Fillon resiste, con Macron sarà l’anti Le Pen
IL CANDIDATO DELLA DESTRA SI SCUSA PER IL PENELOPEGATE E RILANCIA
«Non lascerò. E anzi la mia determinazione è più forte che mai». François Fillon, il candidato della destra alle presidenziali francesi, ha concluso con queste parole la conferenza stampa di ieri pomeriggio, la prima da quando sono scoppiate le polemiche relative al lavoro da assistente parlamentare della moglie Penelope. Sul quale la magistratura, che lo sospetta fittizio, sta indagando. Con un’inchiesta che si è via via allargata alla collaborazione dei figli “avvocati”, quando ancora erano studenti, all’attività della socità di consulenza dell’ex premier e ai soldi incassati dalla moglie per un presunto lavoro presso la rivista di un amico di famiglia.
Una prestazione finalmente convincente, quella di Fillon. Che si è scusato con i francesi e ha am- messo pubblicamente l’errore di aver capito in ritardo l’impatto delle rivelazioni sull’opinione pubblica. E che ieri sera ha pubblicato sul sito della campagna molti dettagli sulle retribuzioni, le dichiarazioni fiscali, le proprietà immobiliari, i conti correnti. Un’operazione di trasparenza che certo avrebbe dovuto essere realizzata più tempestivamente, senza aspettare quasi due settimane.
«Mia moglie è stata una vera compagna di lavoro – ha spiegato Fillon - una collaboratrice prezio- sa. Lo stesso vale per i miei figli. Quello che abbiamo fatto insieme è dichiarato e legale. Mi rendo però conto che sul piano morale quello che una volta era normale ora non è più accettato dall’opinione pubblica. Ho commesso un errore e chiedo scusa ai francesi. Ci ho messo del tempo a capirlo ma resto un personaggio politico irreprensibile, come la giustizia lo accerterà, ne sono certo».
«Ora però – ha proseguito l’ex premier andando al contrattacco – parliamo di politica, del programma per risanare il Paese. Perché a decidere non può essere il tribunale mediatico che da dieci giorni ha allestito un vero e proprio linciaggio che pone un vero problema democratico. Non fatevi rubare il voto». E, rivolto ai frondisti del proprio partito che stanno lavorando a un “piano B”, ha aggiunto: «Nessuna istanza può rimettere in discussione l’esito delle primarie. Non ci sono alternative. Io sono il candidato e se vogliamo vincere dobbiamo essere compatti».
Saranno i sondaggi dei prossimi giorni a dire se Fillon è riuscito a dissipare i dubbi e a rilanciare la propria campagna elettorale. Forte appunto della legittimazione che gli viene dalla vittoria alle primarie e del fatto che il suo partito è profondamente diviso sulla prospettiva di un cambio di cavallo in corsa.
Sondaggi che per ora gli assegnano il terzo posto.
Dietro la star del postpartitismo, l’indipendente Emmanuel Macron. Che sabato scorso a Lione – in una scenografia da concerto rock – ha fornito l’ennesima prova di come si possano raccogliere consensi personalizzando al massimo la campagna, scommettendo sulla voglia degli elettori di fare piazza pulita del “vecchio” e limitandosi a generici slogan sulla contrapposizione tra “progressisti e conservatori”. In attesa di un programma che dovrebbe arrivare tra fine febbraio e inizio marzo.
E soprattutto dietro Marine Le Pen. Che si conferma solidamente in testa al primo turno e che domenica, sempre a Lione, ha rilanciato le sue parole d’ordine: riconquista della sovranità nazionale, referendum sull’uscita dall’euro e dall’Unione europea, abbandono di Schengen e ristabilimento delle frontiere, protezionismo (o «patriottismo economico» che dir si voglia, con una tassa del 3% sulle importazioni), preferenza nazionale (nei confronti delle imprese, che nelle commesse pubbliche saranno privilegiate rispetto a quelle estere, e nei confronti dei lavoratori, con una tassa sulle assunzioni di stranieri), l’uscita dal comando integrato della Nato, lo stop a qualsiasi accordo internazionale di libero scambio, una Politica agricola francese che consenta di sovvenzionare liberamente le imprese nazionali. Il tutto dentro il quadro complessivo di uno scontro tra seguaci della globalizzazione (Macron) e «patrioti».
Sondaggi che verranno seguiti con grande attenzione anche dai mercati. I quali - preoccupati della possibilità di una vittoria dell’estrema destra, vista la grande fragilità di Fillon e la vaghezza che ancora circonda Macron - hanno iniziato a integrare un rischio politico nella valutazione della Francia. E quindi dei suoi titoli di debito. Il cui spread, cioè il differenziale rispetto ai decennali tedeschi, si è impennato, raddoppiando in pochi giorni e toccando i massimi da quattro anni (solo ieri l’aumento è stato del 21%, a quota 77 punti). Anche se sui titoli a breve Parigi ha appena realizzato con successo un’emissione da 7,3 miliardi con rendimenti (negativi) in calo.
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