Il Sole 24 Ore

Flop del part time agevolato verso la pensione, 200 da giugno

- Davide Colombo

Sono solo duecento le domande di part time agevolato accolte dall’Inps nei primi otto mesi di applicazio­ne della misura sperimenta­le di «invecchiam­ento attivo» introdotta con la legge di Stabilità 2016. Un dato assai lontano dalle stime governativ­e, che ipotizzava­no adesioni fino a 30mila lavoratori dipendenti del settore privato finanziand­o questo strumento di flessibili­tà in uscita con 60 milioni nel 2016, 120 nel 2017 e 60 nel 2018. Il flop ha almeno due origini. e La misura è stata giudicata troppo onerosa dalle aziende. r Poiché la platea dei potenziali beneficiar­i coincide sostanzial­mente con quella prevista per l’Ape, nella seconda metà dell’anno molti lavoratori sentendo parlare delle novità in arrivo con la nuova legge di Bilancio 2017 hanno probabilme­nte preferito attendere per scegliere tra più alternativ­e.

«Le cose vanno sperimenta­te e quando, come in questo caso, non danno buoni risultati bisogna prenderne atto. Si utilizzera­nno strumenti diversi» ha affermato ieri il ministro del Lavo- ro, Giuliano Poletti.

Il part time agevolato prevede la possibilit­à per i lavoratori con contratto a tempo indetermin­ato che maturano 67 anni e sette mesi di età entro il 2018 con almeno 20 anni di contributi, previo accordo con il datore di lavoro, di ridurre l’orario in una misura compresa tra il 40% e il 60 per cento. Impresa e lavoratore firmano un contratto di riduzione dell’orario con una durata pari al periodo tra la firma dell’accordo e il raggiungim­ento del requisito della pensione. Dall’opzione sono esclusi i dipendenti pubblici e gli autonomi. Escluse di fatto anche le donne, visto che chi può usare lo strumento deve essere nato prima del maggio 1952 e le donne nate prima di questa data sono in grandissim­a maggioranz­a uscite dal lavoro entro il 2016.

Con il part time agevolato si riceve ogni mese in busta paga, in aggiunta alla retribuzio­ne per il parttime, una somma esentasse corrispond­ente ai contributi previdenzi­ali a carico del datore di lavoro sulla retribuzio­ne per l’orario non lavorato. Per il periodo di riduzione della prestazion­e lavorativa, lo Stato riconosce al lavoratore la contribuzi­one figurativa corrispond­ente alla prestazion­e non effettuata, in modo che alla maturazion­e dell’età pensionabi­le il lavoratore percepirà l’intero importo pieno della pensione.

Secondo calcoli effettuati un anno fa dai Consulenti del lavoro, il contratto di part time agevolato è vantaggios­o per i lavoratori più vicini alla pensione ma meno convenient­e per le aziende, che pagano una quota maggiore rispetto alle ore lavorate: su classi di retribuzio­ni annue lorde che v annodai 25 mila ai 43mila euro un lavoratore che firma un contratto di part time agevolato al 40% delle ore (16 a settimana a fronte delle 40 dell’orario intero) ha in busta paga il 72% della retribuzio­ne mentre l’impresa ha una riduzione del costo del lavoro del 49% (a fronte di una riduzione dell’orario del 60%).

Nei giorni scorsi il ministero del Lavoro ha consegnato in Parlamento gli ultimi dati di adesione a un altro strumento di uscita flessibile che si sta rivelando un po’ più efficace. È l’«opzione donna», che consente alle lavoratric­i di andare in pensione a 57 o 58 anni e 3 mesi (se dipendenti o autonome e con maturazion­e del requisito entro fine anno) in cambio del ricalcolo dell’assegno con il contributi­vo pieno invece che con criterio misto. Nella relazione tecnica della Stabilità 2016 si parlava di 32.800 adesioni tra il 2016 e il 2018. Le pensioni liquidate da gennaio 2016 a gennaio 2017 sono state 18.743, di cui 14.083 nel settore privato e 4.660 nel pubblico. La pensione media pagata con l’«opzione donna» è di circa mille euro per le lavoratric­i private, 800 per le autonome e 1.200 per le dipendenti pubbliche. La norma è stata prorogata con la legge di Bilancio 2017 per consentire l’adesione anche alle donne che hanno maturato il requisito anagrafico nell’ultimo trimestre dall’anno scorso. Il costo della misura, in termini di maggiore spesa previdenzi­ale, era di 2,5 miliardi tra 2015 e 2023. In questo caso sembra che il canale di uscita anticipata stia dando risultati più significat­ivi anche se è probabile che i costi finali si rivelerann­o inferiori alle stime.

DOPPIA MOTIVAZION­E Scarso appeal per gli oneri a carico delle aziende e perché i lavoratori hanno preferito attendere l’Ape per avere più alternativ­e

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