Petrolio, affari e instabilità I rischi di un nuovo scontro
La tensione era già nell’aria. Sin dalla campagna elettorale Donald Trump era sempre stato ostile verso l’accordo sul nucleare iraniano, firmato nel luglio del 2015 dall’amministrazione di Barack Obama . Per Obama si trattava di «una storica intesa», un «sostanziale successo». Il fiore all’occhiello in un politica mediorientale tutt’altro che di successo. Per Trump era semplicemente un accordo «disastroso».
È passato solo un anno da quando sono state rimosse le sanzioni internazionali (finanziarie ed energetiche), che dal 2011 avevano stritolato l’economia iraniana. Nei momenti peggiori, dopo l’embargo petrolifero europeo scattato il 1° luglio 2012, le esportazioni iraniane erano crollate a 700mila barili al giorno. Poca cosa rispetto ai 2,5 milioni di barili/giorno del 2011.
E ora? I testi missilistici iraniani degli scorsi giorni, vivamente condannati anche dai Paesi europei, rischiano di far precipitare le cose. Hanno peraltro offerto un ottimo pretesto per quello che l’Amministrazione Trump aveva già in mente di fare: alzare i toni dello scontro con Teheran. D’altronde Trump aveva bisogno di ricucire lo strappo con lo storico alleato degli Stati Uniti: Israele. I rapporti con Gerusalemme non erano mai stati così tesi come durante l’Amministrazione Obama. L’accordo sul nucleare aveva esacerbato le relazioni. Gerusalemme aveva fatto di tutto perché naufragasse, o comunque fosse modificato in modo da non costituire una minaccia. Da 12 anni Israele ribadisce che Teheran punta a dotarsi di un ordigno nucleare.
Nell’agenda di Trump un riavvicinamento con Israele era scontato. La marcia indietro di giovedì sulla nuova costruzione e sull’espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania (secondo la Casa Bianca«potrebbe non aiutare il raggiungimento della pace (con i palestinesi, ndr»), ha irritato Israele. Il nuovo round di sanzioni contro l’Iran, pur se limitato, non può che giungere gradito al Governo israeliano.
Ma ha riacceso le tensioni. Teheran ha reso noto che proseguirà i test missilistici. La Russia è intervenuta in sua difesa. I leader europei hanno espresso la loro condanna. Ma hanno più di un motivo per preoccuparsi. Un nuovo braccio di ferro con l’Iran rischia di sollevare un problema internazionale in un periodo in cui in Medio Oriente ve ne sono già molti. Dopo che la Ue aveva revocato l’embargo sull’import petrolifero e su quasi tutte le sanzioni economiche e finanziarie contro Teheran, i Paesi europei, e non solo, hanno subito guardato al “nuovo Iran” come a una grande opportunità di business. Il giro di affari potenziali del mercato iraniano dei beni e dei servizi è stimato fino a 800 miliardi di dollari. Uno dei settori più promettenti è quello automobilistico. Si parla di vendite per 14 milioni di autoveicoli. Le importazioni europee di greggio dall’Iran, prima fra tutte dall’Italia, sono subito riprese a ritmo sostenuto toccando lo scorso gennaio il livello massimo dal novembre del 2011. Se le cose dovessero precipitare anche le aziende americane potrebbero veder sfumare delle opportunità. Sebbene diverse sanzioni Usa contro l’Iran non siano state rimosse, anche le aziende americane si erano subito adoperate per non farsi superare dalla concorrenza. Ironia della sorte, risale allo scorso dicembre, quando Trump aveva già vinto le elezioni ma non si era ancora insediato alla Casa Bianca, uno storico accordo commerciale: la Iran Air ha firmato un accordo da 16,6 miliardi di dollari con Boeing. Un contratto decennale per la fornitura di 80 aerei passeggeri (prima consegna per il 2018). Per Boeing sarebbe la maggiore commessa da 37 anni, capace di creare 100mila posti di lavoro. E non si tratta solo di economia. Uno scontro con l’Iran equivale a creare ulteriori problemi nel già delicatissmo scacchiere mediorientale.