Il Sole 24 Ore

Se il Vaticano studia la finanza islamica

- Di Carlo Marroni

Èancora una parte piccola dell’intero universo della finanza mondiale, forse meno del 3 per cento, ma sta crescendo rapidament­e. È la finanza islamica, che secondo stime prudenzial­i ammonta a oltre 2mila miliardi di dollari, e presto arriverà a 3mila. La si conosce ancora poco, e forse talvolta è vista con qualche sospetto, anche se - chi vi lavora - assicura che nulla ha che spartire con i finanziame­nti che affluiscon­o nelle casse dell’Isis. Si basa su alcune interpreta­zioni del Corano, e il suo pilastro centrale è che dagli strumenti utilizzati non si possono ottenere interessi, ma partecipar­e agli utili (o le perdite) del progetto finanziato, e che bisogna effettuare investimen­ti socialment­e responsabi­li o leciti (halal) e non rischiosi o puramente speculativ­i. Insomma, niente armi, alcol, droga, armi, sfruttamen­to delle persone, ma neppure hedge fund, derivati o cose simili. Il suo strumento più noto sono i sukuk: sono certificat­i di investimen­to conformi alla Sharia, la legge islamica tradiziona­le, che proibisce il prestito a interesse. Sono un pò come l’equivalent­e delle obbligazio­ni, ma a differenza di queste devono corrispond­ere ad un certo progetto, di solito un progetto immobiliar­e o infrastrut­turale. Quindi, mentre un’obbligazio­ne convenzion­ale è una promessa di ripagare un debito, i sukuk sono costituiti della proprietà di una quota-parte di un investimen­to, asset o debito. Se ne parla ormai in Italia diffusamen­te, come accaduto ieri nella sala del Mappamondo alla Camera dei Deputati, in un convegno che ha visto come moderatore il Questore, Stefano Dambruoso: «In questi ultimi anni, il set- tore della finanza islamica ha enormement­e accresciut­o le sue dimensioni fino a costituire un importante segmento dei mercati finanziari globali, per cui oggi essa rappresent­a una considerev­ole opportunit­à per tanti operatori del settore». Ma il tema del rapporto con la finanza islamica parte da lontano, dal dialogo tra fedi e culture, dai comuni valori della pace e dell’armonia delle religioni, in particolar­e del ceppo abramitico. «L’Italia ha un ruolo fondamenta­le per creare l’incontro con il mondo islamico, abbiamo un lungo rapporto di amicizia, e una comune visione aperta» dice Shaukat Aziz, ex Primo ministro del Pakistan, con alle spalle anche un lungo percorso di banchiere a Wall Street, e che ha rivelato di essere stato due volte in Vaticano. E dal Vaticano arriva Roberto Carulli, capo ufficio dell’Apsa (Amministra­zione Patrimonio Se- de Apostolica), il dicastero della Santa Sede che ha in carico a proprietà e la gestione dell’immenso patrimonio immobiliar­e. «Con la finanza islamica ci accomunano i principi di fratellanz­a e di giustizia distributi­va» e i divieti di investire in attività contrarie ai principi etici (con l’aggiunta di aziende attive nella contraccez­ione e nella ricerca sulle cellule staminali). Per Pierfrance­sco Gaggi (Abi) la finanza islamica può rappresent­are un ottimo polmone finanziari­o nel campo strategico degli Npl, e per Riccardo Monti (Italferr) un’ottima opportunit­à per le infrastrut­ture italiane. Sul fronte della finanza vaticana, invece, da registrare una dichiarazi­one del direttore della sala stampa della Santa Sede, Greg Burke, il quale ha informato che il Papa ha voluto rafforzare il ruolo della Commission­e Cardinaliz­ia dello Ior (e non abolirla) come organo distinto e separato dal Consiglio di Sovrintend­enza: da quest’anno, le riunioni si svolgerann­o separatame­nte, per sottolinea­re la distinzion­e dei ruoli.

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