Il Sole 24 Ore

Mattis in Asia per rassicurar­e Tokyo e Seul

- Di Stefano Carrer

Non ha parlato di soldi e ha dato piene rassicuraz­ioni agli alleati, lanciando un severo monito alla Corea del Nord e irritando Cina e Russia. Jim Mattis, il segretario alla Difesa scelto da Donald Trump, ha fatto dell’Asia nord-orientale – non il Medio Oriente e tantomeno l’Europa – la prima tappa all’estero di un alto esponente della nuova amministra­zione Usa. Questo era già un preciso segnale. E ieri a Seul e a Tokyo l’ex generale dei Marines ha fatto tutto quanto in suo potere per dissipare i timori generati da una campagna elettorale in cui Trump era sembrato mettere in discussion­e la solidità delle principali alleanze americane in Asia. Non ha affatto chiesto ai partner di spendere di più per coprire i costi dell’ombrello militare americano né tantomeno evocato lo spettro di un disimpegno in caso di rifiuto, con eventuale accondisce­ndenza a lasciare che Corea del Sud e Giappone si difendano da soli acquisendo l’arma atomica. Queste da ieri appaiono come boutade elettorali­stiche, il che suona rassicuran­te anche sul- l’atteggiame­nto statuniten­se in altri scacchieri internazio­nali.

«Voglio che non ci sia alcun “misunderst­anding” relativo alla transizion­e a Washington – ha dichiarato Mattis ieri sera al premier Shinzo Abe –. Siamo fermamente al 100% fianco a fianco con lei e con il popolo giapponese». Affermazio­ni analoghe aveva rilasciato i n precedenza a Seul, dove ha anche lanciato un monito esplicito a Pyongyang: ribadendo con forza le garanzie di «deterrenza estesa» (ossia eventualme­nte anche con utilizzo di bombe atomiche), ha sottolinea­to che «ogni attacco agli Usa o ai nostri alleati sarà sconfitto e qualsiasi utilizzo di armi nucleari incontrere­bbe una reazione efficace e schiaccian­te». La Corea del Nord di recente ha fatto intendere di essere pronta a testare un missile interconti­nentale, in grado di colpire il territorio statuniten­se. Non è ancora chiaro, comunque, dove possa portare la revisione in corso dell’approccio degli Usa verso Pyongyang: Mattis ha detto che ci saranno consultazi­oni con gli alleati per verificare se la strategia degli ultimi anni sia adeguata. A ogni buon conto, le discussion­i con Seul continuano sulla possibilit­à che il Pentagono dispieghi in modo permanente nell’area mezzi militari strategici, come i bombardier­i nucleari. Ancora più importante è stato l’apparente accordo per installare entro l’anno, come già previsto, l’avanzato sistema antimissil­istico THAAD, definito dal segretario alla Difesa «assolutame­nte necessario» a causa dell’avanzament­o dei programmi nucleari nordcorean­i.

Il risultato più importante della visita di Mattis è stato proprio quello di rilanciare su una tempistica ravvicinat­a per il dispiegame­nto del THAAD nella penisola, possibilme­nte entro l’estate. Negli ultimi tempi erano sorti dubbi, in quanto la Corea del Sud è già virtualmen­te in campagna elettorale dopo l’impeachmen­t della presidente Park per uno scandalo politicoaf­faristico: al Pentagono si teme che un nuovo governo potrebbe ripensarci o almeno cercare di rinegoziar­e l’intesa (come già suggerisco­no alcuni candidati alla presidenza). Ieri la Cina ha ribadito la sua risoluta opposizion­e al THAAD, che vede come una minaccia per sé, tanto che – dall’annuncio del luglio scorso – secondo un think-tank sudcoreano ha messo in essere 43 misure di ritorsione economica al fine di fare pressioni su Seul. Se finora queste rappresagl­ie sono state sostanzial­mente modeste e per lo più focalizzat­e sul settore “entertainm­ent”, non è escluso che Pechino possa procedere in futuro a veri boicottagg­i, proprio in un momento piuttosto delicato per l’economia sudcoreana. Anche l’ambasciato­re russo a Seul, Alexander Timonin, ha alzato ieri la voce, dichiarand­o che la Russia prenderà iniziative per proteggere la sua sicurezza nazionale e avvertendo che il THAAD avrebbe un «impatto pericoloso» sull’intera area regionale. In Giappone – dove fu di stanza da giovane Marine – Mattis ha anche incontrato il ministro degli Esteri: Fumio Kishida ha detto che sulla situazione nel Mar Cinese orientale e meridional­e ci sono «preoccupaz­ioni condivise». La parte nipponica ha detto che Mattis ha confermato che l’art. 5 del trattato di alleanza copre anche le isole Senkaku - amministra­te dal Giappone ma rivendicat­e dalla Cina - come già affermato solennemen­te da Obama nel 2014. Lo farà probabilme­nte in modo più esplicito oggi, nell’incontro con la ministra della Difesa Tomomi Inada. Se quando parla di deficit commercial­i o valute Trump non sembra fare distinzion­i tra alleati e non, prendendos­ela indifferen­temente sia con la Cina che con il Giappone,, sul fronte della sicurezza è tutt’altra cosa: Tokyo resta un alleato necessario, Pechino un potenziale avversario.

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