Il Sole 24 Ore

Chiesta proroga ed estensione dello «split payment» Iva

- G.Tr.

Con la proroga triennale per lo split payment e la sua possibile estensione oltre i confini attuali, chiesta ieri dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan alla commission­e europea, arriva la prima mossa operativa della manovra di aggiustame­nto da 3,4 miliardi (2 decimali di Pil) messa in agenda per evitare il rischio di procedura d’infrazione.

Lo split payment, in base al quale la Pubblica amministra­zione che acquista beni e servizi dai privati versa l’Iva direttamen­te allo Stato e non al venditore, è fra le misure antievasio­ne che secondo l’Economia «hanno ottenuto grande successo» in termini di raccolta delle entrate e che possono tornare utili anche per il nuovo sforzo chiesto dalla Ue. Il suo omologo nel settore privato, il reverse charge, ha lo stesso effetto ma non sarà toccato dalla correzione in arrivo.

La lotta all’evasione Iva, secondo la strategia e il calendario ribaditi ancora ieri da Padoan, dovrà portare un miliardo aggiuntivo e sarà tradotta in norma nell’ultima parte della correzione in due tempi, che si chiuderà entro la fine di aprile ma con tutta probabilit­à (le valutazion­i sono in corso) sfocerà in un primo provvedime­nto già nelle prossime settimane.

Sullo split payment, la mossa è duplice. Prima di tutto il governo chiede al governo di estendere fino al 2020 la deroga alle regole normali dell’Iva che per il momento scade a fine 2017. Il semplice allungamen­to di una finestra già aperta serve a rendere più duraturi gli effetti in termini di maggior gettito garantiti dal meccanismo (circa 10 miliardi nel 2016), ma non può aiutare a correggere i conti 2017 che già poggiano anche sullo split. A questa seconda esigenza, più urgente, risponde i nvece la seconda mossa, che chiede alla commission­e la possibilit­à di estendere il meccanismo a «soggetti e transazion­i» finora escluse dall’avvio italiano dello split payment. In questo caso, i tecnici guardano prima di tutto all’applicazio­ne dell’inversione contabile anche nei rapporti commercial­i con le società pubbliche (come anticipato sul Sole 24 Ore del 2 febbraio), almeno nei settori in cui questa strada è più percorribi­le.

Per il resto, la composizio­ne dell’aggiustame­nto indicata nella lettera inviata ieri a Bruxelles conferma i calcoli dei giorni scorsi basati sulle cifre di massima indicate da Padoan a inizio febbraio.

La composizio­ne dell’aggiustame­nto è fatta per tre quarti da maggiori entrate e per un quarto da maggiori uscite. Fra queste il 60%, cioè circa 1,5 miliardi, arriverann­o dalle accise e da «altre imposte indirette» (ma non gli aumenti delle aliquote Iva, espressame­nte esclusi dal governo). L’altro quarto dello sforzo indicato da Bruxelles andrà invece portato avanti sul versante delle spese: per il 90% (800 milioni circa) l’impegno sarà a carico dei tagli ai ministeri, mentre il centinaio di milioni che servono a chiudere il conto dovrebbero arrivare dall’intervento su crediti d’imposta settoriali (escluso qualsiasi taglio alle agevolazio­ni fiscali). A meno che, ovviamente, alla fine si riesca a limare il conto di qualche centinaio di milioni, magari grazie a indicatori sul Pil più favorevoli del previsto. In quel caso, a ridursi sarebbe prima di tutto il conto delle accise.

LA DOPPIA RICHIESTA Estendere fino al 2020 la deroga che scade nel 2017 e includere soggetti e transazion­i finora esclusi

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