Rete e big data, i nuovi padroni della finanza
La finanza è stata la levatrice che ha trasformato in realtà quotidiana la scienza futuribile dell’hi- tech. I benefici sono stati distribuiti a una miriade di azionisti: alcuni sono divenuti miliardari, molti hanno ricevuto briciole. Ma se fino a pochi anni fa la finanza controllava il settore, ora i tempi sono maturi perché il rapporto si ribalti. Nell’epoca della disintermediazione pervasiva, che muta relazioni consolidate (non solo economiche, anche politiche), i colossi informatici che gestiscono i dati di miliardi di soggetti si preparano al passaggio da giganti borsistici a protagonisti delle transazioni retail e corporate.
Se sul web i singoli possono fare acquisti e investimenti, se grazie a internet le banche hanno ridotto i costi e migliorato i servizi, perché chi gestisce la rete dovrebbe limitarsi a offrire canali? Nove società hi-tech quotate al Nasdaq (Alphabet/Google, Amazon, Apple, Baidu, eBay, Facebook, Microsoft, Twitter e Yahoo) a fine 2016 sedevano su cash e strumenti liquidi per 410 miliardi di dollari complessivi in cerca di utilizzo. Le Banche centrali lo sanno. Il 7 e l’8 aprile 2014 la Bce ospitò a Francoforte una seminario su big data, previsioni e analisi macroeconomica. I lavori furono aperti da una relazione di Hal Varian: il professore di Berkeley e capo economista di Google dimostrò come, analizzando il flusso del motore di ricerca con serie temporali “ripulite” da filtri statistici, è possibile prevedere le tendenze di grandezze macroeconomiche, decisioni di acquisto, investimenti in abitazioni, anche comportamenti di voto. I dati sono letteralmente regalati dagli utilizzatori: una vera miniera si apre ogni giorno su motori di ricerca, marketplace, social network. Ma le ricadute di questa corsa all’oro non sono secondarie perché chi ha il potere di prevedere può usarlo in molti modi, per gestire ma anche per precedere e, forse, indirizzare. Ciò che per le banche tradizionali era impossibile o quasi, non lo è per i padroni del web.