Il Sole 24 Ore

Premio alla coalizione: Pd avanti Forza Italia indecisa, no del M5S

- Em.Pa.

pIl “patto” che i big del Pd stanno costruendo attorno a Matteo Renzi prevede il premio alla coalizione e non più alla lista per la Camera (per il Senato il sistema di soglie incentiva già le coalizioni, con il 3% per chi si coalizza e con l’8% per chi corre solo). Approvazio­ne da parte del Parlamento di una nuova legge elettorale che armonizzi i sistemi in vigore nelle due Camere, dunque, come auspicato pubblicame­nte dal Capo dello Stato . In cambio il leader del Pd ha avuto il nulla osta al voto anticipato a giugno, anche perché la consideraz­ione da lui fatta nelle conversazi­oni di questi giorni che ad autunno sarà necessario varare una manovra pesante (19,6 miliardi solo per evitare l’aumento Iva) ha trovato orecchie attente. A rendere pubblico lo schema è un dirigente di “peso” nel partito, quanto a tessere e a parlamenta­ri, come Dario Franceschi­ni: sì alla coalizione approvando una legge nuova in Parlamento che non si limiti a recepire la sentenza della Consulta (si veda l’articolo in pagina), primarie di coalizione per la premiershi­p e solo dopo le urne. Anche a giugno. Stesso schema del ministro Graziano Delrio, renziano della prima ora.

Ma quando si parla di coalizione di centrosini­stra, che al momento non c’è ed è tutta da costruire, nel Pd renziano a vocazione maggiorita­ria c’è più di un mal di pancia. Ieri ha espresso il suo no il presidente del partito Matteo Orfini, “giovane turco” ma molto vicino a Renzi: «Non dobbiamo tornare indietro ad una coalizione tra forze con piattaform­e molto diverse, da Pisapia ad Alfano. Niente accrocchi, è meglio che i partiti vadano da soli». Ed è noto che Renzi, di suo, preferisce il premio alla lista. Sì alla coalizione invece dal leader centrista Angelino Alfano, e attenzione da parte di Forza Italia. Che tuttavia, come ammette Maurizio Gasparri, non ha ancora preso una decisione riguardo all’alleanza con la Lega di Matteo Salvini, con l’anziano leader Silvio Berlusconi tentato dalla corsa solitaria. Prevedibil­e niet, invece, dal M5S che alleati non ne ha né ne vuole. Con Luigi Di Maio che già tuona contro un tentativo che a suo avviso tende solo a rimandare il voto.

Il “patto” dei big attorno a Renzi può anche andar bene al leader, che tuttavia non si fida dell’esito. Perché la pancia del Parlamento, in tutti i partiti, lavora per arrivare al 2018. Ed è per evitare il rischio palude che tra i renziani ieri sera avanzava un percorso teso blindare le modifiche alla legge elettorale: il testo andrà in Aula alla Camera il 27 febbraio, come deciso dalla Capigruppo. E il via libera a Montecitor­io non è in discussion­e. Mentre al Senato si potrebbe mettere una “fiducia tecnica” per evitare trabocchet­ti visti i numeri risicati della maggioranz­a. L’ipotesi fiducia sembra tuttavia non incontrare il gradimento del premier Paolo Gentiloni, che vuole tenere il governo fuori dalla discussion­e sulla legge elettorale.

Quanto all’ipotesi, lanciata dallo stesso Renzi, che nella prossima legislatur­a a guidare il governo potrebbe non essere lui ma lo stesso Gentiloni o Delrio, è chiaro che si tratta di un’ipotesi per il dopo voto e non per la corsa elettorale. Renzi punta a raggiunger­e il 40% per conquistar­e il premio alla Camera. Solo nel caso in cui il risultato del Pd dovesse essere molto al di sotto di quella soglia il leader potrebbe fare un passo indietro, lasciando ad altri la guida di un governo di grande coalizione. Ma sono appunto scenari per il dopo.

IL PATTO TRA I BIG DEM Intervento sul sistema di voto e via libera a urne già a giugno come chiede Renzi L’avviso di Orfini sulle alleanze: niente accrocchi

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