Mattis in Asia per rassicurare Tokyo e Seul
Non ha parlato di soldi e ha dato piene rassicurazioni agli alleati, lanciando un severo monito alla Corea del Nord e irritando Cina e Russia. Jim Mattis, il segretario alla Difesa scelto da Donald Trump, ha fatto dell’Asia nord-orientale – non il Medio Oriente e tantomeno l’Europa – la prima tappa all’estero di un alto esponente della nuova amministrazione Usa. Questo era già un preciso segnale. E ieri a Seul e a Tokyo l’ex generale dei Marines ha fatto tutto quanto in suo potere per dissipare i timori generati da una campagna elettorale in cui Trump era sembrato mettere in discussione la solidità delle principali alleanze americane in Asia. Non ha affatto chiesto ai partner di spendere di più per coprire i costi dell’ombrello militare americano né tantomeno evocato lo spettro di un disimpegno in caso di rifiuto, con eventuale accondiscendenza a lasciare che Corea del Sud e Giappone si difendano da soli acquisendo l’arma atomica. Queste da ieri appaiono come boutade elettoralistiche, il che suona rassicurante anche sul- l’atteggiamento statunitense in altri scacchieri internazionali.
«Voglio che non ci sia alcun “misunderstanding” relativo alla transizione a Washington – ha dichiarato Mattis ieri sera al premier Shinzo Abe –. Siamo fermamente al 100% fianco a fianco con lei e con il popolo giapponese». Affermazioni analoghe aveva rilasciato i n precedenza a Seul, dove ha anche lanciato un monito esplicito a Pyongyang: ribadendo con forza le garanzie di «deterrenza estesa» (ossia eventualmente anche con utilizzo di bombe atomiche), ha sottolineato che «ogni attacco agli Usa o ai nostri alleati sarà sconfitto e qualsiasi utilizzo di armi nucleari incontrerebbe una reazione efficace e schiacciante». La Corea del Nord di recente ha fatto intendere di essere pronta a testare un missile intercontinentale, in grado di colpire il territorio statunitense. Non è ancora chiaro, comunque, dove possa portare la revisione in corso dell’approccio degli Usa verso Pyongyang: Mattis ha detto che ci saranno consultazioni con gli alleati per verificare se la strategia degli ultimi anni sia adeguata. A ogni buon conto, le discussioni con Seul continuano sulla possibilità che il Pentagono dispieghi in modo permanente nell’area mezzi militari strategici, come i bombardieri nucleari. Ancora più importante è stato l’apparente accordo per installare entro l’anno, come già previsto, l’avanzato sistema antimissilistico THAAD, definito dal segretario alla Difesa «assolutamente necessario» a causa dell’avanzamento dei programmi nucleari nordcoreani.
Il risultato più importante della visita di Mattis è stato proprio quello di rilanciare su una tempistica ravvicinata per il dispiegamento del THAAD nella penisola, possibilmente entro l’estate. Negli ultimi tempi erano sorti dubbi, in quanto la Corea del Sud è già virtualmente in campagna elettorale dopo l’impeachment della presidente Park per uno scandalo politicoaffaristico: al Pentagono si teme che un nuovo governo potrebbe ripensarci o almeno cercare di rinegoziare l’intesa (come già suggeriscono alcuni candidati alla presidenza). Ieri la Cina ha ribadito la sua risoluta opposizione al THAAD, che vede come una minaccia per sé, tanto che – dall’annuncio del luglio scorso – secondo un think-tank sudcoreano ha messo in essere 43 misure di ritorsione economica al fine di fare pressioni su Seul. Se finora queste rappresaglie sono state sostanzialmente modeste e per lo più focalizzate sul settore “entertainment”, non è escluso che Pechino possa procedere in futuro a veri boicottaggi, proprio in un momento piuttosto delicato per l’economia sudcoreana. Anche l’ambasciatore russo a Seul, Alexander Timonin, ha alzato ieri la voce, dichiarando che la Russia prenderà iniziative per proteggere la sua sicurezza nazionale e avvertendo che il THAAD avrebbe un «impatto pericoloso» sull’intera area regionale. In Giappone – dove fu di stanza da giovane Marine – Mattis ha anche incontrato il ministro degli Esteri: Fumio Kishida ha detto che sulla situazione nel Mar Cinese orientale e meridionale ci sono «preoccupazioni condivise». La parte nipponica ha detto che Mattis ha confermato che l’art. 5 del trattato di alleanza copre anche le isole Senkaku - amministrate dal Giappone ma rivendicate dalla Cina - come già affermato solennemente da Obama nel 2014. Lo farà probabilmente in modo più esplicito oggi, nell’incontro con la ministra della Difesa Tomomi Inada. Se quando parla di deficit commerciali o valute Trump non sembra fare distinzioni tra alleati e non, prendendosela indifferentemente sia con la Cina che con il Giappone,, sul fronte della sicurezza è tutt’altra cosa: Tokyo resta un alleato necessario, Pechino un potenziale avversario.