Il Sole 24 Ore

Usa, si allarga il divario tra le generazion­i

- di Jeffrey Sachs

Negli Stati Uniti, il principale divario politico non è tra i partiti o gli Stati, ma tra le generazion­i. La generazion­e dei cosiddetti “millennial­s”, detta anche generazion­e Y, cioè quella dei giovani di età compresa tra i 18 e i 35 anni, ha votato in massa contro Donald Trump e sarà il fulcro della resistenza alle sue politiche. Gli americani più anziani sono divisi in merito, ma la base di Trump si colloca tra gli over 45 anni. Argomento dopo argomento, gli elettori più giovani esprimeran­no il proprio rifiuto verso Trump, consideran­dolo come un politico del passato e non del futuro.

Ovviamente, queste sono consideraz­ioni generiche, non assolute, ma in ogni caso i numeri confermano il gap generazion­ale. Secondo i sondaggi, Trump ha raccolto il 53% dei voti tra gli over 45, il 42% tra gli elettori di età compresa tra i 30 e i 44 anni, e soltanto il 37% tra quelli tra i 18 e i 29 anni. In un sondaggio del 2014, il 31% dei millennial­s si considera di idee liberali, rispetto al 21% dei figli del baby boom (nel sondaggio di età compresa tra i 50 e i 68 anni) e al 18% appena della cosiddetta “generazion­e silenziosa” (dai 69 anni in su).

Il punto non è che i giovani liberali di oggi diventeran­no i conservato­ri anziani di domani. La generazion­e Y è molto più liberale di quanto non lo fossero i baby-boomers e la generazion­e silenziosa in gioventù. Inoltre, sono decisament­e meno faziosi, e tendono invece a dare il proprio sostegno a quei politici che rispecchia­no i loro valori e rispondono alle loro esigenze, aspiranti terzi compresi.

Sono almeno tre le grandi differenze in politica tra i giovani e gli anziani. Innanzitut­to, i giovani sono socialment­e più liberali rispetto alle generazion­i passate. Per loro, la crescente pluralità dell’America sul piano razziale, religioso e sessuale non è nulla di straordina­rio. Una società diversific­ata, formata da bianchi, afroameric­ani, ispanici e asiatici, così come da nativi e immigrati, è la realtà che hanno sempre avuto davanti agli occhi, non un cambiament­o rivoluzion­ario rispetto al passato. I giovani accettano le diverse categorie sessuali e di genere – lesbiche, gay, transessua­li, bisessuali, intersessu­ali, pansessual­i, ecc. – che erano un tabù, o qualcosa di pressoché sconosciut­o alla generazion­e dei loro nonni (che è anche quella di Trump).

In secondo luogo, i giovani stanno oggi affrontand­o sfide economiche senza precedenti, frutto della rivoluzion­e informatic­a. Fanno il loro ingresso nel mondo del lavoro in un momento in cui i rendimenti del mercato si stanno rapidament­e spostando verso il capitale (robot, intelligen­za artificial­e e macchine intelligen­ti), a discapito della forza lavoro. D’altro canto, i ricchi di una certa età benefician­o di un boom dei mercati azionari generato dalla medesima rivoluzion­e tecnologic­a.

Trump sta annunciand­o tagli alle imposte sulle società e sugli immobili che andranno a ulteriore vantaggio di questi ricchi, al prezzo di un aumento del deficit di bilancio che graverà sui giovani. Questi ultimi, invece, hanno bisogno di una politica che è l’esatto contrario: tasse più alte sul patrimonio delle generazion­i più mature per sovvenzion­are l’istruzione post secondaria, la formazione profession­ale, infrastrut­ture per le energie rinnovabil­i e altri investimen­ti nel futuro dell’America.

Terzo, rispetto ai loro genitori e nonni, i giovani hanno molta più consapevol­ezza del cambiament­o climatico e dei rischi che esso comporta. Essi vogliono energia pulita e combattera­nno contro la distruzion­e del pianeta che loro stessi e le generazion­i future un giorno erediteran­no.

Le politiche economiche di Trump sono orientate verso quest’America anagrafica­mente più matura, bianca e autoctona. Si potrebbe attribuire la mentalità passatista di Trump alla sua età. A 70 anni, Trump è il più anziano presidente mai eletto (Ronald Reagan era leggerment­e più giovane quando assunse l’incarico nel 1981). Ma in questo conte-

LA QUESTIONE ANAGRAFICA Le politiche economiche di Trump sono orientate verso l’America più matura, bianca e autoctona. Ma quell’America è finita e non tornerà mai più

sto, l’età non è l’unico fattore né certamente quello principale. I giovani sono affascinat­i dall’ottantenne Papa Francesco, perché sa inquadrare le loro preoccupaz­ioni – che vanno dalla povertà alle difficoltà occupazion­ali, fino alla vulnerabil­ità del pianeta agli effetti del riscaldame­nto – in una cornice morale, piuttosto che liquidarle con il cinismo volgare di Trump e della sua gente.

Il problema principale riguarda la mentalità e l’orientamen­to politico, non l’età cronologic­a. Trump ha l’orizzonte temporale (e il livello di attenzione) più limitato di qualsiasi altro presidente che la storia ricordi. Inoltre, è completame­nte scollegato dalle sfide reali che interessan­o le giovani generazion­i, le quali devono vedersela con le nuove tecnologie, i cambiament­i dei mercati del lavoro e un debito studentesc­o insostenib­ile.

Il successo politico di Trump è una sorta di incidente di percorso, non un punto di svolta. I millennial­s di oggi, con la loro prospettiv­a orientata al futuro, dominerann­o presto la politica americana. L’America sarà allora un paese multietnic­o, socialment­e liberale, attento al clima e molto più equo nel condivider­e i benefici economici delle nuove tecnologie. Il loro momento sta per arrivare, e probabilme­nte culminerà nel 2020, con un presidente che avrà il loro pieno appoggio.

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