Aumento UniCredit, realizzi al debutto
Titolo sotto pressione (-6,8%), trascinato al ribasso dai diritti di opzione (-18,8%)
Nel primo giorno dell’aumento di capitale da 13 miliardi, i titoli e i diritti UniCredit soffrono. Colpa di una giornata contrassegnata da un ritorno delle tensioni sullo spread, ma anche di motivazioni tecniche che certo non hanno aiutato a tenere a galla la banca in Borsa.
Va detto che il titolo si è mosso sostanzialmente allineato ripetto ai diritti. Le azioni - che dopo lo stacco del diritto di opzione sono state immesse sul mercato a 13,11 euro - hanno infatti lasciato sul terreno il 6,8% a 12,21 euro con volumi tripli rispetto alla media, mentre il diritto di opzione è affondato del 18,85%, a 10,59 euro. La differenza tra le percentuali è solo ottica: poichè l’aumento di capitale prevede che ogni 5 opzioni si abbia diritto a 13 azioni, i diritti si muovono con una leva di 2,6 volte.
N el primo giorno dell’aumento di capitale da 13 miliardi, i titoli e i diritti UniCredit soffrono. Colpa di una giornata contrassegnata da un ritorno delle tensioni sullo spread, ma anche di motivazioni tecniche che certo non hanno aiutato a tenere a galla la banca in Borsa.
Va detto che il titolo si è mosso sostanzialmente allineato ripetto ai diritti. Le azioni - che dopo lo stacco del diritto di opzione sono state immesse sul mercato a 13,11 euro - hanno infatti lasciato sul terreno il 6,8% a 12,21 euro con volumi tripli rispetto alla media, mentre il diritto di opzione è affondato del 18,85%, a 10,59 euro. La differenza tra le percentuali è solo ottica: poichè l’aumento di capitale prevede che ogni 5 opzioni si abbia diritto a 13 azioni, i diritti si muovono con una leva di 2,6 volte. «L’andamento tra azioni e diritti è sostanzialmente allineato e non dà spazio a particolari arbitraggi», spiegava ieri un gestore di uno dei principali fondi azionari italiani.
Da un punto di vista macro, a non aiutare il clima sul titolo è stato il riaccendersi delle tensioni sui debiti periferici, come dimostra la riapertura dello spread tra BTp e Bund oltre 200 punti base, ai massimi da tre anni. Da una parte ci sono state le dichiarazioni di Marine Le Pen, che ha evocato il rischio di un’uscita dall’euro in caso di vittoria alle presidenziali. Dall’altra potrebbero aver avuto un peso le affermazioni del week end di Angela Merkel, secondo cui il futuro dell’Unione europea potrebbe essere a «differenti velocità». Ce n’era abbastanza, insomma, per far scattare un po’ di vendite sui mercati e sul debito dei paesi periferici.
Inevitabile dunque che in questo contesto ieri a farne le spese sia stata la banca guidata da Jean Pierre Mustier, che oggi è in cima alle attenzioni degli investitori internazionali. A conferma del fatto che le vicende politiche possano avere avuto un peso nell’andamento di ieri basti pensare che venerdì il titolo Unicredit chiudeva sostanzialmente invariato. Eppure di motivi per vendere ce n’erano pure, visto che, come segnala qualche operatore, proprio venerdì gli investitori investiti sull’indice italiano facevano scattare il ribilanciamento (con relativa vendita) di azioni UniCredit così da mantenere inalterata l’esposizione complessiva.
Da un punto di vista tecnico, dietro il calo di ieri potrebbero piuttosto esserci altre motivazioni. La prima delle quali, come è accaduto più volte in altri aumenti di capitale recenti, ha forse a che fare con il modus operandi classico degli operatori coinvolti con operazioni di ricapitalizzazione. Tradizionalmente gli investitori che non vogliono partecipare all’aumento scelgono di vendere i diritti nei primi giorni dell’operazione . Nel gennaio 2012, quando scattò il precedente aumento di capitale di UniCredit da 7,5 miliardi, il titolo chiuse la seduta con un ribasso del 12,8% mentre i diritti scivolarono del 65,4%.
Agli azionisti classici di UniCredit, in questo senso, ieri potrebbero essersi aggiunti i detentori dei cashes, strumenti finanziari che danno la facoltà ai sottoscrittori di convertirli in azioni ordinarie tramite l’esercizio dei diritti d’opzione. Chi investe in cashes è tradizionalmente un investitori di debito e, anche in virtù della sua avversione dall’equity, potrebbe aver avuto gioco a fare arbitraggio e vendere diritti. Non è peraltro da escludere che alcuni dei grandi (come dei piccoli azionisti) possano aver venduto parte dei diritti per avere così la liquidità da investire nell’acquisto diretto del titolo.
Per poter fare un bilancio finale dell’andamento della ricapitalizzazione della banca occorrerà aspettare fino al 10 marzo, termine massimo per sottoscrivere l’inoptato. Non è escluso che chi punta ad entrare o a rafforzarsi nel capitale lo voglia fare ad operazione avanzata, magari sfruttando una volatilità a cui il surriscaldamento del clima politico sembra dare un contributo di non poco conto.
L’operazione, d’altra parte, rimane comunque blindata visto che il consorzio formato da una trentina di banche ha già sottoscritto il contratto di garanzia. I diritti di opzione possono essere scambiati fino al 17 febbraio, mentre per il loro esercizio c’è tempo fino al 23 febbraiobbra 2017.
LE MOSSE DEGLI INVESTITORI La seduta negativa di Borsa condiziona la prima giornata dell’aumento da 13 miliardi, i realizzi di chi non sottoscrive Il ruolo dei detentori dei cashes