Vicenza e Veneto Banca, i punti oscuri delle offerte
Le transazioni proposte agli azionisti sono a senso unico e lasciano mani libere alle banche I nodi Fisco e nullità
Un “accordo transattivo” o “transazione” “tombale”, nella quale non si fa mai riferimento a “danni” e al loro risarcimento, perché dall’offerta non “può essere desunto, neppure implicitamente, alcun riconoscimento di responsabilità”. È quello che sino al 15 marzo Veneto Banca e Popolare di Vicenza propongono a chi ha sottoscritto azioni o bond convertibili tra il primo gennaio 2007 e il 31 dicembre 2016. A 75 mila azionisti Veneto Banca offre il 15% del valore delle azioni, a 94mila soci la Vicenza propone 9 euro: l’offerta serve a prevenire contenziosi da centinaia di milioni. Il passaggio non è banale, così come altri di questa “offerta” la cui validità inizialmente era vincolata alla firma dell’80% degli azionisti: quota che ora non è più ritenuta vincolante.
In una “copia investitore” dell’accordo proposto il 23 gennaio da Veneto Banca a un azionista, di cui Plus24 ha ottenuto copia, il punto 5.2 specifica “Natura non novativa”: «Le parti si danno reciprocamente atto che la presente transazione ha natura non novativa». Un passaggio rilevante perché, secondo l’avvocato Marta Buffoni del foro di Novara, «è importante verificare se l’accordo proposto, che prevede un riconoscimento in denaro a fronte della rinuncia a qualsiasi altra pretesa, ha o meno effetto novativo, cioè se mantiene in vita il rapporto precedente con qualche modifica, oppure crea un rapporto nuovo. Nel primo ca- so, il cliente che fosse anche debitore della banca (per finanziamenti, prestiti, fido sul conto corrente) e, contemporaneamente, creditore della banca stessa per vicende di acquisto titoli che potrebbe ritenere impropriamente collocati, aderendo all’accordo rinuncerebbe completamente al credito e alla possibilità di farlo valere in giudizio, mentre il debito verso la banca sopravviverebbe immutato. Dunque dovrebbe essere comunque restituito senza poter più pretendere nulla».
Inoltre, secondo l’avvocato Buffoni, «la transazione che ha a oggetto un contratto illecito è nulla perché finalizzata a consentire la realizzazione di un contratto in violazione di legge. Tra queste possono essere essere comprese, ad esempio, i collocamenti di azioni in violazione del profilo di rischio Mifid, oppure avvenuta mediante una preventiva modifica ad hoc del profilo Mifid, come anche in carenza delle necessarie informazioni. In termini pratici questo significa che, se l’accordo prevedesse anche la rinuncia all’impugnazione della transazione, si potrebbe ottenere una sentenza che dichiari la nullità della transazione e ripristini i diritti iniziali del risparmiatore».
Dal canto suo, Fabio Barbieri, amministratore delegato di Utilia.org Srl, società di consulenza di Novara, afferma che «la somma proposta in pagamento è un indennizzo per questa rinuncia, quasi a rappresentare “il prezzo del silenzio”, per così dire, versato per bloccare sul nascere le cause volte ad accertare le eventuali responsabilità della banca che darebbero diritto a un risarcimento per danni sofferti di importo verosimilmente più elevato». Nel caso di Veneto Banca, inoltre, sempre secondo Barbieri «il fatto che la somma proposta sia calcolata come percentuale della perdita teorica del valore dei titoli confonde le acque e sovrappone i due concetti che, al contrario, devono rimanere ben distinti per assumere una decisione consapevole». Ma non basta: «In caso di rischio di contenzioso su ampia scala, può accadere che le proposte di accordo standardizzate non tengano conto delle particolarità del singolo caso e inducano il risparmiatore a “fare una scelta di pancia” sull’adesione come sul rifiuto. Poiché tutela del risparmio ed emotività non vanno mai d’accordo, appare opportuno valutare la proposta in modo tecnico, magari con l’aiuto di un professionista o consulente indipendente», conclude Barbieri.
Le offerte comunque vanno valutate caso per caso, perché come documentato dalle ispezioni delle autorità di vigilanRza le due banche modificarono decine di migliaia di profili Mifid degli investitori per ridurne il livello di rischio ammesso in modo da poter piazzare i loro titoli. Fronti sui quali la magistratura, oppure l’Arbitro per le controversie finanziarie della Consob potrebbero dire la loro, arrivando a una valutazione della vicenda che potrebbe (il condizionale è d’obbligo: i casi vanno vagliati a uno a uno) compensare più ampiamente eventuali danni rilevati a carico degli azionisti. Solo alla magistratura, tra l’altro, potranno rivolgersi le società di capitali azioniste: a loro è inibito l’accordo transattivo e non possono nemmeno adire l’Arbitro Consob. C’è infine la questione Isee: poiché i titoli sui quali scatterebbe la “transazione” restano degli azionisti e non sono quotati, essi entrano nelle dichiarazioni fiscali e nell’Isee (l’Indicatore della situazione economica equivalente che serve per ottenere esenzioni sul welfare) non al valore di mercato (pochi centesimi) ma a prezzo nominale, “falsando” al rialzo la loro rappresentazione patrimoniale e danneggiando ulteriormente gli azionisti in difficoltà.
Le vicende sono rilevanti: sarebbe interessante capire qual è, in merito, la posizione della Consob. Non sono offerte che ricadono sotto le norme del Testo unico della finanza, ma costituiscono comunque un precedente che potrebbe essere seguito da molti istituti di credito (ma non solo) in difficoltà.