sempre e solo di combattere la deflazione, mentre Tokyo è impegnata in ambito G7 a non cercare svalutazioni competitive. Un altro infortunio riguarda il gigantesco fondo pensioni pubblico, che il premier Abe avrebbe “arruolato” per ammorbidire Trump attraverso investimenti nello sviluppo delle infrastrutture Usa: è stata necessaria una parziale marcia indietro – almeno di facciata – per la reazione negativa dell’opinione pubblica, poco convinta di rischiare i soldi dei pensionati giapponesi per costruire o riassettare ponti o muri negli States.