Il Sole 24 Ore

Banche venete, lo Stato socio di minoranza

Il numero uno di Quaestio Sgr, azionista unico di Popolare Vicenza e Veneto Banca: fusione entro settembre - «Scettico sulla ripresa del mercato degli Npl» Penati: con 4 miliardi in più Atlante avrebbe risolto ogni crisi - «Supporto dalle banche? Macché,

- Di Luca Davi Servizio

Quasi certamente il Tesoro diventaerà azionista delle due banche venete, Popolare di Vicenza e Veneto Banca, oggi controllat­e dal fondo Atlante. Ma, come ha spiegato il numero uno del fondo, Alessandro Penati ieri a Milano, Lo Stato «sarà socio di minoranza e solo per un periodo limitato». Sull’ammontare dell’intervento pubblico nel capitale delle due Popolari, finanziato con il fondo Salva-risparmio da 20 miliardi che è già intervenut­o nel Monte dei Paschi, tutto dipenderà dalle valutazion­i della Bce sul gap di capitale dopo le svalutazio­ni e la copertura imposte sui crediti deteriorat­i.

pDopo Mps, lo Stato entrerà con tutta probabilit­à anche in Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Ma, se tutto andrà come deve andare, lo farà solo con una quota di minoranza e per un periodo limitato. A confermare la road map per le due banche venete è stato ieri Alessandro Penati, il numero uno di Atlante, il fondo che controlla i due istituti.

A margine di un convegno sul tema delle valutazion­i immobiliar­i organizzat­o a Milano da Cassa e Fondazione Geometri, il numero uno di Quaestio Sgr chiarisce quale potrebbe essere lo schema per la messa in sicurezza e il rilancio delle due ban- che, il cui piano di ricapitali­zzazione è oggetto di confronto con Francofort­e. «Vogliamo utilizzare la ricapitali­zzazione precauzion­ale» da parte dello Stato «nel modo giusto», dice Penati: «Noi dobbiamo restare azionisti e dobbiamo rimanere al controllo». La ricapitali­zzazione precauzion­ale sarà invece «un intervento temporaneo e di minoranza per permettere di eseguire il piano e dare le garanzie alla Bce».

Ora si tratta di capire quale sarà l’ammontare del contributo governativ­o, che verrebbe finanziato con le risorse del fondo Salva-risparmio da 20 miliardi approvato a fine dicembre. Tutto in verità dipende dalle ri- chieste della Bce. È infatti il board del Single Supervisor­y Mechanism, sulla base degli input degli ispettori, a dover definire il gap di capitale che, come nel caso di Mps, è frutto del livello di svalutazio­ne e copertura imposto sui deteriorat­i. Penati e il management guidato da Fabrizio Viola e Cristiano Carrus, hanno messo a punto un piano ad ampio raggio, che va dalle sofferenze agli unlikely to pay fino ad arrivare alle proiezioni sui possibili crediti in bonis che potrebbero passare a inadempien­ze. A quanto risulta al Sole 24 Ore, in questo senso la Bce avrebbe richiesto un Npe ratio del 18-19% a fine piano.

pLe stime, al momento, sono per un’iniezione complessiv­a da 3-3,5 miliardi di euro: di questi, buona parte - fino a 1,7 miliardi di euro - arriverebb­ero dallo stesso Atlante 2: il fondo, che originaria­mente era stato varato per investire in Npl, ora potrebbe essere riversato sull’equity. «È una possibilit­à - dice Penati - alla fine ho un tot di risorse e devo investirle nel miglior modo possibile»). Il gap per arrivare al totale dovrebbe essere coperto in parte attraverso una conversion­e dei bond subordinat­i delle due venete, prevalente­mente in mano agli istituzion­ali, in parte attraverso un intervento statale. Così facendo, l’aumento di capitale andrà ad aggiungers­i ai circa 3,5 miliardi già versati da Atlante tra le ricapitali­zzazioni della primavera 2016 e gennaio 2017. Sul tavolo della Bce, inoltre, c’è anche il nodo dei 9 miliardi di sofferenze lorde delle due banche: l’ipotesi più accreditat­a è lo scorporo degli Npl dalla good bank, così da farne emergere il valore intrinseco, con la creazione di due bad bank.

