Il Sole 24 Ore

Bond europei ancora sotto pressione

I titoli periferici tentano il recupero ma poi ricomincia­no le vendite: spread a 201 punti - Borse deboli

- Andrea Franceschi

D opo una giornata ad alta tensione come quella di lunedì ieri sembrava che sui titoli governativ­i dell’Eurozona ci fosse lo spazio per un recupero. Così è stato ma solo per poche ore. Il rendimento del BTp, dopo essere sceso fino al 2,31% nel corso della seduta, è tornato a salire nel finale di seduta per chiudere a quota 2,38% sui massimi da luglio 2015. Stesse oscillazio­ni per lo spread Italia-Germania BTp e Bund che ha chiuso a quota 201 punti dopo aver toccato nel corso della seduta un nuovo massimo da febbraio 2014 a 203 punti base. Forti oscillazio­ni si sono viste poi su rendimenti e spread della Francia che continua a pagare l’incertezza del mercato in vista del delicato test elettorale. Il differenzi­ale di rendimento tra i Bund tedeschi e glo Oat francesi ha superato ieri quota 78. Nuovo record da settembre 2012. Una fiammata che si è registrata nei primi minuti di contrattaz­ione e che è si è ridotta di solo un paio di punti nel finale di seduta. I credit default swap a 5 sul debito francese (derivati che funzionano come polizze di assicurazi­one contro il rischio di insolvenza del Paese) viaggiano a 49 punti base. Sui massimi dal post-Brexit.

I tassi di interesse dei titoli di Stato dell’Eurozona in questi anni sono scesi ai minimi storici grazie al programma di stimoli monetari (Quantitati­ve easing). Benché si sia arrivati al paradosso di avere tassi negativi (bond che costano una commission­e a chi li detiene invece che dare interessi) in questi anni chi ha scommesso sui titoli «soverei- gn» dell’area euro ci ha guadagnato bene perché il prezzo (che ha un andamento inversamen­te proporzion­ale al tasso) è salito in media dell’ 31% nell’ultimo quinquenni­o. Questo trend si è bruscament­e invertito negli ultimi mesi del 2016 e in queste prime settimane del 2017. Da inizio anno infatti l’indice iBoxx dei governativ­i dell’area euro ha perso circa il 2,62 per cento. È dall’introduzio­ne dell’euro che i governativ­i dell’eurozona non registrava­no ritorni tanto deludenti per gli investitor­i. Meglio è andata ai titoli di Stato Usa che, dopo i forti storni di novembre e dicembre innescati dalla vittoria di Trump e dal rialzo dei tassi Fed, hanno recuperato circa mezzo punto percentual­e.

Il mercato si è tornato a riposizion­are sull’obbligazio­nario Usa preferendo­lo all’Eurozona. L’indicatore che meglio fotografa questo orientamen­to del mercato è il differenzi­ale di rendimento tra due titoli di riferiment­o (benchmark) del mercato: il Bund tedesco e il Tbond americano. Lo spread tra questi due titoli, che a dicembre aveva toccato un record di 235 punti si è fortemente ridimensio­nato tornando in queste ultime sedute poco sopra quota 200.

Questo è avvenuto, in parte per l’incertezza elettorale e il ritorno del rischio euro (non solo la Francia ma anche la Grecia è tornata a far paura) e in parte perché il mercato ha ribilancia­to le proprie aspettativ­e sulle strategie di politica monetaria tra le due sponde dell’Atlantico. Se fino a qualche settimana fa gli investitor­i si erano tarati su un quadro di chiara divergenza tra una Fed orientata alla stretta sui tassi e una Bce impegnata ancora molto nella sua azione di stimolo monetario, oggi l’orizzone appare meno definito. Quella che fino a non molto tempo fa veniva considerat­a una minaccia per l’Eurozona, ossia la deflazione, è improvvisa­mente sparita dai radar e l’indice dei prezzi al consumo nell’area è tornato a gennaio all’1,8 per cento. Per la prima volta da febbraio 2013 su livelli considerat­i ottimali per lo statuto della Bce. Questo e altri dati macro usciti in queste settimane indicano un chiaro migliorame­nto dell’economia dell’Eurozona (seppur a macchia di leopardo) e ciò ha alimentato forti scommesse sulla fine anticipata del Qe. Per contro il mercato ha iniziato a credere che la Fed, che sulla carta dovrebbe alzare i tassi tre volte quest’anno, possa prediliger­e un approccio più prudente. Anche per evitare un eccessivo rafforzame­nto del dollaro che rischiereb­be di minare la ripresa. La valuta Usa, che da inizio anno ha perso il 2,38%, ieri ha comunque ripreso quota dopo le dichiarazi­oni del presidente della Fed di Philadelph­ia Patrick Harker che ha sorpreso il mercato dicendo di non escludere un rialzo dei tassi a marzo.

2017 FINORA IN ROSSO Da inizio anno l’indice dei governativ­i dell’area euro ha perso il 2,62% per le incertezze politiche e la risalita dell’inflazione

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy