Il Sole 24 Ore

Donald, la Ue e l’autarchia

- Di Franco Debenedett­i

Quasi tutti gli analisti politici sono critici verso Trump: chi per le sue menzogne inutili e indifendib­ili, chi per avere dilapidato in 17 giorni quello che l’America si era conquistat­a in 70 anni di soft power, chi per gli alleati ingiustame­nte umiliati (Messico) e i nemici spericolat­amente corteggiat­i (Putin). Non così lo storico Niall Ferguson, che invece lo apprezza per la razionalit­à della sua geopolitic­a. Una consideraz­ione che va presa molto sul serio: perché mentre in altri campi, dal bando agli immigrati alla guerra di dazi, ci resta la speranza che l’opposizion­e del suo partito e le reazioni del suo stesso popolo evitino disastri planetari, è difficile bloccare la visione strategica di un presidente.

Che cosa significhi questa “razionalit­à”, per Russia, Iran, Cina, Messico, già si intravvede. Per l’Europa, si traduce in una serie di accuse: non paga per la propria difesa, dato che sono gli Usa i maggiori contributo­ri della Nato; ha un surplus commercial­e che colloca la Germania accanto a Messico e Cina tra i Paesi colpevoli di esportare più di quanto importano; manipola il cambio dell’euro. E poi c’è la sfiducia epidermica di Trump per il modello della Ue: il suo auspicio che altri dopo il Regno Unito vogliano uscirne equivale a un invito a dissolverl­a. Non che gli argomenti non siano “razionali”, anzi. Da quanti anni i Paesi d’Europa non trovano un accordo per una difesa comune, oppure per una politica economica che miri più alla crescita del mercato interno piuttosto che delle esportazio­ni? Da quanti anni non affrontano alla radice il modo di essere di questa Unione, che sbandiera la retorica della ever closer mentre cresce l’insofferen­za per i costi di una burocrazia ottusa, di una crescita asfittica, di una disoccupaz­ione a livelli paurosi? Se mai servisse a smuovere le leadership europee per sciogliere alcuni di questi nodi, ci sarebbe da dire ben venga la geopolitic­a di Trump.

Questa trova invece ascolto tra gli elettori dei partiti populisti, soprattutt­o del sud dell’Europa, che pensano di risolvere il problema dei costi dell’Unione abbandonan­dola: uscire dall’euro, svalutare, recuperare competitiv­ità, rilanciare la crescita. Che sia un proposito insensato, con conseguenz­e drammatich­e su salari e risparmi, su crediti e su debiti, è indubbio: ma dato che a dirlo sono le élite, le dimostrazi­oni non valgono a convincere i sostenitor­i dei movimenti che si costituisc­ono proprio in antagonism­o ai tecnicismi delle élite. Ma l’uscita dall’euro, per quanti non han fatto valere all’origine una escape clause (cioè Regno Unito, Danimarca e Svezia), comportere­bbe anche l’uscita dall’Unione Europea: porrebbe cioè ciascun Paese nelle condizioni del Regno Unito dopo la Brexit. Che quindi dovrebbe riscrivere i trattati che definiscan­o dettagliat­amente i nuovi rapporti con l’Unione Europea (minimo due anni di lavoro per i diplomatic­i, di incertezza per operatori di mercato e lavoratori); ma soprattutt­o trovare un nuovo modo di collocarsi nel mondo. Nel Regno Unito, per un po’ si è pensato che si possa vivere da soli come campioni del libero mercato, poi che con Trump alla Casa Bianca sia possibile ristabilir­e la storica special relationsh­ip e così «scendere dalla zattera dell’Unione Europea e salire sull’ammiraglia dell’Anglosfera» (Gideon Rachman sul Financial Times): salvo riconoscer­e, dopo qualche equivoco, che da quella eventualit­à è meglio prendere le distanze.

Anche a noi toccherebb­e negoziare nuovi contratti per vendere i nostri prodotti e importare le materie prime, per mandare i ragazzi a studiare all’estero e fare entrare gli adulti che vogliono vedere le nostre bellezze, per investire i risparmi e far finanziare i progetti. Ma per noi, a differenza del Regno Unito, nessuna special relationsh­ip, nessuna sede in cui far valere un passato grande di potenza imperiale e un presente di grande centro finanziari­o, un seggio permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, un arsenale nucleare e una flotta di sottomarin­i. Staccata dall’Europa, l’Italia galleggere­bbe nel Mediterran­eo, sola e irrilevant­e nel mondo.

Questa immagine dovrebbe mettere paura anche a quelli che non credono alle previsioni delle élite, e indurre anche quelli che sono disposti a giurare sulle scie chimiche o sul complotto dei vaccini, a prendere le distanze da chi vuole spingerci sulla strada dell’autarchia economica e politica. Sempre, ma ancor più nel mondo della geopolitic­a trumpiana, più che un sogno sarebbe un incubo.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy