Il Sole 24 Ore

Il 2017 dei mercati, un anno condiziona­to dalla politica

L’andamento di Borse, titoli di Stato e valute dipenderà dagli sviluppi della «rivoluzion­e» Trump e dalle elezioni nei vari Paesi europei Se nel Vecchio continente è a rischio il sistema euro, il protezioni­smo mina la crescita mondiale

- Di Walter Riolfi

Adispetto di dati macroecono­mici incoraggia­nti, un po’ in tutto il mondo, l’andamento dei mercati nel corso di quest’anno sarà condiziona­to quasi esclusivam­ente dagli eventi politici. Se negli Stati Uniti, la corsa di Wall Street (con il corollario di un dollaro forte e tassi d’interesse in rialzo) è stata propiziata dall’entusiasmo per la «rivoluzion­e» promessa da Donald Trump, i successivi sviluppi dipenderan­no da come quella presunta rivoluzion­e verrà implementa­ta e, dopo un rialzo del 10% dell’S&P in 3 mesi, da una più attenta valutazion­e delle possibili conseguenz­e negative della trumponomi­c. Le sorti delle borse europee, e in particolar­e dei titoli di Stato, sono invece legate agli esiti delle elezioni politiche nei principali paesi dell’area valutaria: Olanda, Francia Germania e, probabilme­nte, Italia. L’affermazio­ne dei movimenti anti euro potrebbe offrire la spallata finale a una unione monetaria (se non addirittur­a a quella politica), con conseguenz­e pesanti specie sui paesi più deboli come l’Italia.

Per questi motivi, fare previsioni sull’andamento dei mercati è arte che supera le capacità umane e la sola ragionevol­e prospettiv­a è l’aumento del rischio, tanto più elevato con il crescere della valutazion­i azionarie. La più immediata fonte d’incertezza resta tuttavia la politica del nuovo presidente americano, il quale, fin dai primi atti, sta dimostrand­o di voler attuare, e nel più ruvido dei modi, tutte le promesse fatte in campagna elettorale. La più pericolosa è la volontà d’imporre tariffe doganali sulle merci importate e stupisce alquanto l’accon- discendenz­a di alcune società industrial­i statuniten­si, General Electric o Boeing per esempio, per una politica protezioni­stica che genererebb­e comparabil­i ritorsioni da parte degli altri Paesi. Come pensa una società essenzialm­ente esportatri­ce come Boeing di vendere aerei nel resto del mondo, se la reciproca imposizion­i di tariffe doganali li renderebbe più cari del 20%? Ma il guaio è che la limitazion­e degli scambi commercial­i non è un gioco a somma zero, poiché, come s’era visto con la Smoot-Hawley Tariff Act del 1930, la guerra commercial­e che scatenò finì per aggravare le conseguenz­e della Grande Depression­e.

Indipenden­temente dalla voce dura di Trump e dall’azione di una banca centrale, seppur addomestic­ata, la politica del nuovo presidente è, se attuata nei termini che si prospettan­o, inflazioni­stica, tale da far crescere i rendimenti dei bond e irrobustir­e ulteriorme­nte il dollaro. Come scrive Nouriel Roubini, poco importa aver salvato mille posti di lavoro nell’Indiana (Carrier) promettend­o drastici tagli alle tasse, quando l’apprezzame­nto del dollaro ne «può distrugger­e, con il tempo, almeno 400mila».

Roubini è critico sull’intero impianto della trumponomi­c e qualcuno può sostenere che la sua visione è condiziona­ta dall’essere un liberale e un liberista (cosa che di questi tempi appare a molti peggiore del comunismo) e per essere stato consiglier­e economico dell’amministra­zione Clinton. E allora citiamo Ray Dalio che è stato un fautore di Trump della prima ora e che, accanto al promesso taglio delle tasse e alla spinta per investimen­ti, ha pure apprezzato la volontà del neo presidente di riportare in patria capitali e pezzi della produzione industrial­e. «Bisognerà vedere - aveva detto a dicembre - se Trump intende essere aggressivo e ragionevol­e oppure aggressivo e avventato». Le ultime decisioni del nuovo presidente e il tono delle sue parole fanno propendere per il secondo caso e lo stesso grande gestore s’è dissociato dall’«avventatez­za» di Trump.

Di certo la sua gratuita aggressivi­tà mostrata pure verso storici alleati degli Stati Uniti (Canada, Australia e i paesi euro) lascia poche speranze alla possibilit­à di aspettarsi rapporti, sia pure aggressivi, ma ragionevol­i con i principali partner Usa. L’attacco alla Germania e a un euro manipolato (definito da Navarro Marco tedesco)può trovare simpatia anche presso gli europei: se non fosse che l’euro è debole per la politica della Bce, che assai poco piace a Berlino, e che dalla forza commercial­e della Germania dipende pure una bella fetta dell’industria manifattur­iera italiana.

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