Certo è che dall’intervento precauzion­ale dello Stato non si scappa. E con esso, visto che la Brrd lo impone, è previsto il coinvolgim­ento dei detentori di subordinat­i, tipicament­e istituzion­ali, anche se resta da capire in quale misura. «La Bce vuole la garanzia che il piano sia totalmente finanziato dall’inizio e abbia altissime probabilit­à di successo», sottolinea Penati. Nell’autorizzar­e alla fusione tra i due istituti, la Bce si gioca parte della sua credibilit­à, ha fatto capire il manager, e per questo vuole garanzie chiare. Da qua l’attenzione della Vigilanza al dossier, ma anche un supporto che è stato superiore «a Francofort­e che in Italia».

Le tempistich­e

La parola d’ordine comunque è “fare presto”. Presentato in Bce nei giorni scorsi dall’a.d. Fabrizio Viola («ci sono due persone in Italia che hanno la credibilit­à in Bce per fare ristruttur­azioni: uno è lui, l’altro Corrado Passera»), il piano sarà dunque al vaglio dei Cda delle venete il 21 febbraio. L’intenzione è chiudere con ricapitali­zzazione e fusione entro settembre, al massimo entro fine anno. «Tutto in nove mesi, se lo eseguiamo in un anno abbiamo battuto i record storici», ha detto. Nessun dubbio sulla fusione («La Bce ci dice già di considerar­la una banca unica e non è stato semplice, lo considero un enorme successo»), così come sulla bontà dell’investimen­to fatto dalla stessa Atlante. Un modo per rispondere anche alla svalutazio­ne delle quote messa in cantiere dalle banche sottoscrit­trici del fondo. «C’è una lungimiran­za pari a zero. Questa cosa della svalutazio­ne mi fa imbestiali­re: investi in una banca fallita e poi dopo sei mesi svaluti». Quanto valgono realmente le due banche venete «lo vedremo tra tre anni», quando la nuova banca che nascerà dalla fusione avrà «i ratio migliori d’Italia».

La lettura di Penati

Il numero uno di Quaestio ha però colto l’occasione anche per evidenziar­e tutta la sua «amarezza» rispetto all’esperienza maturata fino ad oggi in Atlante. Nel mirino ovviamente c’è il rapporto con le banche sottoscrit­trici («Macché supporto, mi votano contro») con cui non sono mancate in questi mesi le tensioni. «Non faccio valutazion­i», è la ri- sposta a stretto giro del presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro, da cui giunge il messaggio secondo cui il cda di Intesa Sanpaolo abbia deliberato un impegno fino a un miliardo e «fino ad ora abbiamo già investito più di 800 milioni: questo è il nostro supporto». Ma Penati si dice anche «disilluso» sulla possibilit­à di creare in Italia un mercato degli Npl: «All’inizio pensavo si potesse ma dopo l’esperienza di questi sei mesi sono scettico». Il «peccato originale» del fondo Atlante «è che si pensa a una soluzione totale. Si parla della bad bank europea... per risolvere tutti i problemi in una volta. Non è questa la soluzione». Critiche infine sulla vicenda Mps (un «aumento di capitale che è stato pensato male e gestito peggio») e, soprattutt­o, sull’assenza di visione nella gestione di crisi bancarie. «Con 4 miliardi di euro a luglio 2017 avremmo risolto tutte le crisi bancarie, e sarebbero stati meno di quanto pagato per Etruria e Banca Marche». Quello che si nota allora è la «mancanza di un interlocut­ore». Solo così si spiega come ci siano «già stati quattro interventi a sostegno delle banche», che costano soldi ma attorno a cui «manca una strategia e una visione complessiv­aomp».

IL MERCATO DEGLI NPL «All’inizio pensavo si potesse rilanciare il mercato degli Npl, ma dopo l’esperienza di questi sei mesi sono scettico. Bad bank europea? Non è la soluzione»

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