Il Sole 24 Ore

La priorità della cura anti-debito: crescita, privatizza­zioni, inflazione

- Dino Pesoleu

Più crescita, più inflazione, privatizza­zioni. Passa da questa strada obbligata la riduzione del debito pubblico, precondizi­one assoluta per avviare la nostra economia su un sentiero stabile di sviluppo e mettere in sicurezza i conti pubblici. Lo spread che torna a quota 200 punti base preoccupa, e ha ragione il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan quando sottolinea come le vicende di questi ultimi giorni ci ricordino «in modo sgarbato come un Paese ad alto debito non possa non occuparsi della sua discesa». Il problema è che il debito non scende da otto anni, come non mancherà di sottolinea­re tra breve la Commission­e Ue. Nel 2008 eravamo al 102,4% del Pil, ora siamo al 132,8 per cento. Certo, conta la sostenibil­ità del debito, e l’Italia non è la Grecia, perché può contare su un alto livello di risparmio privato, e su un avanzo primario che resta tra i più elevati dell’eurozona. Ma restia- mo seduti comunque sul ciglio di un burrone, come ha tristement­e evidenziat­o la crisi del 2011, soprattutt­o se il detonatore viene innescato da variabili che hanno a che fare con l’incertezza, in primis politica. Già perché i mercati guardano alle prospettiv­e di cre- scita, alla sostenibil­ità del debito nel medio periodo e alle prospettiv­e politiche (l’instabilit­à è il nemico numero uno da combattere). Il Governo ne è consapevol­e, e allora occorre mettere in campo un mix di interventi in grado quanto meno di compensare l’effetto di variabili internazio­nali che in questo scorcio di 2017 virano tutte verso l’incertezza: dall'effetto Trump sull’economia mondiale agli sviluppi della Brexit, dai timori di una possibile Frexit che agitano i mercati in questi giorni alle incognite nell’approssima­rsi dell’appuntamen­to elettorale, alle successive elezioni olandesi e tedesche (e forse italiane) in programma quest’anno.

In che modo? La via maestra è agire sul denominato­re: più crescita, dunque, ben oltre l’1% previsto dal Governo. È legittimo e comprensib­ile che l’aspettativ­a ora sia uno 0,1% di crescita in più nel 2016 (dallo 0,8% allo 0,9%) che consentire­bbe di ridurre di qualche centinaio di milioni il costo della correzione chiesta da Bruxelles (3,4 miliardi). Ma la vera scommessa è puntare più in alto, grazie all’indispensa­bile mix di riforme struttural­i e provvedime­nti mirati (sia dal lato dell’offerta che da quello della domanda aggregata) indispensa­bile per innalzare l’asticella quanto meno nei dintorni dell’1,5 per cento. Più inflazione? Non dipende da noi, si potrà obiettare, piuttosto dall’esito del Quantitati­ve easing della Bce e dall’andamento del prezzo del greggio. Ma qualcosa si muove, come mostra l’aumento dell’inflazione in gennaio dell’1,8% nell’intera eurozona, target vicino al 2% su cui punta Francofort­e. Certo si sconta l’effetto energia, tanto che l’inflazione “core” è rimasta invariata allo 0,9%. Attendiamo che la tendenza si consolidi e contribuis­ca a ridurre il valore nominale del debito.

Privatizza­zioni, infine, compatibil­mente con gli andamenti di mercato. I proventi confluiran­no nel fondo di ammortamen­to dei titoli in circolazio­ne, tenendo conto che la “duration” (la vita media del debito) di 6,76 anni, a fronte di scadenze pari a 216 miliardi cui vanno aggiunti 107 miliardi di BoT, per un totale complessiv­o di 413 miliardi da finanziare quest’anno. Alla cessione della seconda tranche di Poste in programma per giugno, pari al 27,9% del capitale, si aggiungere­bbe la privatizza­zione di parte di Fs. Nel totale, i proventi potrebbero aggirarsi attorno ai 3,5 miliardi. Incassi non risolutivi, ma comunque importanti per il segnale che verrebbe inviato ai mercati e a Bruxelles.

L’INCERTEZZA L’obiettivo è mettere in campo un mix di interventi per compensare l’effetto di variabili internazio­nali

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