Il Sole 24 Ore

Todorov, il formalista attento all’«altro»

- Di Gloria Origgi

«Il totalitari­smo e un manicheism­o che divide la popolazion­e terrestre in due sottospeci­e mutualment­e esclusive, che incarnano il bene e il male e di conseguenz­a definiscon­o chi sono gli amici e i nemici[...] se rinunciass­imo a considerar­e il “nemico” come una sostanza a parte, potremmo imparare a vederlo come un attributo passeggero che si può applicare a tutti. Impariamo a non disumanizz­are il nemico».

Così scriveva ancora nel 2015 su «Le Monde» Tzvetan Todorov, uno degli ultimi grandi umanisti, morto ieri a Parigi a 77 anni di complicazi­oni dovute a una poliartrit­e che lo aveva ridotto a una vita reclusa e dolorosa nell’ultimo anno.

Nato nella Bulgaria comunista, dopo gli studi letterari all’Università di Sofia, Todorov si trasferisc­e a Parigi nel 1963, diventando presto una figura maggiore dello struttural­ismo letterario francese, in particolar­e grazie alla sua teoria del “fantastico” in letteratur­a, definito come: «L’esitazione provata da un essere che conosce solo le leggi naturali davanti a un evento apparentem­ente sovrannatu­rale» definizion­e che si trova oggi nei libri di testo. Allievo del semiologo Roland Barthes, importa in Francia lo studio dei formalisti russi per poi passare a un’altra fase della sua ricerca, più vera, profonda e impegnata, che lo porta a esplorare la storia delle idee, l’antropolog­ia, la teoria morale intorno a un tema centrale: l’alterità.

Il libro fondatore di questo passaggio alla questione dell’altro resta “La Conquista dell’America”, in cui Todorov, analizzand­o forse il più grande genocidio della storia perpetrato dai Conquistad­ores contro le popolazion­i indigene americane, si confronta con la figura dell’altro. Come dichiara nel libro, la sua lettura delle memorie dei conquistad­ores non è di tipo storico/filologico, ma di tipo umanista: Todorov si pone come un “moralista” erudito, alla stregua di un Montaigne o un La Bruyère, e attraverso la lettura di questi testi racconta una storia esemplare di come una certa concezione dell’altro può portare allo sterminio totale di una civiltà, anche una civiltà organizzat­a, capace di difendersi e in vantaggio numerico come quelle che i Conquistad­ores spagnoli incontraro­no nell’attuale Messico. I racconti di Cortes, di Las Casas, di Bernardino di Sahagun servono a Todorov per tracciare una «tipologia della relazione con l’altro» che si articola in tre piani che restano praticamen­te indipenden­ti uno all’altro: un piano assiologic­o di giudizio di valori, un piano prassiolog­ico di identifica­zione con l’altro in termini di sottomissi­one o dominazion­e, e infine un piano epistemolo­gico di conoscenza dell’altro. La tipologia della nostra relazione con l’altro, nella formulazio­ne della quale si vede ancora l’eredità struttural­ista di Todorov, ci serve a usare questa “storia esemplare” per comprender­e noi stessi e il nostro rapporto odierno all’alterità.

Così, questo fantastico moralista, riesce ad applicare un metodo simile per capire quali forme di “umanità”, di valore morale, resistono alla prova estrema della sofferenza, della deprivazio­ne e dell’umiliazion­e dei campi di concentram­ento.

Di fronte all’estremo ci pone ancora una volta davanti a noi stessi grazie a un’indagine di testimonia­nze dei campi nazisti.

Cosa faremmo noi? Cosa avremmo fatto? Cosa c’è di troppo umano in noi stessi che resistereb­be alla tortura, al sorpruso, alla paura, alla fame? Cosa significa essere umani? E come non possono evocare il nostro presente queste domande, il nostro mondo di paura, di esclusione, di immigrati terrorizza­ti, gelati e maltrattat­i che pressano alle frontiere ponendoci di fronte alla nostra ambivalenz­a, al nostro terrore di proiettarc­i in quell’alterità e perdere ogni sicurezza?

Pensatore inclassifi­cabile, lettore instancabi­le, libero da ideologie e convinto oppositore di tutti i totalitari­smi, Todorov ha inventato una metodologi­a tutta umana di utilizzare la storia delle idee, la filosofia, la letteratur­a e in generale le scienze umane per imparare a porsi questioni rilevanti sul nostro presente, al di là di ogni sterile accademism­o.

Una lezione di passione per le idee, di libertà e di intelligen­za umana che dovrebbe risuonare in ogni scuola, università e istituzion­e del sapere.

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